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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 1 anno 3 mesi fa

Israele e Hamas: dall’assedio della Natività a quello di Betlemme. La testimonianza di suor Fayeza Ayad

Mar, 24/10/2023 - 09:22

“A Betlemme la situazione si fa ogni giorno più critica e tesa. La città è ‘sigillata’, nessun palestinese può entrare o uscire perché Israele ha chiuso ogni varco con blocchi di cemento. Solo un check point risultava aperto ma esclusivamente per i cittadini stranieri. Stiamo praticamente vivendo sotto assedio”. Suor Fayeza Ayad, delle Francescane minime del Sacro Cuore, da oltre 20 anni a Betlemme, sa bene cosa significhi vivere sotto assedio perché, ricorda al Sir, “ero dentro la Natività quando, il 2 aprile del 2002, dentro la chiesa penetrarono oltre 240 miliziani palestinesi armati (appartenenti a Brigate al-Aqsa, Jihad islamica e Hamas, ndr.) per sfuggire alla cattura da parte dell’esercito di Israele (Idf)”. In piena Seconda Intifada (2000-2005), le più grandi città della Cisgiordania, Ramallah, Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Nablus e Betlemme, erano state invase dall’esercito israeliano. Quest’ultimo il 29 marzo 2002 aveva lanciato l’operazione “Scudo di difesa” in risposta agli attentati dei terroristi palestinesi delle settimane precedenti.

(Foto ANSA/SIR)

Un nuovo assedio. “Per circa 40 giorni (dal 2 aprile al 10 maggio 2002, ndr.) – dice la religiosa – abbiamo vissuto sotto assedio dentro la Natività, con i carri armati israeliani fuori nella piazza e i miliziani barricati nella chiesa. Con noi c’era il padre francescano Ibrahim Faltas, che conosco molto bene perché siamo entrambi di origine egiziana e abbiamo frequentato la stessa scuola”. Quaranta giorni vissuti da ‘occupati’ da dentro e ‘assediati’ da fuori: “Oggi, dopo più di 20 anni, provo lo stesso dolore e la stessa preoccupazione” alimentati anche dalle notizie di gravi scontri tra palestinesi e esercito israeliano che arrivano da città della Cisgiordania come Ramallah, Jenin, Tubas e Nablus. Nella stessa Betlemme l’esercito israeliano, secondo quanto riferito al Sir da fonti locali, negli ultimi giorni è entrato in città più volte per arrestare delle “persone sospette”. “Questa volta, però, – avverte suor Fayeza – leggo nei volti delle persone una paura più grande”. L’eco del bombardamento di Gaza e delle città israeliane evacuate rimbalza fino a Betlemme. “Nella Striscia ogni giorno si consuma una tragedia senza fine con morti, uccisioni, feriti, vite violate. Le parti in lotta colpiscono anche ospedali, chiese, civili. Noi non possiamo fare altro che pregare per le vittime, tutte, per i feriti, per la fine delle ostilità, per la pace. Io e le mie due consorelle, una brasiliana, una dello Sri Lanka, preghiamo ogni giorno davanti all’Eucarestia con queste intenzioni dentro la Basilica chiusa. Spesso ci chiediamo dove sia Dio in tutto questo ma sappiamo che il Signore ascolta il nostro grido e che dobbiamo essere forti nella tribolazione. Ci ha ascoltato durante l’assedio della Natività, lo farà anche adesso”.

Negozi chiusi a Betlemme (Foto sr. Faisa Ayad)

Città deserta. Dal 7 ottobre Betlemme è una città deserta:

“i pellegrini sono andati tutti via, gli alberghi hanno chiuso, i negozi sono vuoti e fanno fatica a rifornirsi di cibo e beni primari. Tutto è fermo, anche le scuole. L’economia è collassata, non c’è lavoro. La povertà è tornata a bussare alle porte della popolazione”.

“Peggio ora di quando c’era il Covid – sottolinea suor Fayeza -. Cerchiamo di fare il possibile per dare una mano alle famiglie fornendo loro soprattutto cibo e medicine. Ci capita molto spesso ormai di accompagnare madri di famiglia nei mercati per acquistare cibo, latte, acqua, pane. Non hanno soldi e provvediamo noi per quel che possiamo. La nostra prima preoccupazione sono i bambini. Non sanno cosa è la guerra ma ne vivono le conseguenze sulla loro pelle. Tante famiglie sono a casa, padri rimasti senza lavoro, disabili, anziani soli che devono essere accuditi. Sono più di 20 anni che sono a Betlemme e conosco tante famiglie grazie alla mia lunga esperienza di insegnamento alla Terra Santa School”. Ma non ci sono solo famiglie da aiutare: “A Betlemme, subito dopo il 7 ottobre, si sono rifugiati sei giovani di Gaza che prima della guerra lavoravano a Gerusalemme come semplici operai in alcune ditte israeliane. Quando sono arrivati – rivela la suora – non avevano altro che una busta con pochi indumenti e qualche medicina per curarsi. Con la parrocchia abbiamo cercato di aiutarli e metterli in contatto con la municipalità perché abbiano quantomeno un tetto dove stare con dignità e sicurezza”.

Betlemme, interno vuoto della Natività (Foto sr. Faisa Ayad)

Il Golgota e la Resurrezione. Il rumore dei razzi e dei missili si sente anche sui cieli di Betlemme: “qualche giorno fa – ricorda suor Fayeza – eravamo a pregare quando abbiamo sentito il sibilo di un missile che è caduto in un campo aperto a Beit Jala. La gente è rimasta impietrita dalla paura perché non sapeva cosa fare. Non sappiamo chi lo abbia lanciato ma la paura sale ogni giorno di più. Per quanto ci riguarda noi resteremo accanto alla nostra gente, questa è la nostra vocazione. Non ho paura della morte ma sento di dover stare in mezzo a loro, musulmani, cristiani, di ogni credo perché la persona umana e la sua dignità va rispettata a tutti i livelli. Pregando nella grotta della Natività, ormai vuota, ho chiesto a Gesù che la guerra finisca presto. So che ci farà questa grazia”.

“La Terra Santa – conclude – non può essere solo Golgota ma deve essere anche e soprattutto il sepolcro vuoto della Resurrezione. Per questo in momenti come l’attuale preghiamo il Triduo pasquale perché, dopo il Venerdì santo, viene sempre la Domenica di Resurrezione”.

Israel and Hamas: from the siege of the Church of the Nativity to the siege of Bethlehem. The testimony of Sister Fayeza Ayad

Mar, 24/10/2023 - 09:22

“The situation in Bethlehem is becoming more critical and tense by the day. The city has been ‘sealed off’, no Palestinian can enter or leave the town, because Israel has imposed a closure by placing concrete blocks on every passageway. Only one checkpoint is open, but only for foreign citizens. We are practically living under siege. Sister Fayeza Ayad, a member of the community of the Franciscan Minimal Sisters of the Sacred Heart who has been living in Bethlehem for more than 20 years, knows what it means to live under siege because, as she told SIR, “I was inside the Church of the Nativity when, on April 2, 2002, more than 240 armed Palestinian militiamen (belonging to the Al-Aqsa Brigades, Islamic Jihad and Hamas, Ed.’s note) stormed the church to avoid being captured by the Israeli army (IDF).” At the height of the Second Intifada (2000-2005), the largest cities in the West Bank, Ramallah, Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Nablus and Bethlehem, were invaded by the Israeli troops. The Israeli Defence Forces launched Operation Defensive Shield on March 29, 2002 in response to the Palestinian terrorist attacks of the previous weeks.

A new siege. “We lived under siege in the Church of the Nativity for about 40 days (from April 2 to May 10, 2002, Ed.’s note),” says the nun, “with Israeli tanks stationed in the square outside and militiamen who had barricaded themselves in the church. Franciscan Father Ibrahim Faltas was with us. I know him very well because we are both of Egyptian origin and we went to the same school.” They spent forty days “occupied” from the inside and “besieged” from the outside: “Today, more than 20 years later, I feel the same pain and the same worry”, exacerbated by reports of serious clashes between Palestinians and the Israeli army coming from West Bank cities such as Ramallah, Jenin, Tubas and Nablus. According to reports received by SIR from local sources, Israeli troops have entered the city of Bethlehem several times in recent days to arrest “suspects.” But this time, says Sister Fayeza, “I see a greater fear in the faces of the people.” The echo of the bombing of Gaza and the evacuation of Israeli towns reached Bethlehem. “A never-ending tragedy is unfolding every day in the Strip, with deaths, killings, wounded, violated lives. The warring parties are also targeting hospitals, churches and civilians. All we can do is pray for the victims, all of them, for the wounded, for an end to the hostilities, for peace. My two sisters, one from Brazil and one from Sri Lanka, and I pray these intentions every day before the Eucharist in the closed basilica. We often wonder where God is in all this, but we know that the Lord hears our cry and that we must be strong in our suffering. He heard us during the siege of the Basilica of the Nativity, he will hear us now.”

Deserted city. Bethlehem has been a deserted town since October 7:

“The pilgrims have all left, the hotels are closed, the shops are empty and it’s difficult to stock up on food and basic necessities. Everything is at a standstill, including the schools. There are no jobs, the economy has collapsed. Poverty has returned and is knocking on people’s doors.”

Sister Fayeza points out that “things are worse now than during the Covid pandemic.” “We try to do what we can to help the families, especially by offering them food and medicine. Nowadays, we often accompany the mothers to the street markets to buy food, milk, water and bread. They don’t know how to pay and we try to help them as much as we can. The children are our first concern. They don’t know what war is, but they suffer its consequences. Many families stay at home. There are unemployed fathers, disabled people, lonely old people who need to be looked after. I spent more than 20 years in Bethlehem and know many families from my long teaching experience at the Holy Land School. Families are not the only ones who need help. Six young people from Gaza, who before the war were working in Israeli companies in Jerusalem, took refuge in Bethlehem immediately after 7 October. “When they arrived,” says the nun, “they had nothing but a bag with some clothes and some medicines to treat themselves. Together with the parish, we tried to help them and put them in contact with the municipality, so that they would at least have a roof over their heads, where they could live in dignity and safety.”

Golgotha and the Resurrection. The sound of rockets and missiles can be heard even in the skies above Bethlehem: “A few days ago,” recalls Sister Fayeza, “we were praying when we heard the hiss of a rocket that fell in an open field in Beit Jala. People were frozen in fear because they didn’t know what to do. We don’t know who fired it, but people are getting increasingly frightened. As for us, we will stand by our people, that is our vocation. I am not afraid of death, but I feel that I must be with them, Muslims, Christians, people of all faiths, because the human person and his dignity must be fully respected. As I prayed in the grotto of the Nativity, which is now empty, I asked Jesus for an immediate end to the war. I know He will grant us this grace”.

“The Holy Land,” she concluded, “can’t just be Golgotha, it must also and above all be the empty tomb of the Resurrection. That is why, in times like today, we pray the Easter Triduum, because Good Friday is always followed by Resurrection Sunday.”

La miniserie “I Leoni di Sicilia” (Disney+) di Paolo Genovese e “Past Lives” di Celine Song

Lun, 23/10/2023 - 20:56

Uno dei titoli più attesi alla 18a Festa del Cinema di Roma è una miniserie: “I Leoni di Sicilia”, adattamento del romanzo bestseller di Stefania Auci, divenuto ora una serie in 8 episodi targata Disney+ per la regia di Paolo Genovese. La saga dei Florio nella Sicilia del XIX secolo ha finalmente un’immagine, dei volti: Michele Riondino è Vincenzo Florio e Miriam Leone Giulia Portalupi. Nel cast anche Vinicio Marchioni, Donatella Finocchiaro e Paolo Briguglia. Dai primi due episodi emergono un’accurata ricostruzione storico-visiva, ruoli cesellati con incisività e una regia esperta. Alla Festa del Cinema è passato anche lo splendido “Past Lives”, opera prima della regista sudcoreana Celine Song: una storia intima, un amore sbocciato nella primavera dell’infanzia e riconcorso poi tra due continenti per decenni. Un piccolo saggio poetico di matrice esistenziale. Ottimi i tre interpreti Greta Lee, Teo Yoo e John Magaro. Il punto Cnvf-Sir.
“I Leoni di Sicilia” (Disney+, 25.10)
“I Leoni di Sicilia” è il primo dei due romanzi storici di Stefania Auci sulle imprese commerciali e familiari dei Florio nella Sicilia dell’Ottocento. Uscito nel 2019, in breve tempo è diventato un bestseller e l’adattamento per lo schermo è stato l’immediato passo successivo. A scommettere sulla formula della miniserie sono la Leone Cinematografica, la Lotus e il colosso Disney con la sua piattaforma. Dal 25 ottobre finalmente si potranno scoprire i primi quattro episodi (otto in totale), svelati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Alla regia è stato chiamato Paolo Genovese, forte di successi come “Tutta colpa di Freud” (2014), “Perfetti sconosciuti” (2016) e il più recente “Il primo giorno della mia vita” (2023). A firmare la sceneggiatura Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo (insieme nella trilogia Sky “1992”, “1993” e “1994”).

La storia. Palermo, inizio ‘800. I fratelli Paolo e Ignazio Florio, da Bagnara Calabra giungono in Sicilia per cercare fortuna aprendo un bottega di spezie. Con loro c’è anche la moglie di Paolo, Giuseppina, e il loro figlio Vincenzo. L’inserimento nell’ambiente sociale e commerciale di Palermo è difficile, segnato da pregiudizi e da aperte ostilità. I Florio non demordono e in breve tempo la loro attività cresce e si diversifica. A fare la differenza sarà il giovane Vincenzo, animato da idee nuove e un forte desiderio di riscatto sociale…

(Cop. Disney+)

“È una serie che attraversa l’Ottocento – afferma Genovese – una grande saga famigliare di tenacia, orgoglio, potere e ambizione, ambientata in una Sicilia dell’aristocrazia, ma scossa da un grande fermento rivoluzionario. Più di ogni altro progetto, questa serie ha dato vita a una collaborazione inestricabile tra la scenografia, la fotografia e i costumi, per ottenere uno stile unico e definito, con assonanze e sfumature di toni, colori e sensazioni fra i personaggi e lo sfondo in cui si muovono”.

