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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 1 anno 3 mesi fa

60 years of Inter Mirifica: a milestone in ecclesial communication

Mar, 07/11/2023 - 12:43

The first document approved by the Fathers of the Second Vatican Council was the Decree on the Instruments of Social Communications Inter Mirifica, which dealt specifically with the mass media. The drafting process of Inter Mirifica was not an easy one. The text was initially conceived as a constitution, a document reserved for matters of great importance. In the end, however, it was adopted as a decree and received more votes against than any other Council document. Specifically, the text received 1,960 votes in favour, 164 against and 7 abstentions. After several extended drafts, the decree was adopted in an abridged version that provided a broad outline of the theological understanding of the mass media. Nevertheless, Inter Mirifica became a touchstone for all subsequent Church documents on media and social communication and marked a starting point for Church reflection on mass media communication.

In fact, for the first time the expression “media of social communication” (Inter mirifica, n. 3) appeared in Church documents in connection with the mass media, replacing earlier rather generic expressions such as “the most powerful means of publicity” (Divini illius Magistri, Pius XI, 1929), “means of influencing the masses” (Vigilanti cura, Pius XI, 1936), “technical inventions” (Miranda prorsus, Pius XII, 1957) or “remarkable inventions” (Boni Pastoris, John XXIII, 1959).

The Decree on the Instruments of Social Communications consists of two chapters: the first is devoted to the proper use of the media, while the second focuses on the media as a means of apostolate. Indeed, the approach to the mass media was influenced by the theological developments and debates of the Second Vatican Council on the mission of the Church in the world and the theology of the laity. Inter Mirifica starts from the premise that the mission of the Church is first and foremost the proclamation of the Gospel for the salvation of humanity, adding that this task requires “the media of social communication” (n. 18).  Regarding the role of the laity, the decree states: “the laity especially must strive to instill a human and Christian spirit into these media, so that they may fully measure up to the great expectations of mankind and to God’s design.” (n. 3).

The “absolute primacy of the objective moral order” (n. 6) is made explicit by Inter Mirifica as a general principle in the context of social communications. In this regard, the use of the mass media by the general public and communication professionals requires that they know and live according to the overarching moral principles inherent in human dignity. This aspect underlies all other moral principles of communication and can be found in almost all successive Church documents on the media, such as the Pastoral Instruction Aetatis Novae (1992).

The decree also encouraged the creation of national Press, Cinema, Radio & Television departments within established Church structures. “It will be the special task of these offices to see that the consciences of the faithful are properly instructed with regard to these media. Likewise they should foster and guide whatever is done by Catholics in these areas.” (n. 21). Subsequent experience has shown that this wish has been fulfilled in many places. Dioceses, Bishops’ Conferences, religious congregations, movements, etc. have set up departments for social communications.

Inter Mirifica also initiated the annual celebration of the World Day of Social Communications, which has been celebrated throughout the world since its inception. A total of 57 World Days of Social Communications so far, each accompanied by a Message from the Holy Father, have addressed all the relevant themes in the field of social communications, ranging from the family to young people, from social networks to artificial intelligence (as the Message for the 58th World Day of Social Communications for the year 2024).

Inter Mirifica clearly affirmed the right of the Catholic Church to have its own media. However, it did not emphasise the free initiative and obligation of Christians to promote the values of the Gospel through media not directly owned by the Church. However, as noted above, Inter Mirifica marked the beginning of an increasing focus on the mass media in the official documents of the Holy See and in the public statements of the Popes.

 

(*) Dean of the Faculty for Institutional Communications of the Pontifical University of the Holy Cross

Anno giubilare longhiano. Mons. Caputo: “La vocazione di Pompei è trasformare il mondo con il Rosario in mano e una carità operosa”

Mar, 07/11/2023 - 08:41

La diocesi di Pompei si avvia alla conclusione dell’Anno giubilare longhiano (1° ottobre 2022 – 31 ottobre 2023), dedicato alla memoria del secolo e mezzo dall’inizio dell’opera di Dio a Pompei, a partire da quell’ottobre del 1872 quando il fondatore del santuario e delle opere di carità pompeiane, il beato Bartolo Longo, ebbe un’illuminazione interiore in Località Arpaia. “Il giovane avvocato, aggirandosi tra le campagne desolate di questa Valle, era preoccupato per la sua salvezza eterna a causa del passato allontanamento da Dio. La Vergine parlò al suo cuore: ‘Se cerchi salvezza, propaga il Rosario’. E decise di non muoversi più da questa Valle, comprese la sua vocazione e rispose: ‘Io mi salverò, perché, non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario’”, scrive l’arcivescovo di Pompei, mons. Tommaso Caputo, nella lettera alla città e ai fedeli, intitolata “Pompei, modello di fede e di carità. La profezia compiuta di un laico innamorato di Maria”, consegnata giovedì 26 ottobre, alla fine della messa che è stata presieduta dal presule, nel santuario mariano, in occasione della cerimonia di chiusura dell’Anno giubilare longhiano, indetto dalla prelatura in occasione del 150° anniversario dell’arrivo di Bartolo Longo a Valle di Pompei.

La storia della Nuova Pompei, fa notare mons. Caputo nella lettera, è “fondata su due capitoli essenziali, tra loro intrecciati, il santuario della fede con il flusso continuo di pellegrini e il santuario della carità con le opere sociali in favore della gioventù in difficoltà e dei poveri. Al centro di tutto: la preghiera del Rosario”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

L’Anno giubilare vissuto, osserva il presule, “ci ha fatto volgere lo sguardo all’indietro per aiutarci a capire meglio il futuro”. “Nella Nuova Pompei ha operato la fede, che ha trovato in Bartolo Longo, un laico innamorato di Maria, il braccio e l’abbraccio di una carità senza limiti: quella che tuttora, nelle nostre opere caritative, è sotto gli occhi e nel cuore di tutti. Senza i poveri da servire non si può comprendere Pompei, nel cui Dna sono inscritte queste lapidarie parole di Gesù: ‘In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’ (Mt 25, 40).

La nostra è una comunità con uno statuto speciale: ha ricevuto la vocazione di coltivare la speranza e di renderla viva per sé e per gli altri, offrendo fede e carità”.

L’arcivescovo di Pompei evidenzia: “L’Anno giubilare longhiano, che sta per concludersi, è stato un autentico tempo di rinascita spirituale. I pellegrinaggi in santuario sono stati così numerosi che è difficile ‘misurare’ gli afflussi. Abbiamo vissuto una profonda esperienza di fede condivisa da molte diocesi della Campania e di altre regioni italiane, guidate dai loro pastori; da intere comunità religiose, maschili e femminili, e poi da gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali. E ancora da migliaia di pellegrini provenienti dall’Europa e dal mondo intero”. Ma i numeri non bastano: “Il bilancio dell’Anno giubilare sarà davvero positivo se i pellegrini, giunti a Pompei, abiteranno nel mondo, nei luoghi dove vivono la loro esistenza, da autentici convertiti annunciando il Vangelo dai tetti, ma ancora di più attraverso la propria testimonianza coerente, più potente delle parole”.

(Foto: santuario di Pompei)

Il “Cammino giubilare longhiano”, sottolinea mons. Caputo, “ci ha portato anche a conoscere meglio le nostre radici, la nostra storia e, allo stesso tempo, ci ha indicato chiaramente il percorso che dobbiamo intraprendere nel nostro futuro”, nella consapevolezza che “nell’illuminazione interiore” del beato “in Via Arpaia c’è già tutto il messaggio di Pompei”: “Siamo parte di una realtà amata da Dio in modo particolare e impreziosita dalla presenza viva e vitale della Vergine Maria, che proprio qui ha voluto che le fosse edificata una casa, il nostro splendido santuario, dove ogni anno accorrono milioni di fedeli e pellegrini, e che sorgessero numerose opere di carità dedicate ai poveri e agli emarginati”. Ma non solo.

“La missione religiosa di Valle di Pompei è la pace fra l’uomo e Dio”, affermava Bartolo Longo.

“Ripensare a queste parole al termine dell’Anno longhiano è come richiamare idealmente il beato a guida di questi nostri giorni così difficili e inquieti”, afferma il presule, per il quale “la guerra, ancora tragicamente presente” in Ucraina, “dopo quasi due anni di aspri e sanguinosi combattimenti, richiama per Pompei la profezia della pace, quella pace che è elemento fondativo della nascita della città di Maria alla cui intercessione affidiamo i popoli della Terra Santa, martoriata in questi giorni da un nuovo e cruento conflitto”. “Non possiamo non associare l’insegnamento di Bartolo Longo a quello dei Papi degli ultimi tre secoli, da Pio IX a Francesco, incessanti predicatori di una riconciliazione sempre difficile da ottenere. È sul tema della pace che, proprio con i Papi della modernità, Bartolo Longo ha introdotto un elemento di congiunzione così forte e significativo da porsi a sua volta come fondamento della Nuova Pompei: il Rosario – ricorda l’arcivescovo -. È inimmaginabile pensare a Bartolo Longo senza la corona del Rosario tra le mani, vero e proprio scettro della sua fede e anima della sua inestinguibile carità. È stato il Rosario a trasformare il beato in apostolo di Cristo e di Maria, sua Madre, e a renderlo primo evangelizzatore della Nuova Pompei. È stata questa preghiera a dargli le forze e il dono della visione per una rinnovata stagione di annuncio e testimonianza del Vangelo”.

Attraverso il Rosario, “il fondatore è entrato nel vivo della realtà di un luogo da riscattare e di una comunità da costruire. Il Rosario gli ha spalancato tutte le strade, ha aperto la sua mente e illuminato il suo cuore in modo che il disegno della Provvidenza potesse compiersi. Neppure lui immaginava di poter andare così lontano e, soprattutto, aprire per l’antica Valle orizzonti ampi e di largo respiro. Nelle mani e nel cuore del beato, il Rosario è stato l’elemento che ha azzerato per sempre i limiti e i confini di una città rimasta piccola solo nel territorio. Oggi Pompei parla al mondo e tutti la riconoscono dal suo alfabeto di base: il Rosario”.

“Il Rosario che trasforma”: “È questo l’insegnamento senza tempo del beato”.

Per mons. Caputo, “il Rosario va prendendo sempre più il carattere di una voce per il mondo, e per il mondo scosso e impaurito di oggi; e forse anche perché è la preghiera che ha attraversato perfino i tempi difficili di una matrice tecnologica e illuminista che tendeva a metterla da parte e a considerarla come ‘oggetto da museo’”. Si comprende così come, proprio a partire da Pompei, “il Rosario possa essere uno strumento privilegiato per la nuova evangelizzazione”.

Oggi “il ‘piccolo gregge’ di Pompei sente tutta l’umiltà, ma anche il privilegio di essere tale e di continuare a indicare la strada che ha reso questa comunità unica al cospetto del mondo: la fede fondamento delle Opere, la carità via della giustizia e strada maestra dell’amore del nostro Signore Gesù Cristo. A noi di Pompei viene richiesto il coraggio e, insieme, l’umiltà di percorrere questo cammino. Bartolo Longo ci ricorda che i veri seguaci di Cristo si lasciano trasfigurare dall’amore creativo e concreto, un amore che trasforma il mondo segretamente là dove i discepoli vivono una carità operosa. È la vocazione di Pompei!”. Essere “concittadini del beato” è una chiamata “alla responsabilità di portarne avanti il carisma, raccogliendone il testimone”: “C’è tanto da fare nella propagazione del Santo Rosario, nel restituire all’umanità quella spiritualità che spesso sembra aver perduto. C’è tanto da fare nel curare le ferite dei nostri fratelli più fragili, resi ancora più deboli dalle tante crisi del nostro tempo”.

La giornata con la cerimonia di chiusura dell’Anno giubilare longhiano (ma fino al 31 ottobre sarà possibile ottenere l’Indulgenza plenaria, visitando il santuario e alle consuete condizioni) ha visto anche la presentazione di un francobollo speciale e l’annullo postale dedicato alla celebrazione dei 150 anni dall’arrivo di Bartolo Longo a Pompei, un ritrovo presso la Stele di Via Arpaia, il luogo “dove tutto ebbe inizio”. Con una Liturgia della Parola, la processione con la statua del beato e una sua reliquia, la benedizione della nuova porta di bronzo di ingresso della navata laterale di destra della basilica mariana, la santa messa presieduta da mons. Caputo.