Come ben sottolinea il regista, punto di forza dell’adattamento è l’aspetto visivo, la messa in scena. La produzione non ha lesinato sugli investimenti e questo è evidente, perché c’è un’elevata cura formale sin nei piccoli dettagli. Un affresco storico della Sicilia del tempo, grazie a un’abile fusione tra ricostruzioni e valorizzazione dell’aspetto ambientale, del suggestivo paesaggio isolano.

Paolo Genovese governa la macchina narrativa con mano ferma ed esperta, attento alle componenti descrittive ma anche a mantenere costante il ritmo del racconto. La sceneggiatura di Rampoldi e Sardo lo aiuta di certo nel compito. A imprimere indubbio fascino alla serie sono poi i personaggi, affidati ad attori capaci di abitarli con attenzione e misura. Su tutti un plauso a Michele Riondino, che sagoma in maniera sfaccettata il rampante Vincenzo Florio. Miriam Leone tiene il suo passo, tratteggiando Giulia Portalupi in maniera acuta e affascinante. Nel complesso, gli attori coinvolti funzionano tutti molto bene, con performance di livello: in evidenza gli ottimi Vinicio Marchioni e Paolo Briguglia.

E se l’impianto della serie sembra funzionare bene, solido e agile, a lasciare un po’ perplessi è la scelta della componente musicale, che invece di imprimere intensità e ritmo produce un certo disorientamento. La colonna sonora di Maurizio Filardo, ma soprattutto l’uso di brani contemporanei, calati nella cornice storica del XIX secolo, spezzano un po’ il fiato al racconto. In riferimento a narrazioni nella cornice siciliana, nella serie “Il Commissario Montalbano”, ad esempio, le musiche di Franco Piersanti e i brani di Olivia Sellerio riescono meglio ad amplificare il pathos del racconto e al contempo a marcare il legame con il territorio.

Nell’insieme, la miniserie “I Leoni di Sicilia” parte bene, con il piede giusto, dando magnetismo a una storia italiana riportata all’attenzione dalla pena acuta della Auci. Consigliabile, problematica, per dibattiti.

“Past Lives”
Un piccolo gioiello nel cartellone della Festa del Cinema. È “Past Lives”, film statunitense di produzione indipendente – tra i produttori figura la sempre più nota A24 – passato con successo all’ultimo Sundance Film Festival. Il film segna il debutto alla regia della sudcoreana Celine Song, anche sceneggiatrice (tra i suoi lavori la serie fantasy “La Ruota del Tempo”, Prime Video). Il film è una storia minuta, poetica, intima: sembra una polaroid di un’amicizia d’infanzia che nel corso del tempo non ha mai trovato la forza per virare in amore. Un legame speciale che si rincorre per decenni, lungo due continenti.

La storia. Seul, Nora e Hae Sung sono due preadolescenti compagni di scuola; passano molto tempo insieme e il loro legame cela un sentimento intenso, sfumato tra l’amicizia e qualcosa di più. Nora si trasferisce poi con la sua famiglia in America e il legame tra i due si disperde. Dodici anni dopo i due si cercano online, su Facebook: lei studia scrittura nella Grande mela, lui sta completando i suoi studi universitari. Ritrovarsi a distanza, dopo così tanto tempo, li riconduce esattamente al crocevia emotivo dove si erano lasciati…

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Con grande controllo e poesia visiva, Celine Song ci regala una storia di esistenze, identità, radici e sentimenti che si snoda in maniera dolce e dolente. Seguiamo le traiettorie di vita di Nora e Hae Sung in tre grandi blocchi temporali, a intervalli di dodici anni. Le loro vite procedono spedite, rincorrendo sogni e ambizioni professionali, ma il loro cuore sembra riportarli sempre allo stesso punto, a quella promessa sussurrata nelle stanze dell’infanzia. Il loro è un amore non espresso, custodito al sicuro nel cassetto della memoria, che non appassisce mai. A Nora e Hae Sung manca però il coraggio del grande salto, di mettere quel loro sentimento prima di tutto. Esitanti, lasciano che la carriera abbia la meglio, e che le tradizioni familiari – soprattutto sudcoreane – scandiscano tempi e dinamiche relazionali.

A questo si aggiunge l’amore di Nora per Arthur, uno scrittore conosciuto in un corso professionale. Incapace di attendere Hae Sung, la giovane costruisce il suo domani sentimentale, provando a mettere radici nel Nuovo mondo, perché è lì ora che si sente a casa. Arthur le schiude dunque un amore adulto, stabile e rassicurante; lui la sa amare con attenzione e premura. Arthur le regala un ancoraggio nella terra a “stelle e strisce”, un sogno di felicità nel quotidiano, dove però irrompe a volte il ricordo di Hae Sung.

Magnifico è il modo in cui Celine Song scrive e dirige questo film, che trova ulteriore intensità e luminosità grazie ai tre interpreti Greta Lee, Teo Yoo e John Magaro, tutti di grande fascino e abilità nel saper dar voce a sentimenti e tormenti sottopelle. “Past Lives” conquista e convince con raffinatezza. Consigliabile, poetico, per dibattiti.



Synod. Card. Schönborn: “Europe is no longer the centre of the Church”

Lun, 23/10/2023 - 17:16

“Europe is no longer the main centre of the Church: there are other centres such as Latin America, Africa, Asia and the continental Conferences.” This is the “very strong impression” of the Synod on Synodality, now drawing to a close, in the words of Cardinal Christoph Schönborn. In a briefing with journalists in the Vatican press room today, the Archbishop of Vienna, who has participated in eight Synods, said that “the methodology and the process are the best I have personally experienced.” However, he said, “I have one complaint: the Commission of the Bishops’ Conferences of Europe (CCEE) has not managed to widen its scope, as the Bishops’ Conferences of Asia and Latin America have done. We lag somewhat behind in the synodality experienced by the Churches in Europe, and we need an impetus to move forward.”

“The European Bishops’ Conferences have never been able to speak with one voice on the plight of migrants and refugees. This is very sad”,

denounced the Cardinal: “Politicians are not doing this, they are not capable of doing this, and we, the Catholic Church, are unable to have a common and weighty word on this.” As for the outcome of this first phase of the synodal assembly, Schönborn quoted a phrase he heard at the end of the Second Vatican Council in 1965: “If this Council does not lead to an increase in faith, hope and charity, the whole Council will have been in vain. The same can be said of this Synod.” “The Church is communion, synodality is the way to experience communion,” the Cardinal continued, referring to his participation as a theologian in the 1985 Synod on Communion and to Pope Francis’ speech on the occasion of the 50th anniversary of the Synod of Bishops. For Schönborn, it is necessary to

“rethink the great vision of the Church of Lumen Gentium,

which refers first of all to the Church as mystery, then to the Church as the People of God, and only afterwards to the hierarchical structure of the Church and the role of the lay faithful and of consecrated persons. The vision of synodality is that of walking together, it is the life of the ecclesial ‘communion.’ Underlying all this is baptism.” “What the Oriental Churches have always experienced” is another powerful insight that the Archbishop of Vienna drew from the Synod, namely that “there is no synodality without liturgy.” The assembly of the faithful, which is not a place of discussion but of common celebration, is at the heart of synodality. To treasure the liturgy is to treasure the faith celebrated before the faith discussed.”

“There is an objective order, and then there are human persons who always deserve respect, even when they sin, which we all do”,

Cardinal Schönborn said answering journalists’ questions regarding LGBTQ persons, specifically with regard to the section on them in the Catechism of the Catholic Church, of which the cardinal was editorial assistant of. “We all have the right to be respected, to be accepted. A human person is accepted by God, then the journey of that person has a personal history that deserves to be accompanied and respected.” Regarding the possibility of changes to the Catechism of the Catholic Church on this issue, Schönborn recalled that “the Catechism is a work of the Church, promulgated by the Pope. Since its publication it has only been changed once, by Pope Francis, on the subject of the death penalty. It is no secret that John Paul II wanted the death penalty to be explicitly condemned, and Mother Teresa had also urged John Paul II to condemn it. Two saints urged this change and the current Pope had it changed.” Will there be further changes? “I don’t know, the Pope promulgated it and he has the last word, only he can change it. Theologically, Schönborn said we should “consider what John XXIII said at the beginning of Vatican II about the immutability of doctrine and how it should be presented. While there have been important developments at the level of a profound reflection on the issues, there is also the immutability of our faith. We cannot change the fact that we believe in the Holy Trinity, or the Incarnation of the Word, or the institution of the Eucharist by Jesus. They are valid everywhere in the world: even if the cultures are different, the essence of the faith cannot be changed.” Paolo Ruffini, Prefect of the Holy See’s Dicastery for Communication and President of the Information Commission of the Synodal Assembly, said that a draft of the “Open Letter” to all the People of God was read out today at the Synod, now in its final week, and was greeted with applause. The final text of the Letter will be published next Wednesday, while the final document of the Synod will be voted on in sections and approved on Saturday evening.

The other participants in the briefing held today in the Vatican Press Room spoke about how they experienced the Synod. Card. Carlos Aguiar Retes, Bishop of Mexico, praised the method “based on consensus, dialogue and mutual listening”: “If we live synodality,” he said, “we can move forward; if not, we will become small Catholic groups, as is already happening in some places.” “The world is in crisis, it was already in crisis when we arrived, then the crisis became more serious,” said Cardinal Jean-Marc Aveline, Archbishop of Marseille: “We talk about things that may seem closely related to the life of the faith community, but the concerns of the world remind us that we cannot remain focused on secondary matters; the Church must face up to her responsibilities.” “The Synod has a mission,” stressed Sister Samuela Maria Rigon: “To evangelise, to offer the merciful and friendly face of Jesus. We can speak words of encouragement, words of hope for all, in a Church on the move, with its beauties and hardships, or we can speak words of poison.  It is up to us to choose, to ask ourselves what each of us can do to make the world a better place.”

Sinodo. Card. Schönborn: “L’Europa non è più il centro della Chiesa”

Lun, 23/10/2023 - 17:16

“L’Europa non è più il centro principale della Chiesa: ci sono altri centri, come l’America Latina, l’Africa, l’Asia e le Conferenze continentali”. È questa l’”impressione molto forte”  avuta al Sinodo sulla sinodalità, che si avvia alla conclusione. A rivelarlo ai giornalisti, nel briefing odierno in Sala stampa vaticana, è stato il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, che ha partecipato ad otto Sinodi e ha affermato che “la metodologia e lo svolgimento è il migliore che io abbia vissuto”. “Ho una lamentela”, ha però confessato: “La Commissione delle Conferenze episcopali europee (Ccee) non è riuscita ad avere il potenziale che hanno sviluppato le Conferenze episcopali dell’Asia, dell’America Latina e dell’Asia. Siamo rimasti un po’ più indietro, nella sinodalità vissuta tra le Chiese in Europa, abbiamo bisogno di uno stimolo per andare più avanti”.

“Le Conferenze episcopali europee non sono mai riuscite ad avere una parola comune sul dramma dei migranti e dei profughi, e questo è triste”,

ha denunciato il cardinale: “I politici non lo fanno, non lo sanno fare e noi Chiesa cattolica non riusciamo ad avere una parola comune e di peso su questo”. Quanto agli esiti di questa prima tappa dell’assise sinodale, Schönborn ha citato un frase ascoltata nel 1965, al termine del Concilio: “Se da questo Concilio non proviene un aumento di fede, di speranza e di carità, tutto il Concilio è stato invano. Direi lo stesso di questo Sinodo”. “La Chiesa è comunione, la sinodalità è il modo di vivere la comunione”, ha poi affermato il porporato citando la sua partecipazione al Sinodo del 1985 sulla comunione, in qualità di teologo, e il discorso di Papa Francesco per il 5o° dell’istituzione del Sinodo. Per Schönborn, occorre

“ripensare alla grande visione della Chiesa della Lumen Gentium,

dove si parla prima della Chiesa come mistero, poi della Chiesa come popolo di Dio e solo dopo della costituzione gerarchica della Chiesa e del ruolo dei laici e dei consacrati. La visione della sinodalità è il camminare insieme, è la vita della ‘communio’ ecclesiale. Alla base di tutto questo c’è il battesimo”. Altra impressione forte ricavata dall’arcivescovo di Vienna dal Sinodo, “quello che le Chiese orientali vivono da sempre: la sinodalità senza liturgia non esiste. Il cuore della sinodalità è l’assemblea dei fedeli, che non è un luogo di discussione ma della celebrazione comune. Avere a cuore la liturgia significa avere a cuore la fede celebrata, prima che la fede discussa”.

“C’è un ordine oggettivo e poi ci sono le persone umane, che hanno sempre diritto al rispetto, anche se peccano, cosa che noi tutti facciamo”.