Don Francesco Cavazzuti: sacerdoti che lasciano una traccia indelebile anche quando non sono più

Mar, 07/11/2023 - 08:38

Dalla diocesi di Carpi a quella di Goias, nel cuore del Brasile. Qui don Francesco Cavazzuti, prete ‘fidei donum’ della diocesi di Carpi, ha speso quasi tutta la propria vita sacerdotale al servizio dei poveri.
Scomparso nel 2021, don Francesco, inviso dalle autorità politiche locali del Goiás, stato brasiliano noto per le risorse agricole e minerarie, esercitò il suo ministero al fianco dei lavoratori in un territorio che vedeva i cittadini vessati dalle condizioni imposte dai latifondisti.
Nato a Cibeno di Carpi il 19 ottobre 1934, venne ordinato sacerdote il 29 giugno 1958, per poi ricoprire diversi incarichi: cappellano a Quarantoli, in provincia di Modena, insegnante nelle scuole medie e anche cappellano nelle fabbriche e segretario del vescovo. “Leggevo molte riviste missionarie – si legge in una testimonianza di don Francesco riportata sul sito di Solidarietà Missionaria che sostiene le attività promosse dal Centro Missionario Diocesano di Carpi – che mi aprivano l’orizzonte dell’America Latina: pensai che avrei potuto aiutare la Chiesa cattolica in quel continente. Chiesi di poter andare a lavorare là: il vescovo Prati mi fece aspettare due anni e mezzo, ma alla fine mi rispose positivamente: era l’ottobre 1968. Subito mi iscrissi al corso di preparazione e rapidamente partii per il Brasile ed arrivai in Diocesi di Goiás nel marzo 1969”. In questa regione a vocazione agricola il don svolse, per quasi quattro decenni, la sua azione di supporto nei confronti delle classi sociali più deboli.
Gli anni del suo ministero si svolgono in diverse parrocchie dello Stato brasiliano, dove

si batte per i diritti delle famiglie espropriate dei terreni. Sono i cosiddetti “senza terra” che provano a sopravvivere in una realtà tradizionalmente caratterizzata da una forte concentrazione latifondista. In questi luoghi, don Francesco subisce diversi processi, con l’intento di allontanarlo dal Paese, e minacce che poi si concretizzano tragicamente nell’attentato del 27 agosto del 1987, quando viene colpito da una pallottola in testa. Soccorso immediatamente sopravvive, ma rimane cieco.

Nonostante ciò la sua dedizione non si ferma. Dopo le cure e un breve periodo trascorso in Italia, torna ancora in Brasile per formare catechisti e responsabili delle comunità di base. Nel 2004 riceve dall’associazione “Cuore Amico” di Brescia l’omonimo premio che consiste in una donazione di 50mila euro che il sacerdote destinò alla realizzazione del Seminario di Goiás per la formazione dei giovani preti, mentre nel 2005 viene inaugurato il “Centro dei diritti umani”, alla presenza del vescovo di Carpi mons. Elio Tinti, che supporta con professionisti qualificati le pratiche dei “senza terra”. Il don rientrerà definitivamente in Italia nel 2007 per proseguire ancora nella sua missione diffondendo il messaggio della sua azione in Brasile tramite incontri con adulti e bambini.
Viene ricevuto anche da Papa Francesco, nel 2014. Si spegnerà il 7 agosto del 2021.
Di lui, dopo la morte, la diocesi di Carpi scrive che

“il suo ministero è caratterizzato da un forte impegno per la giustizia e il riconoscimento dei diritti umani e dei lavoratori, attività che crea attrito con le autorità politiche locali che tentano di allontanarlo dal Brasile”.

La sua opera è stata celebrata in un documentario, uscito lo scorso aprile, che ne onora la memoria. “Un prete chiamato Francesco. Lo straordinario nell’ordinario”, prodotto dalla diocesi di Carpi e dall’associazione culturale Cinelogos, è un docufilm realizzato con la regia di Dario D’Incerti e le musiche di Giampaolo Violi. Il nome del sacerdote figura anche nell’Associazione Giardino dei Giusti di Milano dove vengono onorati ogni anno donne e uomini che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni, difeso i diritti umani, salvaguardandone la dignità. Una storia meravigliosa che prosegue con la testimonianza del nipote Francesco Cavazzuti, ordinato sacerdote nel novembre del 2022.
“Il sacerdote per svolgere il proprio compito ha bisogno di sostegno e supporto per vivere una vita decorosa – sottolinea il responsabile del Servizio Promozione per il sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni – Le offerte rappresentano il segno concreto dell’appartenenza ad una stessa comunità di fedeli e costituiscono un mezzo per sostenere concretamente tutti i sacerdoti, dal più lontano al nostro. I nostri sacerdoti hanno bisogno della vicinanza e dell’affetto delle comunità. Oggi più che mai ci spingono a vivere il Vangelo affrontando le difficoltà con fede e generosità, rispondendo alle emergenze con la dedizione”.
Nonostante siano state istituite nel 1984, a seguito della revisione concordataria, le offerte deducibili sono ancora poco comprese e utilizzate dai fedeli che ritengono sufficiente l’obolo domenicale; in molte parrocchie, però, questo non basta a garantire al parroco il necessario per il proprio fabbisogno. Da qui l’importanza di un sistema che permette a ogni persona di contribuire, secondo un principio di corresponsabilità, al sostentamento di tutti i sacerdoti diocesani. Nate come strumento per dare alle comunità più piccole gli stessi mezzi di quelle più popolose, le offerte per i sacerdoti sono diverse da tutte le altre forme di contributo a favore della Chiesa cattolica, in quanto espressamente destinate al sostentamento dei preti al servizio delle 226 diocesi italiane; tra questi figurano anche 300 preti diocesani impegnati in missioni nei Paesi più poveri del mondo e 2.500 sacerdoti ormai anziani o malati, dopo una vita spesa al servizio degli altri e del Vangelo. L’importo complessivo delle offerte nel 2022 si è attestato appena sopra gli 8,4 milioni di euro in linea con il 2021. È una cifra ancora lontana dal fabbisogno complessivo annuo, che ammonta a 514,7 milioni di euro lordi, necessario a garantire a tutti i sacerdoti una remunerazione pari a circa mille euro mensili per 12 mesi.

Da don Giulio, una casa che accoglie

Mar, 07/11/2023 - 08:38

Rastignano è una frazione di Pianoro, appena fuori Bologna e all’inizio dei colli bolognesi. La nuova chiesa parrocchiale è stata costruita dietro la prima chiesa ben più antica. Si presenta come luogo molto accogliente anche per la caratteristica di un quadriportico esterno in grado di ospitare le numerose persone che ogni giorno frequentano la parrocchia anche solo per le attività sportive colme di giovani e bambini. Questo spazio si è rivelato una risorsa fondamentale anche durante questo periodo pandemico, in quanto ha permesso alla comunità di potersi incontrare.
L’accoglienza è una dimensione che si percepisce subito, nella scelta di abbellire gli spazi della parrocchia con strutture sportive accessibili a tutti, un bar essenziale per favorire lo “stare” delle persone, una abitazione a fianco dell’antica chiesa parrocchiale, ristrutturata per poter ospitare famiglie in emergenza abitativa e per permettere loro di prepararsi ad una ripartenza. Una ripartenza anche quella accompagnata da chi in parrocchia si dedica a questo specifico servizio attraverso la Caritas. Ma la vera accoglienza comincia dal sorriso di don Giulio Gallerani, il parroco, un sorriso che contagia tutti coloro che partecipano alla vita della parrocchia. Lui è lì a disposizione di tutti, tutto il giorno.
Un cartello alle porte della chiesa annuncia l’orario per le confessioni, dice che prima di tutto si possono fare ogni volta che lo si incontra oppure prima e dopo le messe. E comunque sempre fissando un appuntamento con un sms. Alla fine si firma con il proprio nome e con un “grazie”.

Anti-Semitism in France. Hoffner (La Croix): “The thread uniting the social fabric is strained, but fortunately it is holding strong and has not snapped”

Mar, 07/11/2023 - 08:30

“The thread that unites the social fabric is sorely strained. But in spite of everything, in spite of the conflict between Israel and Gaza, in spite of the instability of the French suburbs, this little thread is holding and has not broken for the moment. It seems like a miracle. The priority now is to ensure that this thread does not snap”, said Anne-Bénédicte Hoffner, La Croix’s deputy editor-in-chief, in response to a request from SIR to comment on data released by Interior Minister Gerald Darmanin on acts of anti-Semitism in France. In an interview with France 2 on Sunday evening, November 5, the Minister of the Interior, Gerald Darmanin, said that since October 7, the day of Hamas’s abominable and murderous attack on Israel, there have been 1,040 incidents against its Jewish citizens, adding that of the 486 people arrested for these offences, 102 were non-French nationals. The most critical situation was reported in Paris. Paris police chief Laurent Nunez said that there had been 257 antisemitic acts in the Paris region alone, and 90 arrests.

He added that there was no typical profile for those arrested. They ranged from “young kids who say very serious things”, to people involved in the pro-Palestinian cause. Paris prosecutors are already investigating the daubing of dozens of Stars of David on buildings around the city and its suburbs, considered an active threat to Jews.

“The number of antisemitic acts has exploded,” the French minister told France 2 television. Anne-Bénédicte Hoffner pointed out to SIR: “Darmanin’s entire political career has been built on the intensification and deepening of divisions in order to present himself as the only bastion of security in France.” In reality, the situation is far more complex. “France has the largest Jewish community and the largest Muslim Arab community in Europe,” says the La Croix journalist, “and so whenever the situation escalates in Israel and Palestine, the effects are systematically felt in France. When cruelty reaches its peak in the region, there is a fear that the Israeli-Palestinian conflict will eventually spill over into France. It may sound somewhat paradoxical, but for the moment the situation is no worse than it has been in terms of the contagion from other tense phases of the conflict.” Our thoughts immediately turn to the “case” of Mohammed Merah, the terrorist behind the 2012 attacks in Toulouse and Montauban that left seven people dead, including three children and a teacher at a Jewish school. “However terrible and serious the acts of anti-Semitism we have seen in recent days, thankfully not a single Jewish citizen has been attacked or stabbed.”

The journalist also refers to the ongoing tensions in the banlieues of France’s major cities, and in particular the riots in French suburbs this summer sparked by the killing of 17-year-old Nahel during a police check. “I was afraid that tensions would escalate after October 7. But so far there have been no clashes or riots.”

“Three things must be said and demanded in order not to tear the very thin thread of the social fabric,” says the journalist. “They are: condemnation of Hamas’s actions, the release of the hostages and a ceasefire in Gaza. In order to avoid fanning the flames or sidelining the issue, these three points must always be mentioned together. But if only one is mentioned, if you talk about Gaza and say nothing about the actions of Hamas and the hostages, the balance can be broken. This has not happened yet”. In this context, the words of the President of the French Bishops’ Conference, Monsignor Éric de Moulins-Beaufort, at the opening of the ongoing plenary assembly of the French Bishops’ Conference in Lourdes, were much appreciated. “We share the deep anxiety of our Jewish brothers and sisters, our fathers in faith and covenant, who are so often, so often, the object of hatred throughout the world. Together with them, we call for the release of the hostages,” said the Archbishop on behalf of all the French Bishops, adding: “With no less force, I also wish to express our communion with the people of Gaza, who are subjected to terrible bombardments and civilian deaths, and who find themselves prisoners of Hamas’ will to harm and of Israel’s retaliatory action.”

Antisemitismo in Francia. Hoffner (La Croix): “Il filo è teso ed è messo alla prova, ma per fortuna regge e non si è ancora spezzato”

Mar, 07/11/2023 - 08:30

“Il filo è teso ed è messo alla prova. Ma nonostante tutto, nonostante la situazione incandescente tra Israele e Gaza e la fragilità delle banlieue delle grandi metropoli francesi, quel piccolo filo regge e per il momento non si è ancora rotto. Sembra un miracolo. La priorità ora è fare in modo che questo filo non si spezzi”. A parlare è Anne-Bénédicte Hoffner, direttrice aggiunta del quotidiano cattolico francese La Croix, alla quale il Sir ha chiesto di commentare i dati resi noti dal ministro dell’interno Gerald Darmanin sugli atti di antisemitismo in Francia. Intervenendo domenica sera 5 novembre su France 2, il ministro ha detto che dal 7 ottobre scorso, giorno in cui Hamas ha sferrato il terribile e sanguinoso attacco contro Israele, la Francia ha registrato 1.040 atti contro gli ebrei presenti sul territorio aggiungendo che delle 486 persone arrestate per questi reati, 102 erano stranieri. La situazione più critica si registra a Parigi. Il capo della polizia della capitale francese, Laurent Nunez, ha detto che nella sola regione parigina ci sono stati 257 casi di antisemitismo e 90 arresti. Non esiste un profilo tipico delle persone arrestate, ha aggiunto. Si va da “ragazzini che dicono cose molto gravi” a persone coinvolte nella causa filo-palestinese. La procura di Parigi sta già indagando sull’affissione di decine di stelle di David sugli edifici intorno alla città e nei suoi sobborghi, considerate una minaccia per gli ebrei.

“Il numero degli atti antisemiti è esploso”, ha detto il ministro francese al telegiornale France 2. Anne-Bénédicte Hoffner tiene subito a fare una precisazione: “tutta la carriera politica di Darmanin è fondata sull’accentuare e indurire le divisioni e a presentarsi come l’unico baluardo della sicurezza in Francia”. La situazione in realtà è più complessa. “La Francia – spiega la giornalista de La Croix – ha la più grande comunità ebraica e la più grande comunità araba musulmana d’Europa e quindi ogni volta che la situazione si sta surriscaldando in Israele e Palestina, sistematicamente in Francia si sente forte l’impatto. Quando poi in quella regione si raggiunge il picco della crudeltà, il timore è che il conflitto israelo-palestinese venga importato in Francia. E’ un po’ paradossale da dire ma per il momento, la situazione non è peggiore di quanto abbiamo visto in termini di importazione di altri momenti di conflitto”. La memoria va subito al “caso” di Mohammed Merah, il terrorista degli attentati di Tolosa e Montauban nel 2012 dove persero la vita sette persone tra cui tre bambini e un insegnante di una scuola ebraica. “Per quanto siano orribili e gravi gli atti antisemiti che abbiamo visto in questi giorni, fortunatamente, non c’è stato ancora un ebreo che sia stato aggredito o accoltellato”. La giornalista fa anche riferimento alla situazione tesissima che si continua a respirare nelle banlieue delle grandi città francesi e in particolare alle rivolte di quest’estate scatenate dalla morte del giovane Nahel durante un controllo di polizia. “Avevo paura che dopo il 7 ottobre, la tensione fosse molto più alta. Ma non si sono ad oggi registrati scontri o rivolte”.

“Sono 3 le cose da dire e chiedere per non rompere il filo sottilissimo della tenuta sociale”, dice la giornalista. “E sono: la condanna degli atti di Hamas, il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza. Se una persona vuole non aggiungere fuoco su fuoco o inclinarsi da un lato, deve sempre dire queste 3 cose insieme. Ma se ne dici solo una, se parli di Gaza e non dici nulla sulle azioni di Hamas e sugli ostaggi, l’equilibrio può rompersi. Finora non è successo”. Da questo punto di vista, sono state molto apprezzate le parole del presidente dei vescovi francesi mons. Éric de Moulins-Beaufort in apertura dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale francese a Lourdes che è ancora in corso. “Sentiamo la profonda preoccupazione dei nostri fratelli e sorelle ebrei, nostri padri nella fede e nell’alleanza, così spesso, così facilmente, oggetto di odio in tutto il mondo. Insieme a loro chiediamo il rilascio degli ostaggi”, ha detto l’arcivescovo a nome di tutti i vescovi francesi, per poi aggiungere: “con non minore forza voglio dire anche la nostra comunione con la popolazione di Gaza sottoposta a terribili bombardamenti, che uccidono civili che si ritrovano prigionieri della volontà di nuocere di Hamas e dell’operazione di ritorsione portata avanti da Israele”.

Papa Francesco: “Uccidere bambini è una crudeltà, un’ingiustizia”

Lun, 06/11/2023 - 17:31

Come un nonno ai suoi nipoti: si è presentato così Papa Francesco ai 7mila bambini, giunti da 84 Paesi, in Vaticano, per partecipare oggi pomeriggio all’incontro patrocinato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, “I bambini incontrano il Papa”, che ha come tema “Impariamo dai bambini e dalle bambine”. Un botta e risposta serrato che ha coinvolto direttamente tutti i presenti chiamati, più volte, a ripetere gesti e parole del Pontefice. Un incontro che si è aperto con il brano “Supereroi” cantato da Mr Rain e intonato dai bambini radunati nell’Aula Paolo VI.

La pace e la guerra. Tanti i temi toccati dal Papa sollecitato dalle domande, a tratti anche curiose e riguardanti la sfera personale, dei bambini. La pace innanzitutto. È toccato a Rania, giovanissima di origini palestinesi a sollevare la questione: “Se comincerà la Terza guerra mondiale la pace non tornerà più?” “Hai fatto una domanda che tocca la tua terra – ha risposto Papa Francesco -. La guerra è scoppiata già in tutto il mondo, non solo in Palestina. La guerra è brutta e ci toglie la pace e la vita. Dobbiamo lavorare per la pace” ha aggiunto chiedendo ai bambini di ripetere con lui, “a bassa voce”, “lavoriamo per la pace” e di salutare, in silenzio, “con la mano Rania e a tutta la gente della sua patria. La pace è bella”. Ma come si fa la pace? È stata la domanda di un bambino ucraino, Ivan. “Domanda difficile questa – la risposta pronta del Pontefice – è più facile dire come si fa la guerra, perché si fa con l’odio e la vendetta, far del male all’altro. Questo viene dall’istinto”.

“Non c’è un metodo per imparare a fare la pace. C’è un gesto: con la mano tesa, con la mano tesa dell’amicizia cercando sempre di coinvolgere le altre persone per andare insieme. La pace si fa col cuore e la mano tesa”.

Da un bambino siriano è arrivata la domanda secca e diretta: “Perché in guerra uccidono i bambini e nessuno li difende?” “Quanti bambini sono morti, innocenti e questo mostra la cattiveria della guerra”.

“Uccidere bambini è una crudeltà”

ha risposto il Papa chiedendo un momento di silenzio per tutti i bambini uccisi. “È una ingiustizia, la guerra è crudele e chi paga? Pagano i bambini innocenti” ha detto il Pontefice invitando tutti a pregare il Padre Nostro.

La custodia del Creato e lo spreco di cibo. Non sono mancate domande sulla custodia del Creato e sullo spreco alimentare, temi molto a cuore a Papa Francesco. A Isadora, dal Brasile, che chiedeva se i bambini possono salvare la terra, il Pontefice ha risposto: “I bambini possono salvare la terra perché voi siete semplici e capite che distruggere la terra vuole dire distruggere noi stessi. La terra ci dona tutto il necessario per vivere”. “Sono molto preoccupato per la natura – ha poi detto il Papa rispondendo ad un’altra domanda -. Pensate che al Polo Nord il ghiaccio si sta sciogliendo. I mari stanno salendo, stanno entrando nella terra. La fauna e i pesci nel mare sono rovinati, per questo sono preoccupato. Tutti dovremmo esserlo”. E a Luxelle, ragazza africana che gli chiedeva “Perché fa così caldo anche se è autunno?”, Francesco ha risposto: “È una domanda molto importante”.

“Le persone non custodiscono il creato e la natura si ribella. Dobbiamo imparare a custodire il creato e non sporcarlo”.

Salma, nove anni, dal Ghana: “Come possiamo evitare che le persone sprechino tante cose?”. Puntuale la risposta del Pontefice: “Non sprecare il pasto, perché c’e gente che non mangia. Consumare sempre il pasto”.

“Il pasto è una grazia di Dio”.

“Ognuno di noi deve imparare a non sprecare il pasto” ha detto il papa invitando i bambini a ripetere “non sprecare il pasto”. “E se a mezzogiorno ne avanza un po’, mangiarlo a sera ma non buttarlo. Sprecare il pasto è un peccato brutto”.

Cosa sogna il Papa? Chi sono gli amici del Papa? Non sono mancate infine domande curiose alle quali il Papa ha risposto divertito, come quando Massimo, di Roma, gli ha chiesto “Tu cosa sogni la notte?”: “Non so che cosa sogno la notte perché dormo”: ha risposto senza esitare il Pontefice suscitando la risata e gli applausi dell’aula Paolo VI. “Alcune volte – ha spiegato – viene qualche sogno che è un ricordo di quando ero giovane, di quando ero bambino ma la maggior parte dormo. Sognare è bello, quando uno sogna ha qualcosa di vita dentro”. “Come fai a calmarti quando ti arrabbi?” è stata la domanda di Sophie, dalle Filippine: “Qualche volta mi arrabbio ma non mordo” ha risposto Francesco dando un consiglio: “Quando sei arrabbiato, prima di rispondere, bevi un bicchiere d’acqua. La rabbia lasciamola per i cani e noi cerchiamo di essere miti”. Infine, alla domanda su chi siano i suoi amici, il Papa ha così risposto: “I miei amici è la gente che vive con me, a casa. Ho tanti amici fuori, qualche parrocchia, e anche qualche cardinale è amico. Ho la grazia di avere amici e questa è una grazia di Dio perché la persona che non ha amici è una persona triste”. L’incontro si è concluso con lo scambio di pace e la benedizione.

Pope Francis: “Killing children is an act of cruelty, an injustice”

Lun, 06/11/2023 - 17:31

Like a grandfather to his grandchildren: this is how Pope Francis introduced himself to 7,000 children from 84 countries who gathered at the Vatican on Monday afternoon to participate in the meeting “Children Meet the Pope: Let Us Learn from Boys and Girls”, organised by the Dicastery for Culture and Education. A lively discussion took place with the direct participation of all those present, who were encouraged to repeat the gestures and words of the Pope. The meeting opened with Mr Rain’s song “Supereroi” (“Superheroes”) sung by the children gathered in the Paul VI Hall.

Peace and war. The Pope touched on many themes, prompted by the children’s sometimes curious and personal questions. First of all, peace. Rania, a young girl of Palestinian origin, asked: “If World War III begins, will peace never return?” “You have asked a question that concerns your homeland,” Pope Francis replied. “War has already broken out all over the world, not only in Palestine. War is terrible and it takes away our life and our peace. We must work for peace,” he added, inviting the children to repeat with him, “in a low voice,” “let us work for peace” and, silently, “greet Rania and all the people of her homeland with a gesture of the hand. Peace is beautiful.” But how do you make peace? asked Ivan, a child from Ukraine. “This is a difficult question – the Pope replied promptly – it is easier to say how war is made, because it is made with hatred and revenge, hurting the other. It is instinctive.”

“There is no recipe for learning peace. There is a gesture: an outstretched hand, a hand of friendship, always trying to involve other people, to come together. Peace is made with the heart and the outstretched hand.”

A Syrian child asked a blunt and direct question: “Why do they kill children in war and there is no one to defend them?” “How many children have died, innocent ones, and this shows the evil of war”.

“Killing children is an act of cruelty,”

the Pope replied, asking for a moment of silence for all the children killed. “It is an injustice, the war is cruel, and who pays for it? The price is paid by innocent children,” the Pope said, inviting everyone to recite the Lord’s Prayer.

Care for creation and wasted food. Many questions arose about the care of creation and food waste, issues close to the heart of Pope Francis. To Isadora from Brazil, who asked if children could save the earth, the Holy Father replied: “Children can save the earth because you are simple souls who understand that to destroy the earth is to destroy ourselves. The earth gives us everything we need to live”. I am very worried about the natural world,” the Pope said in response to another question. “At the North Pole, the glaciers are melting. The seas are rising, they are encroaching on the land. The fauna and fish in the sea are being destroyed, so I am worried. We all should be.” When Luxelle, a little African girl, asked him, “Why is it so hot in autumn?”, Francis replied: “That is a very important question.”

“People do not care for creation and nature is rebelling. We must learn to take care of creation and not pollute it.”

Salma, a nine-year-old from Ghana, said: “How can we stop people from wasting so many things?” The Pope replied immediately: “Don’t waste your food because there are people who have nothing to eat. Always eat your meals.

“A meal is a grace from God.”

“We must all learn not to waste our meal,” the Pope said, asking the children to repeat: “Do not waste your meal.” And if there is anything left over at lunchtime, eat it for dinner, but do not throw it away. To waste a meal is an ugly sin.”