Così il card. Schönborn ha risposto alle domande dei giornalisti sulle persone Lbgtq, in particolare alla parte loro relativa del Catechismo della Chiesa cattolica, di cui il cardinale è stato segretario di redazione. “Tutti abbiamo diritto al rispetto, ad essere accettati. La persona è accettata da Dio, poi il cammino di questa persona ha la sua storia, quindi bisogna accompagnarla e rispettarla”. Quanto a possibili modifiche del Catechismo della Chiesa cattolica in materia, Schönborn ha ricordato che “il Catechismo è opera della Chiesa ed è promulgato dal Papa. Dalla sua pubblicazione c’è stata solo una volta una modifica, ad opera di Papa Francesco, sulla pena di morte. Non è un segreto: Giovanni Paolo II voleva già che fosse condannata esplicitamente la pena di morte e anche  Madre Teresa aveva chiesto insistentemente a Giovanni Paolo II di condannarla. Due santi hanno chiesto con forza questa modifica e il Papa attuale lo ha fatto modificare”. Ci saranno altre modifiche? “Non lo so, è il Papa che l’ha promulgato e l’ultima parola spetta a lui, solo lui può modificarlo”. A livello teologico, Schönborn ha esortato a “considerare ciò che Giovanni XXIII ha detto all’inizio del Vaticano II sull’immutabilità della dottrina e sul modo di presentare la dottrina. Ci sono grandi sviluppi a livello dell’approfondimento delle questioni, ma c’è anche l’immutabilità della nostra fede. Non possiamo cambiare il fatto che crediamo nella Trinità, o nell’incarnazione del Verbo, o nell’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù. Sono validi ovunque nel mondo: anche se le culture possono essere diverse, la sostanza della fede non può essere modificata”.

Al Sinodo, arrivato all’ultima settimana, è stata letta oggi una bozza della “Lettera aperta al popolo di Dio”, salutata da un applauso generale, ha riferito Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione. Il testo finale della lettera sarà pubblicato mercoledì prossimo, mentre il documento finale del Sinodo verrà votato per parti e approvato sabato sera.

E della loro esperienza al Sinodo hanno parlato gli altri partecipanti al briefing odierno in Sala stampa vaticana. Il card. Carlos Aguiar Retes, vescovo di México, ha lodato il metodo “basato sul consenso, il dialogo e l’ascolto reciproco”: “Vivendo la sinodalità – ha assicurato – potremo andare avanti: se non lo faremo, ci trasformeremo in piccoli gruppi cattolici, come sta già avvenendo in alcuni luoghi”. “Il mondo è in crisi, lo era già quando siamo arrivati, poi la crisi è diventata ancora più grave”, ha osservato il card Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia: “Parliamo di cose che possono sembrare molto legate alla vita interna della comunità di fede, ma le preoccupazioni del mondo ci ricordano che non possiamo stare sulle piccole cose, la Chiesa deve assumersi le sue responsabilità”. “Il Sinodo ha una sola missione”, ha sintetizzato suor Samuela Maria Rigon: “Evangelizzare, offrire il volto misericordioso e amico di Gesù. Possiamo avere parole incoraggianti, parole di speranza per tutti, all’interno di una Chiesa in cammino con le sue bellezze e fatiche, oppure possiamo avere parole di veleno.  Sta a noi scegliere, chiedersi cosa ognuno di noi possa fare perché il mondo sia un luogo migliore”.

Argentina: al primo turno in vantaggio i peronisti con Massa. Ma il 19 novembre sarà un’altra partita

Lun, 23/10/2023 - 10:26

Pochi se lo aspettavano, i sondaggi non lo prevedevano. Invece, al primo turno delle presidenziali di Argentina, è andata in onda la “remuntada”, peraltro non risolutiva, dei peronisti e del loro candidato, Sergio Massa. Ministro dell’Economia in un Paese virtualmente in default e con un’inflazione al 140%, Massa l’uomo scelto due volte “per pura disperazione” (un anno fa come ministro, quindi come candidato quasi “di bandiera”, sicuro perdente) si presenta invece, in vantaggio di quasi sette punti, con il suo 36,28% (circa dieci punti in più rispetto ai sondaggi) sul candidato ultraliberista e di estrema destra Javier Milei (a capo di “La libertad avanza”), favorito della vigilia, che con il suo 29,98% non è riuscito a superare la soglia psicologica del 30%. Il 19 novembre, però, sarà un’altra partita, comunque incerta, poiché è difficile pronosticare cosa faranno gli elettori di “Juntos por el cambio”, il partito liberale di centrodestra, rappresentato dall’ex ministra del Lavoro e della Sicurezza Patricia Bullrich (23,83%), fino a qualche mese fa grande favorita, e ora costretta al ruolo di “ago della bilancia”, tra due alternative comunque scomode: l’unità delle attuali opposizioni contro la sinistra, oppure una sorta di “coalizione repubblicana”, come chiede Massa, promettendo un Governo di unità nazionale contro il “loco”, il “pazzo” Milei.

La sorpresa Massa. “La coalizione di governo Unión por la Patria, il peronismo, è ancora in corsa per cercare di vincere le elezioni del 19 novembre, considerate perse tre mesi fa – commenta da Buenos Aires Gabriel Puricelli, coordinatore del Laboratorio di politiche pubbliche -. Dopo una carriera politica di tre decenni piena di zig-zag ma che ha puntato fin dall’inizio sulla cuspide del potere, Massa ha sconfitto sia gli avversari che le aspettative”.

Cosa aspettarsi nelle prossime settimane? Lo scontro sarà duro e il ballottaggio resta, comunque incerto. “Si può pensare che Massa abbia la capacità di estendere il suo consenso e di raccogliere nuovi voti, ma per lui non sarà comunque facile – pronostica Puricelli -. Faccio fatica a pensare a una ‘coalizione repubblicana’ sull’esempio francese. La contrapposizione tra peronisti e liberali è stata fortissima”.

In ogni caso, “Massa è riuscito a uscire dal confronto testa a testa proposto da Bullrich e ha iniziato a convincere che Milei rappresenta una minaccia autoritaria. Con questa strategia discorsiva e un’intensa mobilitazione dei governatori provinciali peronisti, è riuscito a ricostruire lo status di prima minoranza che il partito al governo aveva perso. Il compito che lo attende, con un’economia che non sarà fonte di buone (e forse di cattive) notizie nelle prossime quattro settimane, è quello di raggiungere il 50% dei voti. La sorpresa di essere arrivato primo potrebbe non bastare: avrà bisogno di almeno una parte dei voti ottenuti da Bullrich, oltre alla totalità di quelli ottenuti dagli altri candidati minori. Il mantra con cui cercherà di attirare il sostegno che gli manca è quello dell’unità nazionale. Con questo, da un lato, apre uno spazio in un futuro governo per coloro che sono rimasti fuori dalla corsa; dall’altro, delinea tacitamente un’autocritica della situazione lasciata dal Governo”

Milei, candidato “spiazzante”. Di Milei si è scritto molto. E, alla fine, sarà soprattutto di lui che si continuerà a parlare. Tra le sue proposte, il taglio indiscriminato della spesa pubblica. Spesso, nei comizi, si è presentato con una motosega, proprio per accreditarsi come l’uomo del grande “taglio”. E, al tempo stesso, come colui che è destinato ad azzerare “casta”, gli altri partiti. Tra le sue proposte, anche quella di rinunciare a debolissimi pesos, sempre più “carta straccia” a causa della forte inflazione, per adottare il dollaro statunitense come moneta. Negazionista su cambio climatico e sul Covid-19, il suo ultraliberismo lo ha portato a fare dichiarazioni in favore del commercio di organi. Gira con quattro mastini, e il capostipite, ora morto, viene regolarmente contattato con l’ausilio di una medium. Con il suo look stravagante, ha inondato negli ultimi due anni i talk show radiotelevisivi e il web, insultando un po’ tutti, a partire dall’argentino più importante al mondo, Papa Francesco (una polemica leggermente mitigata negli ultimi giorni di campagna elettorale). Accanto a lui, la candidata vicepresidente Victoria Villarruel, deputata conservatrice vicina al partito spagnolo Vox e al mondo militare, con qualche nostalgia per la stagione della dittatura.

I motivi di un clamoroso consenso. “Milei si può definire un anarco-capitalista – spiega ancora Puricelli -. Viene accostato al brasiliano Jair Bolsonaro, ma anche se i due occupano lo stesso spazio elettorale, ci sono delle differenze non da poco. Dietro a Bolsonaro c’è una realtà sociale ed economica massiccia, ci sono settori delle Forze armate, forti interessi e lobby. Milei è, appunto, un anarchico. Il suo elettorato è comporto da due categorie di persone. C’è un nocciolo duro, ideologico, di estrema destra. Formato soprattutto da giovani, molti con meno di 23 anni, perlopiù maschi, di alto livello sociale. Un mondo visceralmente antifemminista che presenta vari elementi di razzismo, protagonista di qualche episodio di squadrismo. Questo elettorato si è fuso con ampi strati di popolazione che vivono un malessere sociale molto diffuso, del resto la mancanza di sicurezza sociale è oggi una costante a livello occidentale. In Argentina, per motivi storici, questo disagio ha un’ulteriore caratteristica. È vero che stiamo celebrando il quarantesimo anniversario della fine della Giunta militare e del ritorno alla democrazia, ma questa fase storica non è stata caratterizzata da una promettente ascesa sociale, come invece è accaduto in Europa”. Milei, però, ieri è rimasto fermo ai numeri delle primarie di tre mesi fa. E questo non è per lui promettente in vista del ballottaggio. La strada obbligata, per lui, sarà avvicinarsi alla destra più moderata di Juntos por el Cambio (tra l’altro largamente in testa a Buenos Aires, sia per il governatore della Provincia che della zona metropolitana).

Il fattore religioso. Incognite anche su quello che potrebbe essere il “fattore religioso”, visti i già citati attacchi di Milei a Papa Francesco. “In realtà – prosegue Puricelli – la religione nelle elezioni argentine non è tradizionalmente un fattore determinante”. È anche vero, però, che mai si era sentito un esponente politico, come l’economista Alberto Benegas Lynch, collaboratore di Milei, proporre di rompere le relazioni diplomatiche con il Vaticano, poiché “esprime uno spirito totalitario”. “Dichiarazioni fatte a titolo personale”, ha detto, bontà sua, il candidato presidente. La Conferenza episcopale argentina, prima delle elezioni, ha affermato di non voler sostenere alcun candidato, “ma in nessun modo rinunceremo alla vocazione primaria di annunciare il Vangelo nella libertà”, ha precisato il presidente, mons. Oscar Ojea. Qualche giorno prima, i “curas villeros”, i sacerdoti che prestano servizio nella periferia di Buenos Aires avevano promosso una Messa in riparazione agli oltraggi subiti da Papa Francesco. “Crediamo che la divinizzazione del mercato porti alla disumanizzazione, dimenticando i più deboli”, avevano sostenuto i sacerdoti nell’occasione.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

Sinodo. Card Gracias: “Fare di tutta la Chiesa una famiglia”

Lun, 23/10/2023 - 09:50

Il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e uno dei nove membri del Consiglio dei cardinali che aiuta Papa Francesco nel governo della Chiesa universale, ha presieduto ieri la messa nella parrocchia di Roma della quale è titolare: San Paolo della Croce a Corviale. È stata l’occasione di festeggiare insieme alla comunità il Santo patrono di questa parrocchia di periferia nel giorno della memoria liturgica di San Giovanni Paolo II (che qui è stato nel 1992), e anche Giornata missionaria mondiale, in una parrocchia che nel corso della sua storia ha visto avvicendarsi nel loro servizio molti missionari che poi hanno proseguito il loro cammino in tutto il mondo.

Eminenza, cosa emerge da questa sessione del Sinodo?
Alla fine della settimana rilasceremo una lettera per il popolo di Dio dalla quale emergeranno speranza e incoraggiamento per tutta la gente e la gioia di essere discepoli di Cristo.

C’è stata qualche tematica che più delle altre è emersa dalle discussioni?
La sinodalità, la visione di Papa Francesco di fare di tutta la Chiesa una famiglia nella quale tutti partecipano e della quale tutti fanno parte; come dice il Santo Padre,

nessuno è fuori della Chiesa, tutti i battezzati, tutti quelli che vogliono entrare nella Chiesa, sono invitati come discepoli di Cristo, abbracciando il Vangelo, come Gesù ci ha chiamato a fare.

Un altro tema che purtroppo ha segnato questi giorni è la guerra in Terra Santa, che segue quella che da quasi due anni causa morte e distruzione in Ucraina. Cosa può fare la Chiesa?
Stiamo pregando e il Papa sta facendo molti passi per la pace e questo serve, ad esempio, per tutti i credenti:

compito della Chiesa è lavorare per la pace.

C’è la paura che aumenti la sofferenza per i popoli coinvolti e per questo il Papa ha pregato molto e noi andiamo avanti con la speranza che ci viene da Cristo risorto.

Il Papa insiste sulla difesa del creato, alla quale ha dedicato una Enciclica e l’ultima esortazione apostolica Laudate Deum. Qual è la situazione in India, ormai diventato lo Stato più popoloso del mondo?
Il fenomeno dei cambiamenti climatici in India non ha causato finora grandi movimenti migratori interni, ma la Chiesa è in prima linea nella difesa del creato, come anche il governo, e stiamo lavorando molto a livello culturale affinché la cura del creato diventi priorità per tutti.

Com’è il rapporto con la sua parrocchia di Roma?
Il mio rapporto con la parrocchia di San Paolo della Croce è bellissimo, la gente è molto gentile e accogliente, così come il parroco don Roberto. Ogni volta è una gioia venire qui, incontrare la comunità e pregare insieme.

Striscia di Gaza. Capi Chiese Gerusalemme e Welby (anglicani): “Comunità internazionale garantisca protezione a ospedali, scuole e luoghi di culto”

Lun, 23/10/2023 - 09:24

“Tutta l’area è in grande fermento. Nella nostra parrocchia della Sacra Famiglia, religiosi e laici, insieme ai parrocchiani cattolici e ortodossi, continuano a consolare coloro che piangono i loro morti, curando le ferite, aiutando tutti. Gran parte delle quasi 700 persone che alloggiavano negli edifici parrocchiali che si affacciano sulla strada, temendo di poter subire qualcosa di analogo a quanto accaduto nella chiesa ortodossa, dormono all’interno della chiesa”.