What does the Pope dream about? Who are the Pope’s friends? Finally, there were some curious questions to which the Pope replied with amusement, such as when Massimo from Rome asked him: “What do you dream about at night? “I don’t know what I dream about at night because I’m asleep,” the Pope replied without hesitation, prompting laughter and applause in the Paul VI Hall. “Sometimes I have dreams that remind me of my youth, of my childhood, but most of the time I sleep,” he explained. Dreaming is beautiful, when you dream there is life in it.” “How do you relax when you get angry?” asked Sophie from the Philippines: “Sometimes I get angry, but I don’t bite,” Francis replied, giving advice: “When you get angry, drink a glass of water before you answer. Let us leave anger to the dogs and try to be meek.” Finally, when asked who his friends were, the Pope replied: “My friends are the people who live with me, at home. I have many friends outside, some parishes and even some cardinals are friends. I have the grace of having friends, and this is a grace from God, because the person who has no friends is a sad person”. The meeting ended with an exchange of peace and with a blessing.

Caritas italiana e Intesa San Paolo, una alleanza contro le povertà. In tre anni aiutate 40.000 persone, 1 milione gli interventi realizzati

Lun, 06/11/2023 - 15:09

4,5 milioni di euro dall’inizio della pandemia ad oggi. 1 milione di interventi realizzati tra pasti, posti letto, farmaci e indumenti. Oltre 40.000 persone aiutate in 80 Caritas diocesane. E’ questo il bilancio dei tre anni di alleanza tra Caritas italiana e Intesa Sanpaolo, che hanno presentato questa mattina a Roma i risultati e gli sviluppi del programma “Aiutare chi aiuta” contro l’aumento delle povertà in Italia. Una iniziativa confermata per il quarto anno, nel biennio 2023-2024, con un focus sul mondo del carcere e sul reinserimento delle persone detenute. A questo proposito sarà inaugurato venerdì prossimo, nel carcere minorile di Casal del Marmo, un pastificio che darà lavoro a una ventina di giovani detenuti. Tra gli ambiti di intervento privilegiati dalla collaborazione: l’offerta di beni e aiuti materiali, casa e accoglienza, sostegno nella ricerca di lavoro e nell’avviamento di nuove imprese. Nel secondo anno l’attenzione è stata rivolta alle persone anziane, nel terzo alla povertà giovanile e all’inclusione della popolazione anziana. Per coordinare il lavoro è attiva una apposita “cabina di regia” che tiene conto dei bisogni e delle risposte necessarie, cercando di raggiungere in maniera capillare i territori che hanno meno risorse.

L’intervento di quest’anno privilegerà il mondo del carcere, ha spiegato Paolo Bonassi, executive director Strategic Initiatives and Social Impact di Intesa Sanpaolo, e “si svilupperà lungo quattro direttrici: promozione dei valori e del rispetto delle regole, della legalità; distribuzione di beni primari e di prima necessità, in particolare pasti, indumenti, prodotti per l’igiene sia in carcere sia presso strutture protette, a cui si aggiungono servizi di accoglienza e accompagnamento per i detenuti in permessi premio, agli arresti domiciliari o che hanno da poco concluso il percorso di pena; formazione, con corsi professionalizzanti e di accompagnamento al lavoro all’interno e all’esterno del carcere, con incarichi lavorativi durante e al termine del periodo di detenzione”.  L’alto tasso di recidiva al 70% scende infatti al 2% “per chi in carcere ha appreso un lavoro”, ha aggiunto Bonassi.

“Non distogliere mai lo sguardo dai poveri”. “Viviamo un tempo difficile – ha detto don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana –  la guerra ci ricorda che tutto può essere stravolto da un momento all’altro. In Italia aumentano povertà e lavoro povero. Di fronte ad una sfida del genere dobbiamo costruire comunità solidali e dare risposte complesse”.  “Non dobbiamo distogliere mai lo sguardo dai poveri – ha sottolineato – è la nostra forza e ciò che ci motiva e ci spinge a stringere nuove alleanze.

In questo tempo così complesso tutti dovremmo tornare ad essere ‘spacciatori’ di opportunità”.

Il progetto con Intesa San Paolo permette di costruire “comunità solidali che vedano la partecipazione di tutti, soprattutto dei poveri. Altrimenti risorse continueremo a fare assistenzialismo, noi invece vogliamo la promozione delle persone. Non possiamo delegare a qualcuno il bene comune, non possiamo dare per carità ciò che è dovuto per giustizia”.

“La solidarietà è un modo di fare la storia”. Don Claudio Francesconi, economo della Cei, ha poi inviato a riflettere sul senso della solidarietà: “La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia. Agire nella concretezza significa tradurre tutto in azioni che hanno bisogno di risorse, che possono davvero cambiare la storia delle persone”. In questi casi l’apporto dell’economia (e degli operatori economici) deve essere “a servizio dell’uomo e rivolta alla vita, con una finanza orientata da principi etici e di responsabilità sociale rispetto all’impiego di risorse finanziarie”, ma sappiamo che non sempre questo avviene.

Il 10% delle persone in povertà assoluta si rivolge alle Caritas. La Caritas, attraverso le sue reti, riesce a mappare la povertà in Italia. Dal 2009 raccoglie infatti ed elabora dati provenienti dai centri d’ascolto e dalle parrocchie italiane, che intercettano il 10% dei 5 milioni di poveri assoluti in Italia (circa 500.000 persone). Il 40% sono italiani. Il 70% di chi si rivolge alla Caritas lamenta gravi problemi economici, disoccupazione, assenza di casa senza dimora. Nel 2022 la rete Caritas ha realizzato 3 milioni e mezzo di interventi. Lo ha ricordato il sociologo Walter Nanni, dell’ufficio studi di Caritas italiana. “Un quarto di queste persone lavorano. Vuol dire che il reddito è insufficiente a soddisfare le necessità”.

Ai working poor sarà dedicato il Rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale in Italia, che sarà presentato il 17 novembre a Roma.

Tra i servizi Caritas che hanno usufruito delle risorse messe a disposizione da Intesa San Paolo c’è l’Ostello “Luigi di Liegro” a via Marsala, accanto alla stazione Termini di Roma. Da 35 anni offre ospitalità notturna, cibo, ascolto professionale e accompagnamento a 185 persone senza dimora, con disagio psichico, ex detenuti, migranti, anziani soli con problemi sanitari. “E’ un luogo di cura e di difesa della dignità umana di chi è rimasto indietro – ha spiegato Luana Melìa, responsabile dell’Ostello della Caritas Roma – Negli anni la povertà è cambiata. Le situazioni sono complesse per cui non possiamo dare risposte facili e semplificate, c’è un percorso da fare insieme”.  Carlo Bosatra, direttore della Caritas Lodi, ha raccontato l’esperienza del Fondo diocesano che dal 2009 ad oggi ha sostenuto 193 nuclei familiari, anche aiutando le famiglie a far studiare i figli. Don Giovanni Branco, presidente della Fondazione Misericordie Domini onlus della Caritas Capua, ha invece descritto l’iniziativa a sostegno degli anziani che vivono nel centro storico della città, con un luogo fisico dove condividere pasto e aggregazione: “Ogni settimana seguiamo anche 80 persone allettate, con tanti volontari e giovani in servizio civile”.

Nel carcere minorile di Casal del Marmo. Il cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma, è don Nicolò Ceccolini. Qui sarà inaugurato venerdì 10 novembre, che darà lavoro progressivamente a una ventina di giovanissimi detenuti. “Il carcere ti cambia in meglio o in peggio – ha detto -. Dipende dalle persone che trovi: alcuni ti possono aiutare a diventare una luce, altri no. Il rischio che il ragazzo esca dal carcere più incattivito è molto alto. Quando arrivano sono come navi alla deriva che si scontrano contro una scogliera, abbandonati a sé stessi. Tanti pezzi che bisogna riassemblare. La prima opera risanatrice è quindi far sentire ogni ragazzo degno di stima”.

 

Invalidità civile e valutazione multidimensionale. Locatelli: “Semplificare e sburocratizzare le procedure”

Lun, 06/11/2023 - 13:01

Il Consiglio dei ministri ha approvato, venerdì 3 novembre, due decreti attuativi della legge 22 dicembre 2021, n. 227 “Delega al governo in materia di disabilità”. Uno riguarda la definizione della condizione di disabilità. L’altro i livelli essenziali delle prestazioni in favore delle persone con disabilità, che stabilisce che a determinarli sarà una specifica cabina di regia, della quale faranno parte le federazioni più rappresentative delle associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie.

Il decreto maggiormente rappresentativo del cambio di prospettiva e di approccio al tema delle disabilità riguarda la valutazione dell’invalidità di base e multidimensionale: definisce la condizione di disabilità, introduce l’accomodamento ragionevole, riforma le procedure di accertamento e la valutazione multidimensionale per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale e personalizzato. La riforma è una tappa importante per la piena applicazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e si allinea a quanto previsto dall’Agenda europea 2021-2030.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

“Stiamo vivendo un momento storico, strategico e di cambiamento, questo decreto è legato al Pnrr quale riforma fondamentale per il nostro Paese e indietro non si torna – spiega il ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli -.

Cambiare la prospettiva sul tema disabilità e introdurre nuove procedure è indispensabile per garantire i diritti e la piena partecipazione alla vita civile e sociale, per innovare e contemporaneamente migliorare la qualità della vita di tutti”.

“L’introduzione del progetto di vita, per valutare le disabilità e garantire una presa in carico completa della persona, dal punto di vista sanitario, socio sanitario e sociale – aggiunge il ministro Locatelli – consentirà di superare le estreme frammentazioni di prestazioni, servizi e misure e la riforma del sistema di valutazione dell’invalidità civile è fondamentale per semplificare e sburocratizzare gli attuali percorsi complessi, eliminare le ripetute visite di controllo e per ottenere certificati e visite mediche in tempi più accettabili”.

“Con questo decreto attuativo – chiarisce Locatelli – intendo

mettere la persona al centro,

saranno le Istituzioni a doversi muovere per garantire il coordinamento di misure e servizi. Le procedure entreranno in vigore con una sperimentazione che partirà il 1° gennaio 2025 e avrà la durata di 12 mesi. Finito l’iter di approvazione della norma, come previsto dalla milestone del Pnrr entro giugno 2024, quindi dopo il passaggio in Conferenza unificata e al Consiglio di stato e prima di andare ai pareri delle commissioni interessate di Camera e Senato, inizieremo un intenso percorso di formazione che coinvolgerà enti e territori per l’elaborazione del progetto di vita”.

(Foto ANSA/SIR)

La Fish-Federazione italiana per il superamento dell’handicap accoglie con favore l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di questi due decreti applicativi della legge delega al Governo in materia di disabilità. “Due passaggi fondamentali”, secondo la Fish, “per la costruzione di una norma che modificherà sostanzialmente il nostro sistema. Il Cdm ha approvato la valutazione di base, la valutazione multidimensionale ed il budget di progetto per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”.
“C’è un passaggio nei testi di cui attualmente disponiamo che ci soddisfa particolarmente, ovvero la definizione di condizione di disabilità sia dal punto di vista della prospettiva individuale, sia dell’interazione con l’ambiente. E questo, com’è noto, è uno dei temi cruciali della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che resta per noi il principale punto di riferimento e che dovrà esserlo anche nella concreta applicazione della legge delega. Appena i testi saranno resi ufficialmente pubblici li esamineremo, pronti a portare le nostre istanze rispetto ad eventuali miglioramenti che riterremo necessari. Continueremo a lavorare per la creazione di un quadro normativo volto effettivamente a garantire i diritti e il benessere delle persone con disabilità in Italia”, dichiara il presidente della Fish, Vincenzo Falabella.

Padre Renato Chiera (Casa do Menor): “Gesù è nei bambini”

Lun, 06/11/2023 - 08:10

Difficile far credere a chi non ha nulla, nemmeno una famiglia che lo ama, che esista una alternativa alla droga e al potere che può dare. Ancora più difficile è pensare che nella condizione di abbandonati, non amati, ma sfruttati dalle bande criminali del narcotraffico, ci siano dei bambini. Dal 1978 padre Renato Chiera, ascolta il grido e la richiesta di aiuto dei ragazzi delle periferie brasiliane sottraendoli alla strada e alle sparatorie fra bande. A questa parte di umanità ferita, nel 1986, il religioso apre le porte della Casa do Menor, un’organizzazione che negli anni salva dalla violenza centinaia di migliaia di bambini ed è attiva in quattro Stati del Brasile. Ai loro occhi, il messaggio evangelico che insegna ai suoi bambini padre Renato appare rivoluzionario: l’altro è un dono.

Padre, l’umanità ha bisogno di recuperare una teologia dei bambini?
Nei bambini c’è Gesù. La parola ispiratrice di Casa do Menor è “l’avete fatto a me”. Sono 38 anni che aiuto i figli del Brasile che non sono amati.

Il motivo che mi spinge è Gesù, una presenza che sento dentro di loro. Quando vado incontro a loro mi alimento.

Un ragazzo di 15 anni stamattina mi diceva di essere stanco, di voler stare con la famiglia, si sentiva abbandonato proprio come Gesù sulla croce. Questi bambini sono tutti dei Gesù che si sentono abbandonati.

Casa do Menor ha cominciato proprio così, andando incontro ai bambini abbandonati?
Abbiamo iniziato ascoltando il grido dei ragazzi che non volevano morire, ma per vivere avevano bisogno di amore. Non pensavo di costruire la Casa do Menor. Quando ero piccolo, volevo essere come Don Bosco. Poi da adulto ho capito che il Signore aveva in serbo altro e ho lasciato l’insegnamento della filosofia a Mondovì. Nel 1978 sono stato mandato dal mio vescovo come missionario nella periferia di Rio De Janeiro dove mi sono scontrato con la povertà estrema. I ragazzi chiedevano che qualcuno li amasse. Uno di loro l’ho trovato sanguinante nel garage. Era stato ferito dalla polizia.

Abbiamo sentito il grido dei ragazzi che come lui per vivere avevano bisogno di amore. Avevano bisogno di Dio.

Oggi ci dedichiamo anche agli adulti che gridano e chiedono aiuto, nelle case di comunità terapeutiche dove ristrutturiamo la loro vita aiutandoli ad amare.

In tanti anni ha salvato 100mila ragazzi
No. Più di 120mila. Ci sono ragazzi che tornano a ringraziarci, magari dopo aver trovato una nuova via lontano dalla droga. Altri diventano missionari, sentono di essere dono per gli altri dopo aver ricevuto amore. Non lavoriamo per togliere la droga ma per ristrutturare la persona, riuscire a recuperare i rapporti con gli altri e i valori in cui credere. La droga entra quando la vita diventa brutta, non quando è felice. Tutti i giorni con i ragazzi buttiamo un dado con sei facce, su ognuna c’è una frase della Bibbia per insegnare ad amare. Oggi non si insegna più ad amare, è per questo che non siamo felici. Essere dono per l’altro ci cambia la vita e di conseguenza superiamo le carenze, lasciamo quello che cercavamo per riempire dei bisogni interiori.

Ognuno di noi è dono, non riusciamo più a vederlo.

Qui non siamo in guerra, ma le fazioni dei narcotrafficanti lottano fra di loro con continue sparatorie. Insegnare loro che l’altro è un dono è una rivoluzione.

Ha mai temuto per la sua vita?
Ho ricevuto molte minacce in passato. Quando sono arrivato c’era ancora la dittatura. Ma davanti alle morti non potevo rimanere con le mani in mano. Oggi ricevo aggressioni: mi dicono che sono comunista o che dovrei solo dire Messa. Vado avanti. Non è facile essere alternativi ai narcotrafficanti che danno potere e soldi.

Il Papa oggi incontrerà 6mila bambini di 56 Paesi diversi
Questo papa è come Gesù che metteva al centro i bambini. La Chiesa non sempre li mette al centro, così come la società. In Francesco invece vedo la presenza di Gesù che continua a mandare un messaggio.

 

Father Renato Chiera (Casa do Menor): “Jesus is in the children”

Lun, 06/11/2023 - 08:10

Convincing people that there is an alternative to drugs and the power they give is difficult when they have nothing, not even a loving family. It is even harder to face the fact that there are children who are abandoned, unloved and exploited by drug trafficking gangs. Since 1978, Father Renato Chiera has responded to the cries and pleas for help from children in Brazil’s poorest neighbourhoods, rescuing them from the streets and gang wars. To this wounded humanity, in 1986 the priest opened the doors of the Casa do Menor, an organisation that over the years has rescued hundreds of thousands of children from violence. It operates in four Brazilian States. In their eyes, the Gospel message that Father Renato teaches his children appears revolutionary: the other person is a gift.

Father, should humanity rediscover a theology of children?

Jesus is in the children. The inspiring word of Casa do Menor is “You did it for me”. I have been helping the unloved children of Brazil for 38 years.

The driving force is Jesus, I feel his presence in them. When I reach out to them, I am nourished.

A 15-year-old boy told me this morning that he was tired, that he wanted to be with his family, that he felt abandoned like Jesus on the cross. These children are all little Jesuses who feel abandoned.

Was it by reaching out to abandoned children that Casa do Menor began its activity?

We first responded to the cry of children who did not want to die, but needed love to continue living. I had no plans to found Casa do Menor. When I was a child, I wanted to be like Don Bosco. Then, as I grew up, I realised that the Lord had something else in store for me and I left my job as a philosophy teacher in Mondovi. In 1978, my bishop sent me as a missionary to the suburbs of Rio de Janeiro, where I found extreme poverty. These young people were crying out for someone to love them. I found one of them bleeding in a garage. He had been wounded by the police.

We heard the cry of the young people who, like him, needed love to live. They needed God.

Today, we also work with adults who need help, in therapeutic communities where we rebuild their lives by helping them to love.

In all these years, you have saved 100,000 children.

Actually, more than 120,000. Some of these children return to express their gratitude, perhaps after discovering a new path away from drugs. Others become missionaries. They feel they are a gift to others, having received the love they needed. Our efforts are not aimed at removing the drugs. They are aimed at rebuilding the person, rebuilding relationships with others, and rebuilding values to believe in. Drugs come in when life is ugly, not when life is happy. Every day with these young boys and girls, we roll a six-sided die, and on each side there is a phrase from the Bible about the teaching of love. Today we are no longer taught to love and that is why we are not happy. Being a gift to others changes our lives and as a result we overcome our shortcomings, we stop looking for what we wanted in order to satisfy our inner needs.

Each of us is a gift, we just can’t see it anymore.

We are not at war here, but factions of drug dealers are fighting each other with constant gunfire. To teach them that the other person is a gift is a revolution.

Have you ever feared for your life?

I have received many threats in the past. When I arrived, there was still a dictatorship. But when I saw the deaths, I could not stand idly by. Today I have been accused of being a communist, or that I ought to confine myself to saying Mass. But I continue my work. It is no easy task to be an alternative to the drug traffickers who provide power and money.

Pope Francis will meet 6,000 children from 56 countries today.

This Pope is like Jesus, who put the children at the centre of everything. The Church does not always put them at the centre, nor does society. In Francis instead I see the presence of Jesus who continues to send out a message.

Papa Francesco, i bambini e quelle loro domande che fanno maturare gli adulti

Lun, 06/11/2023 - 08:03

In un mondo devastato dalla guerra e dalla sofferenza, il Papa invita i bambini da diversi Paesi a San Pietro. In 6000 hanno risposto alla sua chiamata e arriveranno da 84 nazioni del pianeta. Un incontro importante, il cui significato è ritrovare la limpidezza e la purezza, caratteristiche dell’infanzia, ritrovare il coraggio di sognare e sperare in un mondo migliore, ritrovare l’umanità. “Cari bambini vi aspetto per imparare anche io da voi – ha ricordato Francesco nel presentare l’evento – perché i bambini ci insegnano la limpidezza delle relazioni, l’accoglienza spontanea di chi è forestiero e il rispetto per tutto il creato”.
E non c’è dubbio che quando incontra i bambini, il Santo Padre sembra volere imparare davvero. Instaura con lor un dialogo, pone e riceve domande, scherza e racconta aneddoti della sua vita. Spesso ha affermato che “le domande più difficili che ho ricevuto non sono quelle fatte dai professori agli esami, ma quelle dei bambini”. E questo “perché rispondere alle domande di un bambino ti mette in difficoltà, perché il bambino ha qualcosa che guarda all’essenziale e fa domande dirette. Così i bambini fanno maturare gli adulti con le loro domande”.

Non è la prima volta che Francesco convoca i più piccoli in Vaticano. Era l’11 maggio del 2015 quando, a trovarlo vennero in 7mila, convocati a Roma per partecipare alla manifestazione “Fabbrica della pace”. Durante l’incontro un bambino egiziano della periferia romana, figlio di immigrati, chiese al Papa perché “le persone potenti non aiutano la scuola”. “Si può fare una domanda più grande” replicò Francesco: “Perché tante persone potenti non vogliono la pace? Perché vivono delle guerre, l’industria delle armi è grave! I potenti guadagnano la vita con la fabbrica delle armi e vendono le armi a questo e quel paese: è l’industria della morte, ci guadagnano”.
Non risposte banali quindi ma lucide e profonde come quando sottolineò l’importanza della scuola. L’occasione fu quella legata all’iniziativa “il treno dei bambini”, nata nel 2013 con l’obiettivo di far giungere Vaticano, grazie all’ausilio dei treni, moltissimi minori provenienti da situazioni di disagio. Una giornata che il Papa stabilì avrebbe trascorso con i suoi piccoli ospiti. Nel 2015 furono invitati i figli di alcuni detenuti.

Altro incontro con i ragazzi quello del 2017. Nella casa di Papa Francesco arrivano i “Cavalieri”, adolescenti della scuola media unti dalla promessa di condividere un’amicizia cristiana. Vennero da tutta Europa e posero domande sulla vita, sul crescere e sul diventare grandi.

“La vita è un continuo ‘buongiorno’ e ‘arrivederci’ – disse in quell’occasione il Papa -. Tante volte sono distacchi piccoli o cose piccole, ma tante volte è un ‘arrivederci’ per anni o per sempre. Si cresce incontrandosi e congedandosi. Se tu non impari a congedarti bene, mai imparerai a incontrare nuova gente”.

L’anno seguente, nel 2018, il Papa ricevette i ragazzi romeni dell’ong “FDP protagonisti nell’educazione”. Quella volta le domande furono più dure. I bambini chiesero perché a volte le mamme decidono di non volere i loro figli, perché la sorte avesse deciso di dare a qualcun altro una vita tanto difficile, o perché spesso le persone care muoiono prematuramente. E Francesco, con la dolcezza che da sempre lo caratterizza, provò a spiegare l’egoismo e i suoi effetti deleteri, provò a raccontare che la sofferenza e il dolore sono parte dell’uomo anche se a volte lo sovrastano. E poi, concluse ogni risposta, invitando loro ad affidarsi sempre all’Amore e alla Giustizia di Dio.

Siamo nel 2019 e nell’Aula Paolo VI il Papa accoglie i ragazzi aderenti all’iniziativa “il calcio che amiamo”. Sono circa 6mila provenienti da Lazio e Abruzzo. Al centro dell’incontro lo sport nel quale, secondo il Papa, ritorna il messaggio importante dell’educazione. “Vi auguro di sentire sempre la gratitudine per la vostra storia fatta di sacrifici, di vittorie e di sconfitte – disse rivolgendosi ai dirigenti delle associazioni sportive presenti –, e di sentire anche la responsabilità educativa, da attuare attraverso la coerenza di vita e la solidarietà con i più deboli, per incoraggiare i giovani a diventare grandi dentro, e magari anche campioni nella vita”.
Nello stesso anno, altro grande incontro con gli Scout. Ad ascoltarlo, accorsero in più di centomila. “La Chiesa – disse – deve imparare a fare ponti laddove c’è l’abitudine a creare muri”.

Gli incontri tra Francesco e i più piccoli non si esauriscono nelle grandi manifestazioni. Numerosi e frequenti sono state e sono le visite da lui effettuate presso case comuni o istituti, in particolare durante i viaggi, ma anche quelle presso casa Santa Marta. Nel 2022 ad esempio, arrivò una lettera in Vaticano dalla Puglia. A inviarla, un bambino di 8 anni. La sua famiglia aveva accolto in affidamento due bambini nigeriani, già prigionieri in un campo di torture in Libia. Due bambini provati, due bambini, suoi nuovi amichetti, il cui desiderio è conoscere il Papa. La risposta dal Vaticano arrivò quasi immediata: i bambini e la famiglia furono invitati a conoscere il Santo Padre un mercoledì, al termine dell’Udienza Generale in Vaticano.