Fedeli di Gaza in preghiera (Foto parrocchia latina)

Padre Gabriel Romanelli, parroco dell’unica parrocchia cattolica di Gaza, dedicata alla Sacra Famiglia, descrive al Sir lo stato d’animo dei suoi fedeli a pochissimi giorni dall’attacco israeliano alle strutture della chiesa greco-ortodossa di san Porfirio. Il numero delle vittime della guerra continua ad aumentare: oltre ai 1.400 morti in Israele e agli oltre 3.000 feriti e 200 ostaggi, a Gaza si contano già 4.000 morti e più di 14.000 feriti. Circa 1.500 persone restano sotto le macerie nella Striscia, tra cui circa 800 bambini. Quelle che si stanno vivendo, spiega, “sono notti di forti bombardamenti” fino alle prime ore del mattino. “Riposare è difficile” per tutti, soprattutto per i religiosi e religiose che non appena svegli si danno da fare per preparare “per l’Adorazione eucaristica, il primo Rosario e la Messa”.

(Foto Latin Parish Gaza)

Senza acqua e luce. A testimoniare al Sir la gravità del momento è anche suor María del Pilar, missionaria a Gaza dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive): “Attualmente siamo senza elettricità e senza acqua potabile, utilizziamo l’acqua del pozzo ma non sappiamo quanto durerà e così anche per l’acqua minerale che abbiamo dovuto acquistare a prezzo triplicato. Cerchiamo con molta carità di garantire che ognuno riceva ciò di cui ha bisogno nel miglior modo possibile”. La religiosa riferisce anche del funerale dei 18 cristiani morti nel bombardamento israeliano al complesso della parrocchia ortodossa di san Porfirio: “È stato molto triste e doloroso vedere i bambini dire addio ai loro genitori e ancora più doloroso vedere i genitori dire addio ai loro figli. Alcuni di loro hanno dato l’addio a tutti i loro figli. Un’immagine difficile da cancellare anche perché alcuni di questi bambini partecipavano alle attività della nostra parrocchia. Erano famiglie molto conosciute e molto vicine a noi. Chiediamo a tutti di unirvi alle nostre preghiere affinché Dio nella sua misericordia conceda il dono della pace”.

Enorme incertezza. Ieri la liturgia celebrava la festa di San Giovanni Paolo II che, insieme alla Vergine di Luján, è il patrono della famiglia religiosa del Verbo Incarnato (Ive) cui appartiene padre Romanelli. “Seguendo il suo insegnamento – rivela il parroco di origini argentine, ancora bloccato a Betlemme a causa della guerra – in parrocchia si è pregato la misericordia e la pace. I nostri fedeli stanno tutti bene. Ma l’incertezza è enorme. È necessario lavorare per la pace. Ci sono già stati troppi morti in Palestina e Israele e troppi feriti” conclude padre Romanelli ricordando le parole di Papa Francesco, di ieri all’Angelus: “Sono molto preoccupato, addolorato, prego e sono vicino a tutti coloro che soffrono, agli ostaggi, ai feriti, alle vittime e ai loro familiari. Penso alla grave situazione umanitaria a Gaza e mi addolora che anche l’ospedale anglicano e la parrocchia greco-ortodossa siano stati colpiti nei giorni scorsi. Rinnovo il mio appello affinché si aprano degli spazi, si continuino a far arrivare gli aiuti umanitari e si liberino gli ostaggi. La guerra, ogni guerra che c’è nel mondo – penso anche alla martoriata Ucraina – è una sconfitta. La guerra sempre è una sconfitta, è una distruzione della fraternità umana. Fratelli, fermatevi! Fermatevi!”.

(Foto Custodia Terra Santa)

Subito un cessate-il-fuoco. Appello simile è stato lanciato, nella serata di sabato, anche dai Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, insieme a Justin Welby, arcivescovo di Canterbury, in visita a Gerusalemme nei giorni scorsi. Dopo aver condannato gli attacchi aerei israeliani al complesso della chiesa ortodossa di San Porfirio a Gaza, la notte del 19 ottobre, i leader religiosi lanciano un appello alla comunità internazionale affinché “garantisca immediatamente la protezione a Gaza a rifugi come ospedali, scuole e luoghi di culto. Chiediamo un immediato cessate il fuoco umanitario in modo che cibo, acqua e forniture mediche vitali possano essere consegnati in sicurezza alle agenzie di soccorso che si occupano delle centinaia di migliaia di civili sfollati a Gaza, comprese quelle gestite dalle nostre stesse chiese”. Infine, scrivono i patriarchi e l’arcivescovo Welby, “invitiamo tutte le parti in conflitto a ridurre l’escalation della violenza, a cessare di prendere di mira indiscriminatamente i civili su tutti i fronti e ad operare nel rispetto delle regole internazionali di guerra”. Solo in questo modo, secondo i leader religiosi, si potrà negoziare una pace giusta e duratura.

Gaza Strip. Jerusalem church leaders and Archbishop Welby (Anglicans): “The international community must ensure protection of hospitals, schools and places of worship”

Lun, 23/10/2023 - 09:24

“The whole area is in great turmoil. The clergy and lay members of our Holy Family parish, together with Catholic and Orthodox parishioners, are consoling those who mourn their dead, healing the wounds, helping everyone. Most of the nearly 700 people who were sheltering in the parish building overlooking the street, fearing that they might suffer a similar fate to that of the Orthodox Church, are sleeping inside the church.”

A few days after the Israeli attack on the structures of the Greek Orthodox Church of Saint Porphyry, Father Gabriel Romanelli, parish priest at the Holy Family church, the only Catholic parish in Gaza, described to SIR the plight of his faithful. The death toll from the war continues to rise: in addition to the 1,400 Israelis killed, more than 3,000 wounded and over 200 held hostage, there are over 4,000 dead and more than 14,000 wounded in Gaza. Some 1,500 people are still under the rubble, including some 800 children. They are still enduring “heavy shelling throughout the night” into the early hours of the morning. “It is hard for everyone to rest”, especially for the men and women religious who, as soon as they wake up, “begin to prepare for Eucharistic adoration, the first recitation of the Rosary and Holy Mass.”

Without water or electricity. Sister María del Pilar, a missionary of the Institute of the Incarnate Word (IVE) in Gaza, described the gravity of the situation to SIR: “We have no electricity, no drinking water, we use water from the well, but we don’t know how long it will last, and the same goes for mineral water, which we have had to buy at three times the normal price. With great charitable effort we are trying to ensure that everyone receives what they need in the best way possible.” The nun reported on the funeral of 18 Christians who died in the Israeli bombing of the Orthodox parish complex of St. Porphyrios: “It was very sad and painful to see the children saying goodbye to their parents, and even more painful to see the parents saying goodbye to their children. Some of them said goodbye to all their children. This scene is particularly painful since some of those children were involved in the activities of our parish. These families were well known and very close to us. We ask everyone to join us in our prayers, so that God, in his mercy, may bestow the gift of peace.”

Terrible anguish. Yesterday, together with the Patroness of the religious family of the Incarnate Word (IVE), Our Lady of Lujan, to which Father Romanelli belongs, the liturgy celebrated the feast of St John Paul II, Patron Saint of the same religious order. “According to his teaching,” said the parish priest, who was born in Argentina and is stranded in Bethlehem because of the war, “in the parish we prayed for mercy and peace. Our faithful are all well. But there is great anxiety. We must work for peace. There have already been too many deaths and too many wounded in both Palestine and Israel,” Father Romanelli concluded, recalling the words of Pope Francis during the Angelus prayer yesterday: “Once again my thoughts turn to what is happening in Israel and Palestine. I am very concerned, grieved. I pray and I am close to all those who are suffering: the hostages, the wounded, the victims and their families. I think of the serious humanitarian situation in Gaza and I am saddened that the Anglican hospital and the Greek-Orthodox parish have also been hit in recent days. I renew my appeal for spaces to be opened, for humanitarian aid to continue to arrive, and for the hostages to be freed. War, any war that there is in the world – I also think of tormented Ukraine – is a defeat. War is always a defeat; it is a destruction of human fraternity. Brothers, stop! Stop!”

Appeal for an immediate cease-fire. The Patriarchs and Heads of the Churches of Jerusalem issued a similar appeal on Saturday night, together with the Archbishop of Canterbury, Justin Welby, who visited Jerusalem in recent days. They condemned the Israeli air strikes on the St Porphyry Orthodox Church compound in Gaza on the night of 19 October. The religious leaders called upon the international community to “immediately enforce protections in Gaza for Sanctuaries of Refuge, such as hospitals, schools, and houses of worship. And we call for an immediate humanitarian ceasefire so that food, water, and vital medical supplies can safely be delivered to the relief agencies ministering to the hundreds of thousands of displaced civilians in Gaza, including those operated by our own churches.” Finally, write the patriarchs and archbishop Welby, “we call upon all warring parties to de-escalate the violence, cease from indiscriminately targeting civilians on all sides, and operate within the international rules of warfare.” Only in this way, write the religious leaders, “can lasting peace finally be achieved.”

Cammino sinodale. P. Vianelli (Cei): “Le famiglie hanno contribuito a regalare alla Chiesa uno sguardo sui ‘lontani’ e sui loro bisogni”

Lun, 23/10/2023 - 09:10

Chiesa come famiglia di Dio nel mondo (Benedetto XVI, Deus caritas est, n.25); famiglia come “Chiesa domestica”, secondo l’immagine del Concilio; Chiesa come “famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche”, la definizione di Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, n. 87. Una reciprocità innegabile. Quale può essere allora il contributo delle famiglie, in quanto soggetti pastorali ed ecclesiali, alla missione della Chiesa e, nello specifico, al percorso del Sinodo? Intanto, per intraprendere il processo sinodale con le famiglie, il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha predisposto un breve strumento destinato a diocesi, parrocchie, movimenti e associazioni, dal titolo “Spunti di riflessione per un cammino sinodale con le famiglie”. “Pur essendo una realtà ricca di potenzialità e di strumenti, capace di una proposta alternativa a questo tempo di solitudine e individualismo – dichiara al Sir padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei – mi sembra che la famiglia abbia smarrito un po’ del suo linguaggio, del suo lessico, e faccia fatica a mettere a terra le risorse che naturalmente possiede”.

foto Ufficio Cei pastorale della famiglia

A che cosa allude, in particolare?
Forse per una sorta di analfabetismo relazionale, per mancanza di tempo, per le sfide complesse da affrontare, il dialogo in famiglia è faticoso e non sempre di qualità. Le famiglie appaiono ” sfidate” e impaurite e, come afferma lo psicoterapeuta Matteo Lancini, nell’epoca del post narcisismo i genitori, pur dotati di maggiori strumenti e risorse dei propri genitori e pur avendo dedicato più tempo all’ascolto dei figli di quanto non siano stati essi stessi ascoltati, fanno fatica a coglierne i reali bisogni.

Entra probabilmente in gioco il fenomeno dell’adultescenza, della crescente fragilità di molti adulti e della loro incapacità di essere autentiche figure di riferimento per i figli. 
Sì, sono molto concentrati sulle proprie aspettative a fronte di figli investiti della responsabilità di far star bene i genitori, di corrispondere alle loro esigenze. Forse

la sfida educativa si è ingrippata perché i ragazzi oggi vivono non tanto la trasgressione adolescenziale, quanto piuttosto la delusione.

Un tempo l’adolescente trasgrediva le regole per poi in qualche modo assumerle; oggi gli adolescenti appaiono delusi da quanto hanno di fronte, dalle loro prospettive di vita, mancano di speranza. Mentre la trasgressione contiene una radice di speranza – la volontà di cambiare il mondo – la delusione blocca, fa in qualche modo retrocedere.

Quale può essere in questo scenario il ruolo della Chiesa?
La famiglia che si trova ad affrontare queste sfide trova talvolta una Chiesa che non è pronta a supportarla, che magari preferisce prendere in carico gli adolescenti e i giovani senza però creare alleanze con la famiglia stessa. Chi si occupa di pastorale giovanile, se vede una famiglia disorientata o disfunzionale tende spesso a “sollevare” i genitori dalla responsabilità educativa creando “strutture” alternative ad essa senza dare vita, invece, ad un’alleanza educativa con questi stessi genitori, bisognosi anch’essi di trovare spazi di espressione, sostegno e accompagnamento.

Sinodo e famiglia, anzi sinodalità e familiarità, sono stili convergenti nel chiamare a vivere processi di dialogo, confronto e decisione coniugando l’orizzontalità con la verticalità dei rapporti?

Nella vita familiare esistono indubbiamente aspetti sinodali:

il fatto che le cose vengano decise insieme fa emergere il tema dell’ascolto e del confronto, ma anche quello della coniugazione, né semplice né idilliaca, tra l’ascolto dell’insieme e la decisione finale da parte dei genitori. Non si tratta di lotte sindacali, contrapposizioni o rivendicazioni. La sfida diventa allora la costruzione di un ascolto “democratico”, che preveda al tempo stesso l’assunzione della responsabilità delle decisioni da parte di qualcuno. Un modo di procedere e ragionare che rispecchia la dimensione ecclesiale. All’interno della Chiesa esiste infatti una comune dimensione che nasce dal battesimo, ma anche una asimmetria del vescovo rispetto alla comunità; a lui compete la decisione finale, passata però attraverso la dimensione dell’ascolto.