E siamo ai giorni nostri. Nel 2023, nel corso della manifestazione “Il Cortile dei Gentili” il Papa ha incontrato in Vaticano 160 bambini, tra i quali molti affetti da disabilità. Con loro ha giocato e come sempre si è fermato e ha risposto alle loro domande. Con loro anche una piccola comunità di bambini provenienti dall’Ucraina. Tra questi, uno di loro ha chiesto al Papa quando avrebbe potuto andare in vista in Ucraina, dove “ci sono molte – disse – tante persone che soffrono. “Io avrei tante voglia di andare in Ucraina – rispose il Santo Padre – ma devo aspettare il momento per farlo”.
In conclusione è importante ricordare che più volte Francesco ha parlato dei bambini indicandoli come un dono, come una “una ricchezza per l’umanità e per la Chiesa, perché richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono”. Inoltre, guardando a tutti i paesi in cui ci sono dei bambini che soffrono per guerra, fame o distruzione ha detto che “una società si giudica in base a come tratta i bambini”. E la giornata del 6 novembre guarda proprio al futuro, al loro futuro e alle loro speranze; le domande infatti che faranno saranno incentrate su quattro temi: ereditare, condividere, connettere e donare.

in collaborazione con Martina Anile

Alluvione in Toscana: proseguono gli interventi per aiutare la popolazione colpita

Sab, 04/11/2023 - 15:17

Sono proseguiti nella notte gli interventi per aiutare la popolazione colpita dal maltempo in Toscana, in particolare nelle province di Firenze, Prato e Pistoia. Come riferisce il governatore toscano Eugenio Giani idrovore sono ancora in funzione a Campi Bisenzio, Seano, Poggio a Caiano, Quarrata, Montemurlo e sono previsti ulteriori rinforzi di squadre per assistere la popolazione.
“Oggi stesso abbiamo più di 1.000 volontari che stanno lavorando, ci sono sei colonne mobili in arrivo, cinque colonne mobili di volontariato nazionale, quindi i mezzi ci sono. Il tema vero è l’impiego dei mezzi in un territorio molto ampio, per questo abbiamo chiesto anche il rafforzamento dei centri di coordinamento per sapere bene come si impiegano i mezzi”, ha sottolineato il capo della Protezione civile nazionale Fabrizio Curcio nella conferenza stampa tenuta a Firenze insieme al presidente della Regione Eugenio Giani per fare il punto sui danni del maltempo in Toscana.
La vittime nel frattempo sono salite a 7, dopo il ritrovamento del corpo di un anziano a Campi Bisenzio, disperso da giovedì. “Dietro ad ogni numero ci sono famiglie che soffrono e bisogna essere rispettosi”, ha aggiunto Curcio.
Come prima stima dei danni il presidente Giani ipotizza sia “sui 300 milioni tra pubblico e privato ma è una stima assolutamente parziale, è una stima che fa riferimento a quello che finora abbiamo registrato”.
Nel frattempo è attesa un’altra ondata di maltempo. “Probabilmente ci sarà bisogno, questo lo stabiliranno i sindaci, anche di evacuazioni preventive del territorio che è stato colpito. In questo senso si sta facendo il possibile per supportare le persone”, ha detto Curcio.
Un appello per trovare volontari per fare i sacchi di sabbia da distribuire nelle zone più a rischio è quello che ha lanciato Simone Calamai, sindaco di Montemurlo, tra i comuni del pratese più colpiti dalle piogge. “Il sindaco Simone Calamai – si legge su Fb del Comune – invita tutti a dare una mano e a presentarsi in via Toscanini, 25 sede del Coc, centro operativo protezione civile”.
Per fronteggiare le mareggiate che nella giornata di ieri hanno provocato danni da allagamenti in vari stabilimenti balneari in Versilia (Lucca), il Comune di Viareggio e la Protezione civile nel corso della notte scorsa hanno fatto realizzare da una ditta una duna di sabbia continua alta due metri a partire dalla spiaggia vicino al molo fino alla fossa dell’Abate al confine con Lido di Camaiore.
Tra i disagi più gravi la mancanza di energia elettrica. Enel sottolinea che “grazie alle riparazioni effettuate e ai gruppi elettrogeni installati (circa 70 in totale quelli già movimentati) il numero di clienti disalimentati è sceso a circa 9.000, di cui oltre 6mila tra Prato e provincia (Prato, Montemurlo, Cantagallo, Vaiano e Vernio) e Campi Bisenzio in aree allagate, di frana e ancora difficilmente accessibili”.
“Negli eventi alluvionali la presenza di acqua rende molto complicato in alcune aree il ripristino della parte elettrica e dei servizi essenziali – ha spiegato Curcio -. Bisogna lavorare molto sul territorio per stabilire le priorità soprattutto per le persone più fragili, per quelle che sono già fragili per problemi e gli anziani che non possono stare in abitazioni dove non c’è energia ed acqua”.

(*) Toscana Oggi

Su Apple TV+ “Lezioni di chimica” con Brie Larson e su Sky “Unwanted” con Marco Bocci

Sab, 04/11/2023 - 09:44

Dal romanzo allo schermo, sguardi sulla società con storie di diritti, sofferenze e desideri di riscatto. Anzitutto su Apple TV+ la miniserie “Lezioni di chimica” (“Lessons in Chemistry”) firmata dallo showrunner Lee Eisenberg, dal bestseller di Bonnie Garmus: Stati Uniti anni ’50, Elizabeth Zott è una brillante chimica la cui carriera però viene frenata da un maschilismo invidioso e arrogante; la sua rivincita parte dal piccolo schermo, diventando una nota divulgatrice scientifica nel programma di cucina “Supper at Six”. Miniserie splendida per linea di racconto, temi in campo e confezione formale. Protagonista il Premio Oscar Brie Larson, mai così brava dai tempi di “Room” (2015). Tra i produttori l’attore Jason Bateman. Su Sky e Now al via la serie drammatica giocata tra thriller e dramma morale “Unwanted. Ostaggi del mare” diretta da Oliver Hirschbiegel e firmata da Stefano Bises. Prendendo le mosse dal romanzo inchiesta “Bilal” di Fabrizio Gatti, “Unwanted” affronta il tema dell’accoglienza migranti raccontando un salvataggio di 28 esuli africani da parte di una nave da crociera nel Mediterraneo. La convivenza a bordo riflette pregiudizi e sfide del nostro presente. Una coproduzione internazionale targata Sky Studios, Pantaleon Films e Indiana Production, con protagonisti Marco Bocci e Jessica Schwarz. Il punto Cnvf-Sir.

“Lezioni di chimica” (Apple TV+)

La miniserie “Lezioni di chimica” (“Lessons in Chemistry”), dal 13 ottobre su Apple TV+ con 8 episodi, è una riuscita istantanea dell’America di ieri, gli Stati Uniti degli anni ’50, tra sogni professionali e divisioni sociali, ma anche del nostro presente: una storia che ci parla della condizione di una donna, di molte donne, relegate ai margini della vita professionale o familiare semplicemente perché donne. All’origine c’è il romanzo d’esordio di Bonnie Garmus, un’opera che si concentra sul percorso di affermazione di una scienziata in un mondo, quello della ricerca, a trazione maschile. Un racconto che si fa manifesto per i diritti delle donne, ma anche per quelli della comunità afroamericana, sul tracciato di titoli come “Una giusta causa” (2018), “Il diritto di contare” (2016) o “The Help” (2011). Una riflessione che si apparenta a suggestioni contemporanee come “Barbie” di Greta Gerwig e “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi.
La storia. Stati Uniti anni ’50, Elizabeth Zott (Brie Larson) è una brillante chimica costretta al ruolo di tecnico di laboratorio solo perché donna, e pertanto non ritenuta idonea a guidare una propria linea di ricerca. Ben presto trova un alleato nell’astro in ascesa dell’istituto Calvin Evans (Lewis Pullman), scienziato che coglie subito il suo talento. La vita di Elizabeth sembra così procedere nella direzione giusta, finché il destino si mette di traverso e lei deve ripartire da zero. Allontanata dal laboratorio Elizabeth si dedicherà alla televisione, dove impartirà lezioni di cucina e, indirettamente, di scienza conducendo il programma “Supper at Six”. In breve tempo diventerà uno dei volti più popolari dell’etere, punto di riferimento per molte donne in cerca di riscatto…
Che bella sorpresa la miniserie Apple TV+ “Lezioni di chimica”! Un riuscito mix di forma e contenuto, tra magnifica e accurata messa in scena, con la ricostruzione puntuale dell’atmosfera statunitense anni ’50, e linea di racconto, con un copione ben calibrato e dinamico, mai dispersivo o ripetitivo. A firmare il progetto è lo showrunner Lee Eisenberg (“WeCrashed”, “Little America”), che valorizza al meglio il potenziale narrativo uscito dalla penna della Garmus.  Punto di forza della serie sono di certo i personaggi, su tutti quello di Elizabeth Zott cesellato con cura e fascino dal Premio Oscar Brie Larson, che regala una performance magnifica, ritornando al meglio della sua espressività dai tempi di “Room” (2015). La Larson riesce a conferire un’ampia gamma di sfumature al personaggio di Elizabeth, alternando una apparente durezza di temperamento con lampi di delicatezza e profondità interiore, tratteggiando un ritratto di donna, di scienziata, determinata, combattiva, sognante e con una chiara linea etica. Una donna libera. Accanto al personaggio di Elizabeth Zott, riusciti e trascinanti anche i comprimari: il ricercatore Calvin Evans, interpretato con tenerezza ed efficacia da Lewis Pullman (“Top Gun: Maverick”); la vicina Harriet Sloane, avvocato in prima linea per i diritti, l’attrice Aja Naomi King (“Le regole del delitto perfetto”); e il reverendo Wakely, sagomato dal convincente Patrick Walker, con cui Calvin ed Elizabeth ingaggiano un interessante dialogo tra scienza e fede.
Nell’insieme “Lezioni di chimica” risulta una miniserie valida, acuta e convincente per la varietà dei temi in campo, dove le linee ricorrenti sono i diritti fondamentali, la parità di accesso professionale, la lotta alle discriminazioni, come pure il valore della scienza, della famiglia e della fede. Una serie dalla confezione ricercata ed elegante, dal ritmo narrativo brillante e serrato, esaltato da interpreti in parte e da musiche misurate, la bella colonna sonora di Carlos Rafael Rivera. “Lezioni di chimica” è consigliabile, problematica, per dibattiti.

“Unwanted. Ostaggi del mare” (Sky – Now)

Un ambizioso progetto internazionale, di cui Sky Studios è capofila con Pantaleon Films e Indiana Production: è “Unwanted. Ostaggi del mare”, serie che si confronta con il tema dei migranti provenienti dalle coste africane e l’accoglienza da parte dei Paesi europei. Tra sfumature thriller e dramma sociale, la serie si inserisce nell’acceso dibattito contemporaneo; a dirigerla il regista tedesco Oliver Hirschbiegel (“La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler”), mentre a firmare la sceneggiatura è l’italiano Stefano Bises (“Esterno notte”, “The New Pope”). Alla base c’è il romanzo di inchiesta “Bilal” di Fabrizio Gatti
La storia.  Mediterraneo, oggi. L’imponente nave da crociera Orizzonte è da poco partita, pronta a regalare un’esperienza indimenticabile ai suoi cinquemila passeggeri. Durante la traversata notturna il capitano Arrigo Benedetti Valentini (Marco Bocci) scorge un’imbarcazione di fortuna in fiamme. Dato l’allarme, fa soccorrere i dispersi in mare: 28 migranti africani. Una volta messi al sicuro e rifocillati, si apre la questione sulla scelta da compiere: farli sbarcare alla prima sosta utile, in Tunisia, oppure condurli in Italia? Interrogativi, paure e slanci di solidarietà si attivano a bordo anche tra croceristi ed esuli…
“Dare un volto a chi non ce l’ha”. Così ha sottolineato il regista Oliver Hirschbiegel, che ha aggiunto: l’obiettivo era “creare una serie che avrebbe portato il pubblico a cambiare il modo di vedere i migranti. In altre parole, cercare di rendere le persone più comunemente considerate ‘invisibili’ visibili, dando loro un volto, una voce e delle storie”. La serie “Unwanted” si muove su un terreno delicato e “scivoloso”, il tema dei migranti e la questione dell’accoglienza, più volte esplorati tra cinema e serie Tv. Ultimo in ordine tempo “Io Capitano” di Matteo Garrone, tra i vincitori di Venezia80 e ora in corsa per i prossimi Oscar. “Unwanted” prova a smarcarsi dal già visto con una proposta che si snoda tra thriller, dilemma morale, dramma sociale ed esistenziale di respiro corale, tra passeggeri, espressione della vita nel mondo occidentale polarizzata tra agiatezze e fragilità, e migranti, con un retroterra di sofferenze e sacrifici.
A giudicare dai primi episodi, le maglie del racconto risultano avvincenti e ben intricate, con un’efficace alternanza di piani temporali: il diario di bordo, con diversi punti di vista, i tanti flashback sulle biografie dei migranti, e le testimonianze raccolte nell’epilogo del viaggio. Il cast corrobora l’intensità del progetto; tra gli attori in primo piano si segnalano: Marco Bocci, Jessica Schwarz, Dada Bozela, Hassan Najib, Jonathan Berlin, Cecilia Dazzi, Francesco Acquaroli e Barbara Auer. La serie “Unwanted” ha un buon inizio, serrato e grintoso, fondendo avventura e realismo, thriller e dramma introspettivo, accostando il racconto di tensione a una stringente attualità. Complessa, problematica, per dibattiti.

Matteo Garrone: “tutte le persone devono muoversi liberamente e avere pari opportunità”

Sab, 04/11/2023 - 09:23

La fiaba omerica di Matteo Garrone, “Io Capitano”, prosegue il suo cammino a grandi passi verso il successo sia di pubblico che di critica. Dopo il Leone d’Argento di Venezia come migliore regista e il premio Marcello Mastroianni al miglior attore esordiente, Seydou Sarr, protagonista del film, il regista romano è in attesa di sapere se entrerà nella rosa dei finalisti come miglior film straniero agli Oscar 2024, per il quale è stato candidato. Intanto, il lungometraggio – la storia di due adolescenti senegalesi alle prese con il viaggio verso l’Europa, intessuto di violenza e di morte – a metà dicembre sarà distribuito in Africa, a partire proprio dal Senegal. Il regista è intervistato nel nuovo numero di Scarp de’ tenis, rivista di strada promossa dalla Caritas, della quale – in accordo con la redazione – riportiamo ampie parti.

(Foto ANSA/FABIO FRUSTACI-Sir)

Matteo Garrone aspetta con impazienza il momento della distribuzione del film in Africa…
Sarà interessante vedere la loro reazione. Chissà se potrà essere un monito per i giovani, per metterli in guardia, oppure se la loro forza vitale, la loro voglia di viaggiare, di conoscere il mondo – così come penso – va oltre qualsiasi monito.

Ha affermato che è un’ingiustizia il fatto che a loro sia impedito di spostarsi liberamente…
L’Africa è un Paese fatto di giovani. Che questi ragazzi e ragazze abbiano il desiderio di conoscere il mondo, cercare opportunità migliori, esattamente come abbiamo fatto e continuiamo a fare noi, è normale. Impedirglielo è una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Sono giovani e non si fermano, la loro carica vitale e la loro voglia di conoscenza non si ferma davanti ai fili spinati e ai muri europei. È davanti agli occhi di tutti.

(Foto ANSA/US VATICAN MEDIA-Sir)

Anche perché tanti scappano dalle guerre, dal cambiamento climatico…
Certamente è così. Ma è diventato anche uno stereotipo. Molti partono perché la globalizzazione è arrivata prepotentemente anche lì, partono perché ci sono i social, partono perché hanno una finestra costante sul nostro mondo e questo gli fa tante promesse. Partono perché vogliono conoscere il mondo, come fanno i nostri figli, e per cercare opportunità di vita migliori. Poi, certo, l’immagine che gli arriva è spesso falsata, anche da parte di chi è già qui e non ha voglia di far vedere i propri fallimenti. Le motivazioni della migrazione sono tante, non ho l’ambizione di volerle raccontare tutte in un unico film. Volevo raccontare un punto di vista, la storia di due ragazzi che cercano di combattere un sistema che li vuole bloccare nel loro Paese, che lottano contro questa ingiustizia per inseguire il loro sogni.

“Io Capitano” nasce dai racconti dei migranti, porta con sé la violenza, ma anche l’avventura…
È il grande racconto epico, una fiaba omerica. Già dai loro resoconti veniva alla luce. Ho cercato di dare voce a loro, di mettere in scena i loro racconti. Quando li ascoltavo ripensavo a Omero, e poi mi venivano in mente i romanzi di Stevenson, di Conrad, di Jack London. Insomma, c’è una componente romanzesca, con il grande racconto d’avventura, dentro questi racconti terrificanti che sono un pezzo di storia contemporanea: mentre noi parliamo stanno avvenendo quelle tragedie. Quasi tutto il film è girato in Marocco e quasi tutti erano migranti che avevano fatto il viaggio, anche sui barconi, ma ancora non erano riusciti ad arrivare in Europa. Io ho ascoltato molto i loro consigli durante le riprese. In questo film io sono un tramite.

L’Europa bunker è responsabile di questo sistema infernale dei viaggi?
Non ho risposte, perché di fatto il problema è complesso. Però la mia impressione è che se non si cominciano a regolarizzare i visti, a garantire dei canali di viaggio regolari e sicuri, noi alimentiamo sempre di più i trafficanti di esseri umani. Invece di combatterli.

*Scarp de’ tenis

Federico Ozanam: un “cattolico sociale” che ha anticipato i tempi

Sab, 04/11/2023 - 09:23

“C’e ancora un cattolicesimo sociale?”. A chiederselo è stato mons. Baldassarre Reina, vicegerente della diocesi di Roma, intervenendo alla presentazione del libro “Federico Ozanam cattolico sociale”, a cura di Giuseppe Chinnici e Roberto Cipriani (Franco Angeli Editore), presentato il 31 ottobre nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. “Il pensiero e l’opera di Federico Ozanam sono ancor oggi di grande ispirazione per tutti coloro che non siano indifferenti di fronte alle gravi diseguaglianze economiche e sociali che causano povertà e sofferenza, ai disagi e alle privazioni di chi non ha un lavoro e neanche un tetto per ripararsi, di chi deve rinunciare a curarsi e ad istruire i propri figli, di chi pensa con disperazione al domani”. E’ il presupposto del libro, il primo interamente dedicato al pensiero sociale di Federico Ozanam, storico, giornalista, impegnato in politica, fondatore della Società San Vincenzo De Paoli, beatificato da Giovanni Paolo II il 22 agosto 1997 durante la Giornata mondiale della gioventù di Parigi, la cui figura e opera, secondo i curatori, “continuano ad essere un punto di riferimento storico per l’azione volontaria a favore dei poveri, a partire da un’evidente matrice d’ispirazione cristiana in generale e cattolica in particolare, tanto da permettere di collocare il suo pensiero pienamente nell’ambito del cattolicesimo sociale”.

 “Mettere insieme l’approfondimento scientifico con il contatto diretto coi poveri”:

è questa, per mons. Reina, la cifra del cattolicesimo sociale del beato Ozanam. “Oggi invece parliamo dei poveri mantenendo le distanze”, la denuncia del presule: “Ci rendiamo conto che c’è una povertà materiale, economica, lavorativa, una povertà delle relazioni, ma è come se non ci riguardasse”. “Quello di Ozanam è unaltro paradigma”, ha spiegato Reina: “quello del coinvolgimento pieno, nella Francia della prima metà dell’Ottocento”.

“Ragionevolezza della fede e concretezza dell’operare”:

così Francesco Bonini, rettore dell’Università Lumsa, ha sintetizzato l’eredità di Federico Ozanam e la sua attualità “non solo per la Francia del suo tempo, ma per tutta l’Europa”. Federico Ozanam, per Bonini, “ha fatto politica sotto diversi regimi, sotto la Restaurazione e durante la Repubblica, perché il suo obiettivo era la risemantizzazione della politica, e in particolare dei valori della Rivoluzione francese – libertà, uguaglianza e fraternità – che si era tentato di secolarizzare dalla loro radice cristiana. E proprio attraverso la testimonianza cristiana tali valori vengono riportati alla loro radice umana, diventando non più valori astratti ma incarnati”. A fare il punto sulla realtà attuale del volontariato, partendo dalla testimonianza in anticipo sui tempi di Ozanam, è stata Cristina De Luca, presente del Centro servizi per il volontariato, secondo la quale “non è più sufficiente”, per rispondere alle urgenze di oggi, l’impegno delle numerose realtà che ogni giorno cercano di rispondere ai bisogni sempre crescenti dei poveri: “bisogna coinvolgere maggiormente i giovani, per costruire azioni che non siano più isolate ma diano risposte più unitarie.

L’azione del volontariato deve essere accompagnata da un’azione di sistema,  se si vuol dare un futuro e un impatto sociale forte all’azione stessa”. 

Un’azione, quella a favore dei poveri, in cui un ruolo centrale può essere svolto anche dalle grandi imprese.

“La sostenibilità fa parte della nostra strategia aziendale”,

ha spiegato Alessandro Cabella, dell’area manager Italia Cavalieri Hilton. “Noi siamo dei privilegiati, entriamo ogni giorno in contatto con persone che trascorrono momenti di gioia e di svago, e questo privilegio dobbiamo ripagarlo alla comunità”. Un esempio: i pasti non consumati – oltre 20mila negli ultimi anni – che vengono ridistribuiti alle mense della Caritas. “Quando riammoderniamo gli alberghi – ha reso noto inoltre Cabella – doniamo gli arredi alle strutture che ne necessitano. Il 19 novembre, in occasione della Giornata mondiale dei poveri, offriremo il pranzo per 1.300 persone nell’Aula Paolo VI”.

“Se non andate a casa del povero a mangiare con lui non capirete mai cosa è la povertà”:

a citare questa frase di Ozanam, come cifra della sua “partecipazione concreta alla povertà è stato Roberto Cipriani, uno dei curatori del volume. Giuseppe Chinnici, presidente della Fondazione Ozanam – San Vincenzo De Paoli, l’altro curatore del libro, ha descritto le attività della Fondazione che porta il nome del beato a favore delle famiglie povere, delle ragazze madri, degli ex detenuti, degli anziani in condizioni di povertà e i dei giovani in difficoltà. Molte le iniziative di solidarietà avviate soprattutto nelle zone più periferiche di Roma grazie alla creazione di una linea operativa di aiuti concreti composta da 90 volontari che si prodigano nell’assistenza ai poveri. “Le famiglie in gravi difficoltà – ha ricordato Chinnici – sono circa 126mila e sono state coinvolte alcune aziende per aiutarci a fornire con regolarità gli alimenti indispensabili. Contribuiamo, inoltre, alla mensa della parrocchia del Santissimo Redentore a Val Melaina”.

Sinodo: Virgili (biblista), “le donne non hanno ancora piena dignità ecclesiale”

Sab, 04/11/2023 - 09:15

Il Sinodo che si è appena concluso ha forse attirato meno interesse popolare di quanto non meritasse od anche ci si aspettasse negli ambienti ecclesiali. Le guerre che impazzano con i loro orrori su tutti gli schermi hanno attutito la voce di quel dialogo di pace che si è svolto per quasi un mese in Vaticano. I due anni di “preparazione” che hanno visto coinvolte, in Italia, diocesi e parrocchie, clero e laicato, avevano diffuso non solo un lessico prima estraneo ai più, ma anche
un fermento, un risveglio, un clima di attesa come se, veramente, dovesse accadere qualcosa che avrebbe cambiato i paradigmi della Chiesa.

Qualcosa di nuovo è, in realtà, accaduto ed è stato trasmesso con un segno: la geometria in cui è stata disposta l’assemblea sinodale in Sala Nervi.

Non più una grande platea rivolta verso una ribalta ad ascoltare le parole di alcuni ma tutti seduti attorno a tavoli rotondi con diritto/dovere di ascolto e di parola. Lo sguardo di ognuno rivolto verso gli altri undici, dato che al tavolo erano seduti in dodici: un sapore eucaristico, memoria di una originaria fractio panis.

Don Tonino Bello, auspicando una chiesa “col grembiule” le suggeriva di sostituire ai “segni del potere” il “potere dei segni”: credo che il Sinodo abbia voluto e sia riuscito a far questo.

E siccome i segni sono dei significanti vale a dire portatori simbolici di
reali significati, a questo segno doveva corrispondere una concreta condivisione della mensa comune della Parola, ispirata dallo Spirito Santo;

non si trattava, infatti, di un dibattito parlamentare ma di un dialogo sacramentale.

Una disposizione eminentemente radicata nella tradizione cristiana, poiché biblica: come quando a Cesarea, in casa di Cornelio, mentre stava annunciando la salvezza del Signore Gesù, Pietro vide lo Spirito scendere su tutta la famiglia di quel centurione incirconciso e dovette riconoscergli il battesimo. Così è accaduto al Sinodo: lo Spirito è sceso su tutti, vescovi e laici, uomini e donne che da Lui hanno ottenuto la legittimità della parola e del voto. La prima volta che anche le donne – votando – hanno dato riscontro della loro fede fatta visione, idea, decisione. Con buona pace di chi, fin a Sinodo iniziato, ha continuato a non riconoscere neppure la legittimità della presenza dei laici, in punta del diritto che regola l’istituto del Sinodo dei vescovi. Dimenticando il diritto fondativo di Pietro che, con uno scatto d’intuito profetico, disse: “chi ero io per porre impedimento a Dio?” (At 11,17).