In Amoris laetitia (n.138) il Papa pone la famiglia all’intersezione tra la Chiesa e il mondo affermando che Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, con la forza dell’amore.
E’ la grande sfida della famiglia come Chiesa in uscita, ma non so quanto questo aspetto sia passato nel processo sinodale. La famiglia sta prendendo sempre più coscienza di questo suo essere Chiesa in uscita, frontiera e luogo di confronto e di incontro. Mentre la Chiesa fatica a raggiungere i lontani, la famiglia in uscita attraverso il lavoro, la scuola, le relazioni, la cura, abita il territorio e questi “lontani” li incontra offrendo alla Chiesa una lettura e un ascolto “mediati” di questa realtà. Pur non essendo state esplicitamente convocate come categoria,

la partecipazione delle famiglie al cammino sinodale ha certamente contribuito a regalare alla Chiesa uno sguardo sui “lontani” e sui loro bisogni.

Quindi la famiglia potrebbe costituire un ponte tra Chiesa e “lontani”?
È difficile intercettarli; spesso non hanno interesse ad essere contattati, ma un ascolto di quella realtà è entrato nel cammino sinodale proprio grazie ai cristiani – tra cui le famiglie – che abitando alcuni spazi di questo mondo lo hanno incontrato e hanno provato a raccontarlo. Penso che la famiglia potrebbe davvero aiutare la Chiesa ad avvicinarsi alle periferie esistenziali, a quelle “lontananze” nei confronti delle quali potrebbe forse fare da ponte.

Dal Sinodo alla Missione

Lun, 23/10/2023 - 00:32

La stessa icona che ispira questo anno sinodale con la sottolineatura della frase “Partirono senza indugio” ispira anche il tema della Giornata missionaria mondiale 2023. Il papa, infatti, ha intitolato il suo messaggio, pubblicato già il 6 gennaio, “Cuori ardenti, piedi in cammino”, desumendo il duplice concetto-invito dallo stesso brano del vangelo di Luca. Si può anzi dire che si tratta esattamente dello stesso tema: il “senza indugio” indica l’ardore che i due discepoli di Emmaus si portavano in cuore già lungo la strada nell’ascoltare il “pellegrino” Gesù e portato al culmine una volta riconosciuto il Cristo nello spezzare il pane, mentre il verbo “partirono” sottolinea appunto il mettersi in cammino per andare ad annunciare ai fratelli l’incontro vissuto con il Signore. E’ soprattutto su quest’ultima indicazione che s’inquadra il messaggio del papa. L’immagine dei “piedi in cammino” – afferma papa Francesco – ci ricorda appunto la perenne validità della “missio ad gentes”, cioè il compito affidato dal Signore risorto alla Chiesa di “evangelizzare ogni persona ed ogni popolo sino ai confini della terra”. E’ una questione di diritto e dovere – evidenzia il papa rifacendosi all’Evangelii gaudium: “Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno”; ma non si tratta di imporre obblighi, quanto invece di condividere “una gioia”, segnalare “un orizzonte bello”, offrire “un banchetto desiderabile”. L’amore di Cristo, infatti, come avveniva per Paolo, “ci avvince e ci spinge”. E’ una dinamica di amore che si istituisce tra Gesù verso di noi e tra noi verso di Lui. Questo amore “rende sempre giovane la Chiesa in uscita” per annunciare il Vangelo.
Papa Francesco ricorda ancora una volta – come sempre avviene in occasione delle Giornate missionarie e come dovrebbe essere permanente convinzione di tutti i cristiani – che tutti possono contribuire a questo movimento missionario, di cui le Pontificie Opere Missionarie sono strumento privilegiato, tutti e ciascuno: “con la preghiera e l’azione, con offerte di denaro e di sofferenze, con la propria testimonianza”.
In riferimento diretto al cammino sinodale, ci viene ricordato che proprio la cooperazione missionaria di tutti i membri della Chiesa ad ogni livello è “un obiettivo essenziale del percorso sinodale che la Chiesa sta compiendo con le parole-chiave comunione, partecipazione, missione”, appunto un “mettersi in cammino come i discepoli di Emmaus, ascoltando il Signore Risorto che sempre viene in mezzo a noi per spiegarci il senso delle Scritture e spezzare il Pane per noi, affinché possiamo portare avanti con la forza dello Spirito Santo la sua missione nel mondo”.
E’ quanto siamo chiamati a fare anche nelle nostre comunità cristiane perché diventino sempre più “comunità sinodali”, in piena comunione al loro interno e aperte al mondo in cui sono chiamate a vivere e a testimoniare. L’invocazione finale del papa è rivolta proprio a “Santa Maria del cammino”, che anche noi tante volte invochiamo nelle nostre assemblee e che ci accompagna sempre sulle strade della vita.

Alla Festa di Roma “Palazzina LAF” di Michele Riondino e il doc “Zucchero Sugar Fornaciari” 

Sab, 21/10/2023 - 23:35

Un esordio nel segno del cinema di impegno civile, non distante dall’orizzonte alla Ken Loach. È l’opera prima di Michele Riondino, “Palazzina LAF”, che racconta una pagina di abuso di potere, di mobbing, in ambito lavorativo. Con sguardo duro e tagliente, Riondino racconta l’isolamento di 79 lavoratori nell’Ilva di Taranto, relegati in una struttura nota appunto come Palazzina LAF, un modo per disincentivare adesioni o agitazioni sindacali. Un film politico, vibrante, necessario. Nel cast Elio Germano, Vanessa Scalera, Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon; produce Palomar, Bravo, Bim e Rai Cinema. Ancora, alla Festa del Cinema oggi è il giorno di “Zucchero Sugar Fornaciari”, documentario diretto da Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano: il bluesman emiliano si racconta con grande generosità accompagnato in questo flusso di ricordi da amici di lunga data come Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Andrea Bocelli, Francesco Guccini, Francesco De Gregori e Corrado Rustici. Una carrellata emozionante tra carriera, brani noti, collaborazioni eccellenti e inedite pagine private. Prodotto da K+ Film e Adler, il film sarà al cinema dal 23 al 25 ottobre. Il punto Cnvf-Sir. 

 “Palazzina LAF”

Elio Petri, Mario Monicelli, ma anche l’universo lavorativo tratteggiato dai vari “Fantozzi” sono tra i riferimenti di Michele Riondino nel realizzare il suo primo film da regista, “Palazzina LAF”. A bene vedere, nel suo sguardo si coglie molto del cinema di impegno civile di matrice europea, in testa quello di Ken Loach e dei fratelli Dardenne. Insieme allo sceneggiatore Maurizio Braucci, Riondino ha decido di mettere in racconto una brutta pagina di diritti violati nell’Ilva di Taranto alla fine degli anni ’90.
La storia. Taranto anni ’90, Caterino è un operaio dell’Ilva. In ristrettezze economiche e desideroso di dare un twist alla propria vita, accetta un ricatto dai vertici aziendali: spiare i colleghi sul posto di lavoro, soprattutto quelli coinvolti con i sindacati. Così Caterino intasca una promozione e si inserisce tra le fila di quelli spediti alla palazzina LAF. Lì sono radunati i dipendenti etichettati come “problematici”, troppo vicini ai sindacati… “Quella della Palazzina LAF – rimarca Riondino – è la storia di uno dei più famigerati ‘reparti lager’ del sistema industriale italiano. È la storia di un caso giudiziario che ha fatto scuola nella giurisprudenza del lavoro. 79 lavoratori altamente qualificati costretti a passare intere giornate in quello che loro stessi hanno definito in tribunale ‘una specie di manicomio’. Per la prima volta il confino in fabbrica fu associato a una forma sottile di violenza privata e per merito di questa sentenza un termine ancora non riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico fu finalmente introdotto. Quello della palazzina LAF fu il primo caso di mobbing in Italia”.

(Foto Palomar)

Dopo titoli di richiamo tra cinema e serie Tv come interprete – “Dieci inverni” (2009), “Il giovane favoloso” (2014), “Pietro Mennea” (2015), “Il giovane Montalbano” (2012-15) –, Michele Riondino passa alla regia firmando un’opera che possiede carattere e densità. Forte delle proprie origini tarantine e anche di un lungo impegno civile sui temi del lavoro con “Uno maggio Taranto libero e pensante”, Riondino ha composto un film capace di unire cronaca, denuncia e umorismo nero. Da un lato rende note le tante, troppe, vessazioni subite dagli operai in un polo industriale chiave del Paese, l’Ilva, dall’altro mostra un gruppo di lavoratori vilmente “declassati” abitare un tempo sospeso e claustrofobico con un’umanità tragica e insieme farsesca.
Di quello che ci racconta il film tutto è vero, grazie a un attento lavoro di documentazione compiuto da Riondino e Braucci, l’unica licenza è il profilo del protagonista, Caterino, che Riondino ha disegnato come meschino e indolente, disposto a tutto per strappare un assegno più corposo a fine mese. Un personaggio grigio, misero, senza evidenti sussulti di coscienza.
Nell’insieme “Palazzina LAF” è un film che convince per stile e costruzione narrativa, duro e tagliente, ma mai del tutto tragico nei toni: Riondino preferisce che l’intensità giunga attraverso il cortocircuito tra dramma e grottesco, tra realismo livido e farsa. Un’opera grintosa, coraggiosa e di senso, sorretta da un cast affiatato composto da Elio Germano, Vanessa Scalera, Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon. Da ricordare, inoltre, l’intenso brano composto da Diodato, “La mia terra”. Film consigliabile, problematico, per dibattiti.

“Zucchero Sugar Fornaciari” (Cinema, 23.10)

A poche settimane dall’uscita della docuserie sul rocker di Zocca “Vasco Rossi. Il supervissuto” (Netflix), ecco il ritratto di un altro grande interprete della musica italiana, il bluesman emiliano Adelmo Fornaciari in arte Zucchero: è il documentario “Zucchero Sugar Fornaciari”, in cartellone alla 18a Festa del Cinema di Roma e in sala dal 23 ottobre con Adler Entertainment. A dirigere il doc sono Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano, che hanno convinto il noto bluesman da 60 milioni di dischi venduti a raccontarsi per la prima volta.
Zucchero si mette a disposizione della macchina da presa, del pubblico, offrendo una testimonianza genuina e intima, nello stile proprio della terra emiliana. Zucchero è schietto e coinvolgente quando parla della sua musica, come pure quando racconta la sua infanzia felice a Roncocesi, paesino emiliano dalla cultura contadina, dove trascorre le giornate con la nonna Diamante o in chiesa a suonare l’organo. Il mondo dolce dell’infanzia gli viene però sottratto dalla scelta dei genitori di trasferirsi in Toscana, a Forte dei Marmi. Un trauma che l’artista non riesce mai del tutto a sanare e che lo farà sentire sempre un senza terra, un senza radici.
Tra le pagine più interessanti del documentario ci sono le collaborazioni artistiche, le amicizie su e giù dal palco con artisti come Bono Sting, Brian May, Paul Young, Luciano Pavarotti (insieme hanno dato vita al “Pavarotti & Friends”), Andrea Bocelli, Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Don Was, Randy Jackson e Corrado Rustici. E ancora, la genesi di noti brani come “Diamante”, “Donne”, “Miserere”, “Così celeste”, “Muoio per te” o “Someone Else’s Tears”.

(Foto Matteo Girola)

Sul fronte privato, Zucchero parla diffusamente dell’attaccamento alla nonna Diamante, della luminosa semplicità dei genitori, ma anche della ferita legata alla separazione dalla prima moglie e della vertigine della depressione, che lo inghiotte per oltre cinque anni all’inizio del decennio ’90, quando paradossalmente la sua carriera internazionale decolla con passo deciso.
Nell’insieme, il doc “Zucchero Sugar Fornaciari” volteggia in maniera solida e convincente, con un ritratto del bluesman emiliano diretto e senza troppi orpelli. Il film parla di lui, delle sue origini, della sua musica e dei suoi incontri, ma anche delle sue fragilità, compresa quella costante malinconia che impreziosisce la vis poetica del suo blues. Un’opera che corre via veloce, agile, forse a tratti un po’ patinata, ma comunque equilibrata e onesta. Documentario consigliabile, semplice-poetico.

Sinodo. Ruffini: “Testimonianze molto forti dai Paesi in guerra”

Sab, 21/10/2023 - 17:30

“In tutta la sessione pomeridiana di ieri ci sono state alcune testimonianze molto forti, appassionate e profonde dai luoghi di guerra o di sofferenza nel mondo, tra cui il Medio Oriente, l’Ucraina e l’Amazzonia: tutti i partecipanti al Sinodo hanno risposto con applausi sinceri”. Lo ha riferito ai giornalisti Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione, durante il briefing odierno in sala stampa vaticana. “C’è stato un appello ad aiutare i giovani in un Medio Oriente che sta sanguinando, ad aiutarli a non perdere la speranza o ad aver come unica prospettiva il dolore e quindi lasciare il Paese”, ha proseguito Ruffini, ricordando che il Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, arrivato alla fine della terza settimana, ha concluso stamattina l’esame della sezione B3 dell’Instrumentum laboris e sono state consegnate le relazioni di tutti i 35 Circoli Minori. Ieri pomeriggio, alla 15ª Congregazione generale, erano presenti 310 membri (su 365 membri con diritto di voto), un risultato inferiore rispetto al solito perché in contemporanea c’è stata la riunione della Commissione per la relazione di sintesi. Stamattina erano presenti in Aula Paolo VI 329 persone. Stasera, alle 21, c’è la preghiera del Rosario in piazza San Pietro, con una speciale intenzione di preghiera per la pace.

“Il Papa non c’era ieri, ma sono chiari i suoi appelli e preghiere per la pace”, ha reso noto Ruffini, specificando che le testimonianze sulla guerra “sono venute da vescovi, non vescovi, uomini e donne di diverse fasce d’età. Tanti membri del Sinodo stanno vivendo questa condizione o sono appena usciti da processi di pace che faticano a progredire”.

“Non ho vissuto qualcosa che finisce qui a Roma, ma un processo permanente in cui coinvolgere le persone a tutti i livelli della società”. Così suor Nirmala Alex Maria Nazareth, superiora Generale delle Suore del Carmelo Apostolico, ha descritto la sua esperienza al Sinodo. “È un viaggio – ha proseguito – che mi ha rinnovato dall’interno e porterà un entusiasmo sempre maggiore alle oltre 130mila religiose che in India lavorano in ogni ambito. Ciascuno di noi si può sentire libero, senza nessun timore o pressione, e questo clima di preghiera e di silenzio ha permesso un approfondimento del mio ruolo come leader di una Congregazione”.

“Non stiamo inventando nulla, stiamo raccogliendo ciò che lo Spirito Santo ha detto alla Chiesa”,

ha affermato il card. Pedro Ricardo Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo (Perù), a proposito del percorso sinodale che ha coinvolto in questi due anni le parrocchie, le diocesi, di diversi paesi e continenti. “Il nuovo metodo sta dando a tutti noi non solo l’opportunità di condividere le esperienze, ma anche di vivere in piccolo l’esperienza della Chiesa universale. Esistono tensioni, come in ogni famiglia, ma c’è qualcosa che ci entusiasma.

Dopo quasi 52 anni di sacerdozio, di cui 23 come vescovo, sto vedendo come la Chiesa, in mezzo alle difficoltà che vive sia all’interno che all’esterno, si mette in movimento in cammino per servire Cristo e l’umanità”.

“Corresponsabilità”: è questa, per mons. Jean-Marc Eychenne, vescovo di Grenoble-Vienne (Francia), la parola più ricorrente al Sinodo e, nello stesso tempo, la sfida da raccogliere, chiedendosi “come si può andare verso una Chiesa dove il concetto di corresponsabilità sia più presente, passando da una Chiesa in cui ci sono pochi responsabili ad una Chiesa dove tutti sono corresponsabili nell’annuncio di Cristo e del Vangelo: tutti membri del Popolo di Dio, con pari dignità e la capacità di esprimere le proprie opinioni e di partecipare alle decisioni. Quello che riguarda tutti deve essere deciso da tutti. Tutti i membri devono poter decidere, non solo piccola élite. La verità può arrivare anche dal più piccolo, dal più modesto”.

“Le risposte nel terzo millennio, davanti a queste questioni, sono altre rispetto al secondo millennio”.

Così mons. Franz Josef Overbeck, vescovo di Essen, ha risposto alle domande dei giornalisti su una possibile apertura del Sinodo in merito alla questione dei preti sposati. “Adesso viviamo una realtà molto severa”, ha detto il vescovo riguardo alla situazione della Chiesa in Germania: “Quasi non abbiamo più seminaristi: in questi anni ho seppellito quasi 300 sacerdoti e ne ho ordinati solo 15. Qui al Sinodo siamo insieme con tutte le Chiese orientali e ortodosse, dove si vede che anche il sacerdozio con i preti uniti in matrimonio è normale. Oggi per noi è molto dura. Vediamo cosa accadrà, un passo dopo l’altro. È una domanda anche teologica: dobbiamo chiederci non solo come salvare, ma anche come vivere la dimensione sacramentale della Chiesa. Ci troviamo di fronte ad una nuova tappa della vita della Chiesa nel terzo millennio: le risposte per me sono chiare, e sono altre rispetto a quelle del secondo millennio”. Overbeck, riferendo sul Sinodo della Chiesa tedesca, che vedrà un’altra tappa nelle prossime settimane, ha insistito sulla diversità del contesto germanico rispetto a quello romano: “La nostra è una società post-secolare: molta gente non ha alcuna idea della trascendenza, né di cosa significhi nella vita quotidiana di un cristiano, di un protestante o di un appartenente ad altre religioni. E questo cambia tutto il quadro. Nel nostro cammino sinodale, ad esempio, ci sono state grandi domande su come integrare le donne nella Chiesa cattolica. La Germania è un Paese con il 30% di protestanti, in cui metà pastori sono donne”.

Il silenzio dei potenti della Terra

Sab, 21/10/2023 - 17:20

Ancora morti innocenti, ancora sofferenze del corpo e dell’anima, ancora voci inascoltate. Quando si fermeranno le armi? Chi sta usando l’arma del dialogo e della Pace?

In questi giorni abbiamo visto arrivare e ripartire governanti, leader e personaggi importanti, che analizzano, consigliano, parteggiano ma purtroppo tacciono e non intervengono per porre fine a questa guerra.

È giunto il momento per tutti i potenti, che hanno un ruolo importante, di far cessare il fuoco, di far deporre le armi, di tirare fuori il coraggio di uomini che siano degni dell’importante ruolo che rivestono.

(Foto Vatican Media/SIR)

Purtroppo le nostre speranze sono state deluse perché non abbiamo sentito voci che chiedono il rispetto della vita umana, non abbiamo sentito implorare con forza la pace. Solo da Papa Francesco abbiamo udito parole forti, equilibrate e portatrici di verità. Perché i suoi appelli non ricevono ancora una risposta concreta? Perché il suo affermare con forza che la guerra è una sconfitta per l’umanità non spinge a comprendere che bisogna bloccare questa spirale di violenza?

Sono certo che, se potesse, Papa Francesco verrebbe di persona a parlare ai cuori dei governanti, verrebbe a fermare le mani armate, verrebbe a portare una carezza ai bambini oltraggiati e indifesi. Noi, uomini di buona volontà, abbiamo solo il potere di parole e di azioni in difesa della vita.

Tutti avremo sulla coscienza e dovremo rispondere a Dio e alla Storia di tanti innocenti morti, perché non siamo stati capaci di difendere il bene prezioso di ogni singola vita umana.

Sono arrivati in questi giorni in Terra Santa molti giornalisti e televisioni a documentare la brutalità della guerra. Anche i media possono fare molto in questo momento storico. La comunicazione è fondamentale: vogliamo un’informazione corretta, che non dia notizie non verificate che poi diventano strumenti di incitamento all’odio. Ciò è dannoso e non aiuta a salvare vite umane.

L’obiettivo primario per tutti deve essere solo di fermare questa guerra,

per il bene dell’umanità intera, la coscienza di ognuno si risvegli per porre fine a questa disumanità che sta colpendo tante vite, e che rischia di coinvolgere il mondo.

Facciamoci tutti strumenti di Pace perché non vogliamo la guerra.

 

(*) vicario custodiale della Custodia di Terra Santa

Conflitto israelo-palestinese: due settimane di guerra tragica incertezza

Sab, 21/10/2023 - 10:30

A due settimane dall’attacco di Hamas, l’inferno di esplosioni continua a mietere morti innocenti, con uno sgomento che, per pudore oltre che per cognizione, impedirebbe di ostinarsi nella semplificazione dialettica di azione/reazione.
I razzi contro Israele ora provengono anche da Yemen e Iraq, mentre altri puntano sulle basi Usa in Siria. Nel mentre, sembra delinearsi la tattica israeliana in questa prima fase, emula di quella autorizzata da Kennedy contro i vietcong: bersagliare dal cielo il settore nord della Striscia per spingere la popolazione terrorizzata a sfollare verso sud, così da creare una zona di “fuoco libero” in cui penetrare via terra. Di qui procedere spianando la strada con bombe Jdam, capaci di perforare il suolo sino a 50 mt e di propagare onde orizzontali di mezzo miglio, per annientare la resistenza nel temuto reticolo di tunnel. Ma

concentrare le forze su Gaza, scoprendo Cisgiordania e confine libanese, potrebbe scoprire il fianco a Hezbollah (secondo alcune fonti pronta con 100mila uomini e 130mila missili): ciò sancirebbe l’allargamento del conflitto di cui l’Iran potrebbe intestarsi la partecipazione,

dato che altre forze sciite muovono da est per congiungersi con quelle stanziate in Siria (ad Aleppo, per esempio, già bersagliata due volte da Israele).

Intanto

le proteste contro la mattanza di civili nella Striscia hanno già infiammato le piazze di Beirut, Istanbul e Amman. Esse confermano il cinico calcolo di Hamas,

che il 7 ottobre ha gettato i governi arabi sotto la pressione delle rispettive società, arrestandone la normalizzazione a trazione economica con Israele, funzionale alla exit strategy Usa dalla regione che pareva destinare i palestinesi all’oblio: ignorati dagli Accordi di Abramo e con la tacita disponibilità dei leader arabi a distrarsi dai “fratelli” sotto segregazione e occupazione. Se avvenisse, l’invasione di Gaza assumerebbe i tratti di una guerra di sterminio. Allora le agitazioni popolari potrebbero costringere i leader arabi a intervenire. Così Washington, alludendo di saper moderare Tel Aviv, è parsa sulle prime rassicurarli per ottenere la loro l’astensione. Tuttavia sarebbe proprio l’astensione ad aizzare nelle strade l’accusa di tradimento. Del resto,

la visita di Biden in Israele è sembrata annunciarsi come mossa per mitigare l’oltranzismo di fine corsa di Nietanyahu. E invece le dichiarazioni al ritorno in Casa Bianca hanno suggerito una sorta di trasfert inverso, con Biden a rivendicare agli Usa il titolo di più grande potenza militare della storia mondiale, per prepararsi a chiedere al Congresso – con non si sa quali aspettative – un surplus di finanziamento in armi a Kiev e Tel Aviv (oltre ai fondi per serrare la frontiera messicana in rivalità con Trump). Plausibile o no il parallelo tra Ucraina e Israele (respinto da quest’ultimo nel rifiutare la visita di Zelensky pronto al decollo), l’ipotesi di un altro dispendioso sostegno apre a scenari di conclamata insostenibilità.

Soprattutto si intravede l’affanno unipolare di una superpotenza ostaggio del suo ruolo, che impone di nascondere lo stress iperestensivo e vieta di mostrare timidezze per le falle nei teatri già destabilizzati da cui oggi pur vorrebbe disimpegnarsi. Con il paradosso però di esasperarli anziché placarli. Le portaerei e i caccia appena dislocati a scopo deterrente verso terzi fotografano le suddette contraddizioni, giacché lo scudo può suggerire a Tel Aviv di avere carta bianca, dando inoltre agio a Russia e Cina di dipingere gli Usa come attore eversivo, prolungando la linea tra Iraq, Libia e Siria. Così anche la proposta di risoluzione Onu per imporre una tregua umanitaria, bocciata dal veto statunitense. Oltre ad alimentare l’antiamericanismo, simili posture finiscono di nuovo per includere l’Occidente tra le parti in conflitto, negandogli funzioni di mediazione trasversalmente accreditabili, pur necessarie nell’ennesima area che Washington non può abbandonare alle insidiose manovre conciliative di Pechino.
Questo però non vuol dire accettare ciecamente il rischio escalativo. Gli Usa, senza compromettersi, potrebbero puntare sulla Turchia: legata a Israele sul piano militare ed energetico, interessata a stabilizzare l’area, membro Nato ma guidata da un partito islamico conservatore, essa potrebbe fare leva su Hamas mediante il Qatar, pedina regionale di Ankara e munifico sostenitore dei palestinesi. È solo una delle riserve tattiche da auspicare, per fermare la tragedia e disinnescare la miccia di una deflagrazione dagli effetti imponderabili.

Conoscere la missione per scoprire l’evangelizzazione in cammino

Sab, 21/10/2023 - 09:15

Nel manifesto della Giornata missionaria mondiale di quest’anno padre Christian Carlassare, vescovo di Rumbek in Sudan e vittima nel 2021 di un attentato, cammina nella brousse per raggiungere Papa Francesco (nella sua visita al Paese africano del febbraio scorso). Sui suoi passi, lo slogan “Cuori ardenti, piedi in cammino” che è anche il titolo dell’editoriale con cui don Giuseppe Pizzoli, direttore generale di Missio, apre l’Animatore Missionario, strumento per divulgare il materiale per l’animazione dell’Ottobre missionario prodotto dalla Fondazione Missio per le parrocchie e i gruppi missionari sul territorio, scaricabile dal sito www.missioitalia.it.
Tra i materiali che arricchiscono questo numero dell’Animatore, troviamo anche un approfondimento della biblista Rosalba Manes sulle suggestioni racchiuse nel testo evangelico dei discepoli di Emmaus che privilegia il tema del “viaggio” come metafora della vita e offre una serie di indicazioni preziose per ripensare la necessità di avviare i giovani al discernimento. Tra le riflessioni segnaliamo quella di don Ezio Falavegna, docente di Teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto e le testimonianze di missionari sul campo come quella di don Sandro Corazza missionario nel Nord est del Brasile per 23 anni; del comboniano padre Daniele Moschetti impegnato da quattro anni tra i migranti a Castelvolturno (Ce).
Per quanto riguarda l’animazione si parte dalla scansione dei temi liturgici per le messe domenicali delle quattro settimane del mese di ottobre. Per la Giornata del 22 ottobre vengono proposti i testi per animare una Veglia di preghiera, in cui si ricordano i missionari, religiosi o fidei donum provenienti anche dalle nostre diocesi ed inviati ad annunciare il Vangelo nel mondo. Ci sono poi l’Adorazione eucaristica, e il Rosario missionario, scaricabili da www/missioitalia.it/category/conoscere/giornate-missionarie-conoscere/.
Sul canale Youtube della Fondazione Missio e sulla piattaforma Vimeo sono scaricabili gratuitamente nove video realizzati da “Luci nel mondo”: oltre al video ufficiale dal titolo “Cuori ardenti, piedi in cammino” realizzato ad Assisi con i commenti di don Pizzoli, il secondo è dedicato alla lotta del popolo indigeno maxuxi in Roraima (Brasile) e dei missionari che li accompagnano; il terzo racconta di John Bradburne, incredibile figura di laico missionario inglese che spende la sua vita fino al martirio in Zimbabwe nel lebbrosario di Mutemwa; il quarto video è dedicato a padre Norberto Pozzi, missionario carmelitano, gravemente ferito da una mina in Centrafrica; il quinto video racconta di Melania Nyamukuwa, assistente sociale al St Albert’s Mission Hospital in Zimbabwe che fa chilometri ogni mese per curare i malati; nel sesto video don Riccardo Giavarini parla della sua vita e dell’impegno per i minori in Bolivia; nel settimo don Beniamino Resta è testimone del lavoro nero nelle periferie di San Paolo del Brasile, mentre l’ottavo video è stato girato in occasione del 15esimo incontro delle Comunità Ecclesiali di Base (Cebs) del Brasile. Per chiudere “Meno lamenti e più missione”, una riflessione di mons. Erio Castellucci, vice presidente della Conferenza episcopale italiana.