Che i laici – e quindi le donne – abbiano potuto partecipare attivamente ai tavoli sinodali è una grande festa per la Chiesa, più che una conquista.

La festa è la Pasqua: impossibile celebrarla – nella mensa dei tavoli
dei dodici! – senza le donne. Come farlo senza il fratello maggiore.

Ma la Chiesa, nella sua storia, ha dovuto elaborare su un tessuto antropologico e dogmatico la teologia. E sappiamo come le cose siano andate.

Se c’è stato bisogno di dedicare una parte della discussione di quest’ultimo Sinodo al tema delle donne è segno che qualcosa deve ancora
compiersi circa la loro piena dignità ecclesiale.

Nella Relazione finale c’è, infatti, un numero – il 9 – così titolato: “Le donne nella vita e nella missione della Chiesa” le cui preoccupazioni sono quelle
di dover riconoscere alle donne dei carismi e dei ministeri sinora ignorati o negati. Ad esempio quello del diaconato sul quale, tuttavia, padri e madri sinodali hanno proposto un tempo ulteriore di studio i cui “risultati sono rimandati alla prossima Sessione dell’Assemblea”.

È stato, intanto, ribadito quanto già espresso da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, dieci anni fa:

la richiesta di un maggiore riconoscimento e valorizzazione del contributo delle donne, la partecipazione ai processi decisionali e all’assunzione di ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero (cf.EG 103-104). Una prassi che è già stata avviata in Vaticano dove appaiono delle donne anche in ruoli apicali. Ricordando, poi, l’importanza che, per la comunione della chiesa, ha la
corresponsabilità, l’Assemblea ha proposto qualcosa di prezioso: il bisogno di ampliare l’accesso delle donne ai programmi di formazione e agli studi teologici. Resta, però, da definire molto affinché perché questo si realizzi: in quali “quadri” ecclesiali, ministeriali – esclusi quelli che tendano a clericalizzarle – e professionali, e con quali mezzi – anche economici – le donne
possano fare ciò.

Quanto nella Relazione finale resta in sordina è la realtà concreta in cui queste buone proposte vanno a collocarsi.

La discussione – non solo quella sulle donne – si è svolta, infatti, più su un
piano teorico – la Tradizione, la teologia, l’ecclesiologia, la dogmatica, il diritto canonico – mentre è sembrata sfumata la percezione del contesto storico e culturale in cui vive oggi la Chiesa specialmente in Europa.

Ci si preoccupa molto della tradizione circa il diaconato femminile e troppo poco del bisogno estremo di una diaconia della fede e della fraternità che si traduca nelle realtà umane, culturali, politiche dell’oggi.

Preoccupati del rigore dogmatico dei ministeri si rischia di perdere di vista la ragione degli stessi. Quando il Sinodo si interroga: “come la Chiesa può inserire più donne nei ruoli e nei ministeri esistenti?” Oppure si chiede se: “servono nuovi ministeri a chi spetta il discernimento, a quale livello e con che modalità?”

il rischio è che ci si preoccupi di come i ministeri possano promuovere le donne e non viceversa: di come le donne possano promuovere i ministeri, dar forma ed efficacia ai loro carismi indispensabili per la missione attuale della Chiesa.

Il discernimento non può prescindere dalla libertà e il dovere di capire e rispondere alle tante grida che dalla terra si levano.

Il dono del Rinnovamento Carismatico: cantare la gioia di Dio

Sab, 04/11/2023 - 09:14

Per due giorni si sono ritrovati prima in alcune basiliche di Roma e poi in Aula Paolo VI per chiedere una nuova effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa e sul mondo ma anche per pensare agli obiettivi per i prossimi dieci in vista del Giubileo della Redenzione del 2033. Sono gli aderenti al Rinnovamento Carismatico Cattolico (Rcc) riuniti dal 2 al 4 novembre nella città di Pietro per un momento di formazione e di preghiera. Un corso specifico su temi sia di spiritualità carismatica che su argomenti di vita ecclesiale, espressamente voluto dallo stesso Papa Francesco che nel pomeriggio di oggi li incontrerà per confermarli nella fede e inviarli in missione. Una due giorni di workshop e incontri sotto la guida di Charis, l’organismo di servizio della Santa Sede chiamato a coordinare il Rinnovamento Carismatico Cattolico nel mondo.

“Chiamati, trasformati, inviati“, questo il titolo dell’incontro cui hanno aderito oltre duemila partecipanti provenienti da circa 100 Paesi del mondo. Ad accoglierli oltre a molti “veterani” del movimento tra cui l’assistente ecclesiastico del movimento, il Cardinale Raniero Cantalamessa e, nel pomeriggio di oggi anche il Santo Padre. Palpabile l’energia, l’armonia dei canti, la manifestazione della fraternità e quel particolare linguaggio nella preghiera, poco presente nelle liturgie e negli incontri dei movimenti più tradizionali del cattolicesimo, che li avvicina ai movimenti pentecostali di stampo evangelico. Un popolo innamorato dell’Eucarestia, del nome di Gesù e della Madre di Dio, Maria a cui sono intitolate diverse comunità e gruppi sparsi per il mondo. Suddivisi in tre basiliche di Roma, i partecipanti hanno trascorso il primo giorno alternando momenti di preghiera e adorazione a catechesi, guidati da alcuni predicatori del movimento. Tra i temi affrontati la missione, l’intercessione e l’unità.
“Siamo uniti nel nome del Signore sì o no?” ha esordito Josè Prado Flores aprendo ieri mattina in Aula Paolo VI la seconda giornata di lavori. “Io sono prezioso preziosi agli occhi di Dio”, ha proseguito, chiedendo all’assemblea di credere a queste parole invitando ciascuno a ripeterle nel cuore e a voce alta. “Dio ti attrae col suo amore misericordioso”, ha continuato, sottolineando che il cristiano non può vivere nella tristezza né “avere sempre una faccia da funerale” perché sa che “Dio è suo Padre” e anche se peccatore ha scoperto di essere stato salvato “non per i nostri meriti ma per l’Amore di Dio. Peccatori sì – ha concluso – ma corrotti no”.
Dopo la preghiera sono stati affrontati quindi temi importanti tra cui l’esercizio del dono della leaderschip e il percorso di evangelizzazione da vivere nei prossimi 10 anni ma anche argomenti di un certo rilievo come ad esempio i livelli di azione del male (peccato, rinuncia, liberazione) e i doni dello Spirito Santo, naturali, soprannaturali, ordinari e straordinari.
“Quello che contagia non è il canto (molto presente negli incontri, ndr) ma lo Spirito che trasforma l’uomo dopo l’incontro con Gesù” ci spiega Stefania, che aggiunge “non importa quale sia la tua condizione di partenza, il Battesimo nello Spirito ti fa scoprire la tua identità di Figlio di Dio”. Riccardo e Rosanna spiegano l’origine di questo movimento in America e il suo carisma specifico “Noi ci rifacciamo all’esperienza degli Atti degli Apostoli”.
Organizzato in comunità e gruppi molto autonomi, il RCC ha accolto la richiesta di papa Francesco che, a conclusione del “Golden Jubilee” del 2017 – celebrato per i 50 anni del movimento – chiese ai carismatici di tutto il mondo di dotarsi di una struttura unitaria, coordinata dalla Chiesa di Roma, riconoscendo la bontà del movimento e la sua utilità per l’evangelizzazione. Tre le indicazioni ricevute dal Papa che rappresentano a tutt’oggi il programma da seguire per ogni gruppo e comunità carismatica: diffondere il Battesimo nello Spirito Santo, lavorare per l’Unità dei cristiani, il servizio ai poveri. Il primo rappresenta una Grazia speciale, una esperienza – dicono gli aderenti – che ricorda e richiama l’esperienza vissuta dagli apostoli il giorno di Pentecoste: l’effusione dello Spirito Santo! Ed è sotto l’azione dello Spirito che tutti, singoli aderenti, gruppi e comunità, sono chiamati per favorire con la preghiera e il servizio all’unità dei cristiani, del “corpo mistico di Cristo”. E infine il servizio ai poveri, da tradursi in gesti concreti, sia nelle parrocchie in cui si è inseriti sia singolarmente nel quotidiano terreno di missione cui ciascuno è chiamato ogni giorno a lavorare. Un movimento quindi che, sull’esempio degli Apostoli, fa della missione di evangelizzazione una sua ragione d’essere.

Da Gaza a Kiev

Sab, 04/11/2023 - 00:40

Proprio nella giornata interconfessionale di preghiera per la Pace, il 27 ottobre scorso, le cronache ci riferivano in tempo reale dei più furiosi combattimenti avvenuti fin ad allora per terra e per marea tra Israele e Hamas. La pace come speranza sembra presentarsi purtroppo più spesso come miraggio; mentre la guerra, ogni forma di guerra è una costante continua nella storia (e preistoria) dell’umanità. Una precondizione per la pace universale sarebbe che non esistessero armi, ma proviamo a immaginare se sarà mai possibile: dalla clava al supermissile nucleare non hanno fatto che moltiplicarsi e …inferocirsi programmando altri balzi diabolici. Altra ipotesi sarebbe che, pur in presenza di “irrinunciabili” arsenali, non si combattessero più guerre: proviamo a immaginare se anche ciò sia possibile (in futuro, s’intende, poiché il passato e il presente dell’umanità già si definisce e si studia come “storia di guerre”). L’assenza di guerre presupporrebbe assenza di contese e di prevaricazioni, di odio e di violenza, di aggressione e di vendetta, sulla base della pari dignità tra ogni persona e ogni popolo. Principio quest’ultimo riconosciuto e codificato nelle “Carte” internazionali, ma miseramente disconosciuto ad ogni livello.
La spietata guerra in Palestina, che, con migliaia di vittime (morti, feriti, sfollati), si è aggiunta tragicamente a quella in Ucraina, dove le vittime si contano a centinaia di migliaia (sarebbero quasi 300.000 i russi caduti, secondo Kiev), sembra dimostrarsi ancora più inestricabile di questa, poiché nasce da un nucleo ideologico e politico nefasto: c’è da una parte la volontà di eliminare, annientare gli ebrei, e smantellarne lo Stato, dall’altra la pertinace decisione di vendetta anche sopra ogni limite per sradicare da Gaza i terroristi di Hamas che, in combutta con i loro pari, puntano sul fanatismo religioso fino all’efferatezza per raggiungere il loro scopo, riversandovi persino buona parte dei finanziamenti e aiuti umanitari elargiti a livello internazionale alla Striscia. Certamente il loro capo, Ismail Haniyeh, che se ne sta al sicuro in Qatar – da dove osa lanciare messaggi sanguinari fino a dire che più bambini, donne e anziani palestinesi muoiono, più la “loro” causa avanzerà – non ha progetti di pace. Né ne ha Tel Aviv che ora mira soltanto, a sua volta, a stanare i terroristi dai tunnel di Gaza per sradicarli. La reazione di Israele alla deliberata provocazione belluina era in fondo lo scopo intermedio per ottenere la condanna di quante più nazioni possibile alla prevedibile operazione bellica che avrebbe sicuramente mietuto anche civili innocenti. L’appello al “cessate il fuoco” ha poche probabilità di successo per ora e chissà per quanto. Come non le ha avute da oltre venti mesi in Ucraina. Al vertice di Malta, convocato da Zelensky, hanno partecipato 66 Paesi tra Occidente e Sud globale per prendere in considerazione (come già a Gedda: in numero inferiore, ma là c’era anche la Cina…) il piano di pace proposto dall’Ucraina che, pur sembrando incontrare crescenti adesioni ragionevolmente sui primi quattro punti (sicurezza nucleare, sicurezza energetica, sicurezza alimentare, direzione umanitaria con il rilascio di prigionieri e deportati) ben difficilmente potrà spuntarla sul quinto e decisivo: ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina e ordine mondiale (ma quale? Quello che in molti e sempre più decisamente da tempo vogliono sconvolgere?). E ora l’autunno? E poi l’inverno? Persino il leader bielorusso Lukaschenko, riconoscendo lo stallo sul terreno, sta invitando allo stop e al negoziato! Chissà se alla fine potrà ancora mediare lui… Mentre in Palestina, per ora, gli aspiranti mediatori sarebbero tanti, ma tutti inascoltati dai belligeranti se non concordano con il loro (unico) obiettivo.

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