 

Tre riviste per raccontare l’ad gentes: Popoli e Missione, Il Ponte d’Oro e NotiCum

Sab, 21/10/2023 - 09:12

Per sensibilizzare alla missione, uno degli obiettivi della Fondazione Missio (organismo pastorale della Cei) è anche quello di informare “sul” e “dal” Sud del mondo. Non è possibile, infatti, comprendere appieno le dinamiche che determinano gli squilibri sociali, né è possibile scoprire le ricchezze dei popoli dei cinque continenti, se non ci si immerge dentro le realtà locali.
Per fare questo sono preziose le voci dei missionari che vivono in mezzo alla gente: lo fanno senza clamore, spesso nel nascondimento, ma sanno leggere, capire, descrivere e raccontare le situazioni che si trovano ad affrontare insieme alle popolazioni alle quali testimoniano, con la vita, il Vangelo di Gesù. È a loro che le tre riviste missionarie edite da Missio danno voce, con testimonianze, interviste, analisi e racconti. I due mensili cartacei (entrambi acquistabili per abbonamento) e quello multimediale sono ideati, scritti e proposti per target differenti.
“Popoli e Missione”, rivista d’informazione e azione missionaria, è dedicata a famiglie e Centri missionari diocesani. La prima parte offre articoli di analisi e approfondimento sui Paesi del Sud del mondo e sulle cruciali tematiche che li riguardano; la seconda parte ospita testimonianze di missionari, esperienze di fede condivisa e di cooperazione tra le Chiese, descrizione di materiali e iniziative ideate per l’animazione missionaria di gruppi, famiglie, comunità.
“Il Ponte d’Oro”, mensile per ragazzi da 8 a 12 anni, offre approfondimenti di tematiche e argomenti legati alla mondialità, pensati e scritti a misura di bambino. La rivista è dedicata a chi è curioso di saperne di più su mondo, Vangelo e missione, ma è utile anche a catechisti e insegnanti che vogliono educare alla fede con un’attenzione speciale alla missionarietà e alla mondialità.
“NotiCum”, rivista digitale, è a cura del Centro unitario per la formazione missionaria (Cum) di Verona. La sua diffusione avviene attraverso una newsletter e la ricezione è gratuita. Il mensile multimediale ospita articoli e riflessioni di sacerdoti e missionari sul campo, informa sulla dimensione evangelizzatrice della Chiesa, propone iniziative e corsi di formazione missionaria. La sua peculiarità è quella di essere ricco di video-interviste e docufilm, incorporati negli articoli e scaricabili con un click.
Oltre alle tre riviste mensili, c’è anche un sito web di aggiornamenti costanti per seguire da vicino l’attualità dal Sud del mondo: si tratta di “Popoli e Missione on line” raggiungibile tramite l’indirizzo www.popoliemissione.it che è il supplemento elettronico dell’omonima rivista cartacea.
La Fondazione Missio si avvale, per comunicare la missione, anche della pagina Facebook.

Alla Festa di Roma “La Storia” di Francesca Archibugi e “Te l’avevo detto” di Ginevra Elkann

Sab, 21/10/2023 - 09:10

Un’umanità piegata, disgraziata, in cerca rinnovata di speranza. È questo che unisce i titoli in cartellone nel terzo giorno della Festa del Cinema di Roma. Anzitutto la miniserie Rai “La Storia” firmata da Francesca Archibugi, adattamento dell’omonimo romanzo di Elsa Morante. Il racconto di una donna e dei suoi figli chiamati ad attraversare i giorni foschi delle leggi razziali, i bombardamenti durante il Secondo conflitto mondiale e il tempo delle macerie, della ricostruzione. Un affresco storico-sociale disseminato di sofferenze e tentativi di riscatto. Protagonista un’intensa Jasmine Trinca, affiancata da Elio Germano, Lorenzo Zurzolo, Francesco Zenga e Valerio Mastandrea. Alla Festa di Roma c’è anche l’opera seconda della regista-produttrice Ginevra Elkann, “Te l’avevo detto”, un’istantanea tragicomica su un’umanità sul crinale dello smarrimento. La Elkann si muove lungo lo stesso binario narrativo di “Siccità” di Paolo Virzì, tratteggiando un mondo alla deriva con cast corale di livello: Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Danny Huston e Alba Rohrwacher. Il punto Cnvf-Sir.

“La Storia”
Dopo “Romanzo famigliare” del 2018, la regista romana Francesca Archibugi torna a dirigere per la televisione, la Rai, firmando il progetto della miniserie “La Storia”, adattamento del romanzo storico di Elsa Morante del 1974, già portato sullo schermo da Luigi Comencini nel 1986. Oltre alla regia, l’Archibugi firma anche la sceneggiatura insieme a Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Francesco Piccolo. Della serie, in onda prossimamente su Rai Uno, sono stati presentati i primi due episodi.

La storia. Roma fine anni ’30, quartiere San Lorenzo, è partito il censimento degli ebrei con l’inasprirsi delle misure nazifasciste. Ida è una maestra elementare rimasta vedova con un figlio adolescente, Nino. È di origini ebraiche, che però le sono state tenute nascoste dalla madre, che l’ha fatta anche battezzare. Un giorno quando rientra a casa dal lavoro viene aggredita da un militare tedesco, violenza da cui nascerà poi il secondo figlio Giuseppe. Nonostante le sofferenze e le ristrettezze economiche, Ida e i figli si barcamenano per custodire una felicità in casa. La guerra però cambia tutto…

La Storia (History: A Novel), director Francesca Archibugi, cinematography Luca Bigazzi.
A series based on the ‘History: A Novel’ of Elsa Morante, in Rome during the war and after the war.

La regista di “Mignon è partita” (1988), “L’albero delle pere” (1998), “Questione di cuore” (2009) e “Il colibrì” (2022), si cimenta con un progetto storico complesso e sfidante. Il nuovo adattamento del romanzo di Elsa Morante, “La Storia”, è la parabola di una donna, di una famiglia, che attraversa le pagine più aspre della guerra e della ricostruzione. Un racconto teso a fare memoria dello smarrimento dell’uomo, in una delle pagine più buie del Novecento, e al contempo a ritrarre il cammino faticoso di risalita di una vedova. Jasmine Trinca abita con maturità e convinzione il personaggio della maestra Ida, chiamata a tenere sottopelle numerosi tormenti e dolori: dal dover celare le radici ebraiche per paura di ritorsioni alla violenza subita da un soldato tedesco vacuo e alticcio. Da quella lacerazione è nato però un bambino, che la sprona a reagire insieme al maggiore Nino, quest’ultimo infarcito di proclami fascisti e incapace di leggere le pene che fronteggia la madre.

Lungo il copione la Archibugi ci accompagna in una vertigine claustrofobica, disegnando un sentiero di inciampi. A giudicare dai primi episodi, la regista governa il racconto con lucidità e vigore, alternando pagine di tenerezza domestica a raccordi ruvidi, brucianti, di un mondo feroce (i bombardamenti di San Lorenzo). Evidente l’elevato investimento produttivo, una cordata Italia-Francia composta da Rai Fiction, Picomedia e Thalie Images. Anche la scelta degli interpreti risulta accurata: oltre alla protagonista Trinca, sono da ricordare Francesco Zenga, Valerio Mastandrea, Elio Germano, Lorenzo Zurzolo e Asia Argento. Un affresco storico-popolare che cerca di coniugare la complessità narrativa dell’opera e degli avvenimenti narrati, la poesia della penna della Morante e dello sguardo della Archibugi, con le esigenze divulgative della televisiva. Complessa, problematica, per dibattiti.



“Te l’avevo detto”
Dopo alcune esperienze come produttrice, Ginevra Elkann ha esordito alla regia con “Magari”, che ha aperto il Festival di Locarno nel 2019. A distanza di quattro anni è tornata dietro alla macchina da presa per la sua opera seconda, il banco di prova più delicato per un autore: alla Festa del Cinema presenta “Te L’avevo detto”. A firmare il copione la stessa Elkann con Chiara Barzini e Ilaria Bernardini. Produce The Apartment, distribuisce Fandango.

La storia. Roma oggi, a pochi giorni dal Natale. Il clima risulta anomalo, impazzito, con un caldo oltre i 30-35 gradi. In una giornata afosa e rovente assistiamo agli accadimenti di un gruppo di persone colte da paure, fragilità, rimorsi e dipendenze.

“Durante una calda estate romana – indica la regista – dove tutto si stava sciogliendo intorno a me, mi sono chiesta se il mondo sarebbe stato così per sempre, per sempre caldo, giallo e secco. È stato allora che ho sentito il bisogno di raccontare questa storia. Quell’estate mi ha ricordato la Bibbia con le sue catastrofi naturali: visioni apocalittiche, invasioni di grilli, animali allo stato brado e peccatori puniti. Ma chi erano questi peccatori? Quelle erano le persone che mi interessavano: i peccatori. Mi interessava il peccato e perché oggi, molto spesso viene considerato malattia”.

Ginevra Elkann, alla maniera del Virzì di “Siccità”, compone un affresco umano-sociale in un mondo al crocevia dell’apocalisse. Racconta una giornata di tormentati di un gruppo di persone affaticate da un caldo senza tregua. Un’umanità sgraziata e disgraziata che strappa tenerezza e risate amare. Troviamo anzitutto l’ex pornostar Pupa (Valeria Golino), ormai sul viale del tramonto, che non riesce a darsi pace del suo invecchiamento; poi c’è Gianna (Valeria Bruni Tedeschi), una donna con problemi di fragilità psichica, ossessionata da Pupa che le ha rubato il marito e da una devozione religiosa esaltata in maniera patologica. Ancora, seguiamo gli affanni della madre alcolizzata Caterina (Alba Rohrwacher), che prova a recuperare il rapporto con il figlio preadolescente nel giorno del suo compleanno e a tenere distante la bottiglia.

Nella carrellata di personaggi in campo c’è anche il sacerdote cinquantenne Bill (Danny Huston), un ex tossicodipendente che lotta ogni giorno con la tentazione e al contempo organizza gruppi di supporto per persone come lui. Bill, insieme alla sorella Frances (Greta Scacchi) venuta appositamente dagli Stati Uniti, deve dare sepoltura alla madre scomparsa. La sorella vorrebbe spargere le ceneri nel cimitero acattolico di Roma, Bill vorrebbe darle una sepoltura propria, cristiana. I due fratelli devono lottare con un dialogo disperso, con rimossi e traumi latenti, proprio quelli che hanno spinto Bill a cadere nella dipendenza. Nell’insieme, la religione è chiaramente uno dei protagonisti del racconto della Elkann, tirata in ballo continuamente dalle citazioni bibliche della “credente patologica” Gianna, preda di crisi emotive e di psicofarmaci, dalla condotta del prete Bill come pure dai rimandi climatici come “segnali” dell’Apocalisse imminente.

Ginevra Elkann disegna pertanto un quadro tragico e grottesco, un orizzonte umano dove tutti cercano un appiglio contro la rovinosa caduta. Lo stile visivo vira sulle tonalità del giallo e dell’arancio, come a voler enfatizzare uno scenario climatico lunare, di soffocante aridità. Le intenzioni e le suggestioni sono di certo valide e interessanti, ma l’autrice non sempre riesce a mantenere il controllo della macchina narrativa, le traiettorie dei personaggi: alcuni sono più a fuoco, intensi, altri forzati e gratuiti. Bene, dunque, ma non benissimo. Complesso, problematico, per dibattiti.

L’insegnamento di Papa Wojtyla continua attraverso le opere a lui dedicate

Sab, 21/10/2023 - 09:07

 

 

Il 22 ottobre si celebra memoria liturgica di s. Giovanni Paolo II istituita nel giorno in cui si ricorda l’inizio del suo pontificato. In serata poi è prevista in Piazza S. Pietro una speciale veglia di preghiera.

Nel suo Paese natale, il Pontefice polacco viene ricordato anche ogni seconda domenica di ottobre. Quest’anno la Giornata del Papa, che ha avuto come titolo le parole tratte dall’enciclica Evangelium vitae sulla civiltà della vita, è stata festeggiata in concomitanza con la Giornata mondiale dei bambini non nati.

“Le questioni inerenti alla civiltà della vita riguardano non solo i problemi dell’aborto o dell’eutanasia bensì anche la guerre in Ucraina e in altre parti del mondo” 

ha osservato l’arcivescovo di Varsavia card. Kazimierz Nycz in una speciale intervista trasmessa dalla tv pubblica sabato 14 ottobre, a due giorni dai festeggiamenti del 45° anniversario dell’elezione di Karol Wojtyla al Soglio Pontificio.

In realtà si tratta del “diritto ad uccidere un altro essere umano” ha detto nell’intervista il presule, riferendosi al “diritto all’aborto” richiesto in Polonia da più parti, specialmente nel corso della campagna elettorale prima delle politiche del 15 ottobre.

Il card. Nycz è presidente della Fondazione Opera del Nuovo Millennio istituita dall’episcopato polacco nel 2000 a seguito delle parole pronunciate da Giovanni Paolo II durante il suo penultimo viaggio in Polonia, quando chiese di “non innalzargli delle statue ma di fare qualcosa di buono per la gente”. L’Opera eroga delle borse di studio ai giovani meno abbienti e provenienti da piccoli centri i quali, diversamente, non avrebbero potuto continuare l’educazione né raggiungere il livello di conoscenze desiderato.

La Fondazione, gestita dall’episcopato ma sottoposta al controllo governativo, ha come obiettivo “promuovere l’insegnamento del Papa polacco” e raccogliere i fondi (sia durante la Giornata dedicata a Giovanni Paolo II che nel corso dell’anno) che permettono di contribuire alle spese per lo studio di circa 2mila borsisti fra i quali anche una settantina di ucraini. Il card. Nycz, ha espresso grande soddisfazione per i risultati della colletta e per il fatto che ormai la Fondazione è conosciuta in tutte le parrocchie del Paese che a livello locale organizzano le celebrazioni della Giornata del Papa.

“I giovani borsisti durante l’anno hanno bisogno di un’adeguata formazione ma devono poter passare insieme anche una parte delle vacanze” racconta il presidente del Consiglio direttivo della Fondazione don Dariusz Kowalczyk. “Sin dall’inizio della nostra attività abbiamo concordato che affinché la nostra Fondazione sia un monumento vivente al Papa, i giovani formati nello spirito di Giovanni Paolo II devono conoscersi, incontrarsi e poter stringere amicizie”,aggiunge. Don Dariusz sottolinea inoltre che i giovani spesso provenienti da piccoli centri spesso non vengono nemmeno nelle grandi città per non sostenere delle spese eccessive.

“Noi li incoraggiamo a scegliere delle migliori università, delle specializzazioni che corrispondano appieno al loro talento, li portiamo ad assistere a workshop, esercizi di laboratorio o conferenze ma anche a partecipare alle attività sportive e persino in discoteca, e, al contempo, garantiamo loro una formazione quotidiana e l’Eucaristia, offrendo il sostegno sia spirituale che intellettuale e integrativo”, riferisce don Dariusz.

I giovani borsisti della Fondazione, fra gli altri, studiano anche presso l’Università cattolica di Lublino dedicata a Giovanni Paolo II dove domenica 15 ottobre è stato inaugurato il nuovo anno accademico. “La nascita della nostra Università è l’effetto della cultura dell’Europa cristiana”, ha detto all’inaugurazione il gran cancelliere dell’Università mons. Stanisław Budzik. Durante la cerimonia, inoltre, le autorità dell’ateneo hanno conferito il dottorato ad onorem al Rabbino Abramo Skorka, amico argentino di Papa Francesco. All’insigne studioso è stato riconosciuto il contributo a favore del dialogo interreligioso portato avanti “nelle ricerca delle fondamenta comuni” delle religioni diverse.

In occasione della 23ª Giornata di Giovanni Paolo II l’episcopato ha pubblicato una lettera pastorale nella quale sottolinea che “la costruzione della civiltà della vita è il compito sia della Chiesa che dell’intera società” poiché la sua legge fondamentale “è la legge dell’amore che è il solo rapporto tra esseri umani” che si esprime “attraverso la compassione, la solidarietà e la disponibilità al sacrificio”.

I vescovi fanno appello alla società civile chiedendo di intraprendere delle iniziative a favore della famiglia “a livello personale, sociale nonché legislativo e mediatico”.

La Giornata di Giovanni Paolo II è proseguita lunedì 16 ottobre a Roma dove, in presenza del presidente Andrzej Duda, nella Basilica Vaticana è stata celebrata una liturgia solenne. Il 18 ottobre poi, alla Pontificia Università Gregoriana si è svolta una conferenza dedicata al Pontefice polacco. Nel corso dell’incontro si è parlato dei tentativi da parte delle autorità della Polonia comunista di screditare la figura di Karol Wojtyla, l’allora arcivescovo di Cracovia, e che oggi riecheggiano sotto forma delle infondate accuse di aver coperto dei casi di abusi sessuali. Gli studiosi dell’Istituto della Memoria Nazionale polacco hanno inoltre presentato lo stato dell’arte delle indagini riguardanti l’attentato al Papa del 13 maggio 1981 in Piazza s. Pietro. In base ai documenti recentemente recuperati dagli archivi dei servizi di sicurezza polacchi e tedeschi però non è possibile indicare con certezza i mandanti dell’attentato. E questo anche perché restano tutt’ora chiusi i casellari  del Cremlino e di Washington che potrebbero svelare chi, quel fatidico giorno, aveva guidato la mano di Ali Agca.

Calcio e scommesse illecite. Capitanucci: “Prevedibili ‘danni collaterali’ della pervasiva diffusione del gioco d’azzardo”

Sab, 21/10/2023 - 09:05

Ancora una volta il mondo del calcio è scosso da uno scandalo: quello delle scommesse su piattaforme illegali. Coinvolti diversi giocatori, dietro una dipendenza molto pericolosa che colpisce tante persone nella nostra società: quella dal gioco d’azzardo. Ne parliamo con Daniela Capitanucci, presidente di And-Azzardo e Nuove Dipendenze Aps.

(Foto: profilo Facebook di Daniela Capitanucci)

Le scommesse illecite sono una delle tante facce del gioco d’azzardo? Che opinione ha su questo fenomeno?

Ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni sono solo i prevedibili “danni collaterali” della diffusione pervasiva del gioco d’azzardo nel nostro Paese. Anche quello legale.

Perché è noto che esiste una continuità tra legale e illegale e il gioco d’azzardo legale non ostacola affatto il proliferare di quello illegale, come ha ben documentato la Commissione parlamentare antimafia della XVIII legislatura. Per comprendere ciò che sta accadendo, è necessario allargare lo sguardo. Il gioco d’azzardo, scommesse incluse, è ovunque in Italia, diffuso in punti di vendita fisici e online. Possiamo affermare che sport, scommesse e azzardo sino ad ora sono andate a braccetto. Senza il divieto di pubblicità in vigore dal 2019 – che in teoria porterebbe con sé la proibizione della sponsorizzazione delle maglie da parte dei concessionari di giochi d’azzardo e scommesse – non senza conseguenze, verrebbero legittimate e ratificate alcune contiguità economiche dirette tra i due mondi. Purtroppo, tale interdizione alla pubblicità è stata comunque bellamente aggirata nei fatti: chiunque si è accorto che negli stadi molti siti, con il pretesto di offrire informazioni, veicolano il pubblico verso piattaforme di scommesse online. Club, Federazione, ministro dello Sport e dei Giovani e altri interlocutori si mostrano favorevoli ad abolire la norma per tornare a ricevere denaro da chi gestisce scommesse. Questi interlocutori parrebbero rincorrere soluzioni impossibili, gettando la responsabilità dei fatti di questi giorni sui giocatori-scommettitori, invece di assumersene quel pezzo che ha a che fare con i legami intessuti tra Federazione, società sportive e concessionarie, senza considerare che il calcio in realtà con questo approccio rischi di diventare la vittima collaterale di sé stesso. C’è bisogno di maggior coerenza.

Lo sport dovrebbe, in teoria, educare a sani principi, mentre vediamo che spesso è sporcato da brutte storie. Ma questo cosa insegna ai giovani?

Sarebbe quanto meno necessario separare totalmente questi due mondi, sport e azzardo.

Lo sport non è azzardo. E l’azzardo non è sport. Non possono esserci contaminazioni.

Non possiamo diffondere gioco d’azzardo in ogni dove, nel territorio e online, e poi pretendere che non si giochi, o si giochi responsabilmente… C’è da chiedersi: l’attuale offerta di azzardo è responsabile? 136 miliardi di euro raccolti nel 2022, di cui 20 miliardi persi inesorabilmente… (fonte: Adm), cioè, usciti per sempre dalle tasche delle famiglie italiane, è responsabile e sostenibile? Questi volumi di denaro rappresentano davvero un successo per la collettività?

Chi è il giocatore tipo? I giovani sono più a rischio?

Mentre alcuni giochi d’azzardo (slot machine e gratta e vinci, ad esempio) hanno una clientela trasversale, le scommesse sullo sport hanno invece un pubblico specifico. Tutte le indagini epidemiologiche condotte, sia a livello locale da And-Azzardo e Nuove Dipendenze Aps, sia a livello nazionale (Iss, Cnr…), evidenziano che scommettere sul calcio è un’attività ampiamente praticata da soggetti di genere maschile, tra i quali numerosi sono anche under 25. Nel solo 2021 nella fascia d’età 18/24 anni sono stati aperti 1.360.000 conti di gioco, a cui vanno aggiunti, nella stessa fascia d’età, altri 1.816.000 conti di gioco già attivi (fonte: Adm). Le scommesse sportive sono il gioco d’azzardo più praticato dagli studenti italiani maschi. Secondo l’Istituto superiore di sanità, il 52% degli studenti 14-17enni, dunque minorenni ai quali sarebbe precluso l’accesso, frequenta sale scommesse. Ed è ancora più facile aggirare i divieti per scommettere online. Per la Generazione Z, nata e cresciuta in un mondo ove l’azzardo è ovunque, quindi praticare sport, guardare partite e scommettere su di esse è vissuto come un rito collettivo, in cui tutte e tre queste azioni sono imbricate indissolubilmente tra loro.

Perché i calciatori, che fanno parte di un mondo dorato, a loro volta scommettono?

Dovremmo chiederci piuttosto perché mai non dovrebbero scommettere! I calciatori sono giovani maschi della Generazione Z e, proprio come i loro pari, scommettono, anche a costo di pagarla cara, sebbene consapevoli dei rischi che corrono (sanzioni sportive). Lo fanno proprio come accade a tutti gli altri “sconosciuti”, che violano norme differenti, nello stesso modo: ad esempio, quando a scommettere è un minorenne, in barba ai divieti. O quando a giocare d’azzardo è un esponente delle Forze dell’ordine, un magistrato o un operatore sanitario… Al pari dei loro coevi meno famosi – ma non meno danneggiati! – questi calciatori-scommettitori con il loro comportamento mettono a nudo una realtà che dovrebbe preoccupare e invece è costantemente sottaciuta, negata, manipolata, mistificata, fintanto che adesso non ha investito soggetti in vista. La vicenda di questi giorni scoperchia i danni collaterali che provoca l’azzardo, in termini di trasgressione delle regole, progettualità, conseguimento di risultati, qualità della vita: successi e percorsi di vita buttati alle ortiche. Per i calciatori e per le migliaia di giovani sconosciuti. Sono i costi dell’azzardo. Che pagano tutti, non solo i giocatori-scommettitori ricchi e famosi.

A che punto siamo con il contrasto all’azzardo in Italia?

Assistiamo con preoccupazione a una fase in cui la normalizzazione dell’azzardo, come comportamento socialmente accettabile e persino come fonte di risorse per l’erario e per l’industria, è dietro l’angolo.

Vi è la tendenza a presentare dati in modo rassicurante, occultando o tacendo i costi sociali collaterali ai 136 miliardi raccolti nel solo 2022, le sofferenze individuali, familiari e collettive, che invece ci sono e sono pesanti. Ma che vengono vissute in privato, sino appunto – come in questo caso – quando colpiscono persone in vista.

Quali sono le richieste che avanzano le associazioni e le organizzazioni impegnate in prima linea per il contrasto del Disturbo da gioco d’azzardo e dei suoi effetti negativi sulle persone, le loro famiglie e la società tutta?

Anche tra i tecnici le prospettive non sono omogenee, ma le Associazioni “storiche”, che si occupano di azzardo da oltre vent’anni, ritengono che siamo in ritardo per affrontare la situazione prevalentemente con iniziative di prevenzione (in particolare, quella educativa, insufficiente se non supportata da cambiamenti contestuali). Se vogliamo saltarne fuori, sempre che non sia già troppo tardi, è necessario invertire la rotta in modo netto nell’offerta di azzardo e scommesse, adottando pesanti misure di prevenzione ambientale (limitazione dell’offerta) con monitoraggio costante dell’incidenza e prevalenza del disturbo. L’ultima ricerca epidemiologica risale al 2018-19 (Iss) e andrebbe replicata con urgenza. Infine, andrebbe garantita cura competente, sia per i giocatori sia per i loro prossimi. Anche su questo versante della presa in carico specialistica, le linee guida ministeriali purtroppo sono ferme a parecchi anni fa.

Le scommesse su piattaforme illecite cosa insegnano?

La dolorosa vicenda che ha investito i giovani calciatori ha mostrato come nell’azzardo il discontrollo non è selettivo e il Disturbo da gioco d’azzardo (per piacere, basta con questa “ludopatia”!) è davvero democratico. Chiunque può essere colpito. Tonali, Fagioli, Zaniolo, ma anche i più umili e meno famosi Marco, Paolo, Giuseppe…. sono le vittime collaterali di un sistema di offerta dell’azzardo decisamente malato. Non dimentichiamo che per ogni giocatore d’azzardo patologico, scommettitori inclusi (stiamo parlando di un milione e cinquecentomila persone), vengono impattati negativamente almeno altri 7 soggetti, legati a loro in qualche modo: familiari, amici e – come è appena accaduto nello scandalo scommesse – entourage dell’ambito lavorativo dello scommettitore. Questa vicenda ha mostrato che i costi dell’azzardo non sono solo in casa d’altri, ma arrivano anche dove mai ci immagineremmo, ci riguardano tutti e possono essere anche molto salati. E sollecita nuovamente i decisori politici a intervenire con un intervento serio e tempestivo, scevro da conflitti di interessi, proprio a partire dalla valutazione dei danni azzardo-correlati.

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