Cdm approva il premierato. Meloni: “La madre di tutte le riforme”

RSS Agensir - Ven, 03/11/2023 - 17:30

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale su quello che tutti definiscono correntemente “premierato”. Il titolo completo del ddl – che ora dovrà affrontare il lungo percorso previsto dalla procedura di revisione costituzionale – è “Introduzione dell’elezione popolare diretta del presidente del Consiglio dei ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia”.

Il testo si compone di cinque articoli e modifica quattro articoli della Costituzione: il 59, l’88, il 92 e il 94. Un intervento all’apparenza circoscritto ma che va a incidere profondamente sulla forma di governo e sugli equilibri complessivi del sistema.

La stessa premier Meloni – che in precedenza aveva già dichiarato l’intento del Governo di “cambiare l’architettura istituzionale della Nazione” – al termine del Consiglio dei ministri l’ha definita “madre di tutte le riforme”.
Il cuore del progetto è nell’articolo 3 laddove si afferma che “il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni”. Una legge ordinaria dovrà disciplinare il sistema elettorale delle Camere “secondo principi di rappresentatività e governabilità”, ma intanto

il ddl punta a costituzionalizzare il principio maggioritario: un “premio” dovrà garantire il 55% dei seggi alle liste e ai candidati del presidente del Consiglio eletto.

Nel testo si specifica anche che per il premier e per i due rami del Parlamento si voterà “tramite un’unica scheda elettorale” e che il Presidente del Consiglio “è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura”: quindi sarà necessariamente un parlamentare. Il presidente della Repubblica conferisce inevitabilmente l’incarico di formare il Governo al premier eletto e “nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri”.
L’articolo 4 contiene le norme sul rapporto con il Parlamento e soprattutto quelle pensate per impedire i cosiddetti “ribaltoni”, divise in due paragrafi. Questo è il primo: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal presidente eletto, il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”. Nel secondo paragrafo si regola il caso di “cessazione dalla carica” del premier; per qualsiasi motivo, si può intendere, dato che il testo non ne indica alcuno in particolare. In questa circostanza non si torna obbligatoriamente alle urne, ma “il presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del presidente eletto ha ottenuto la fiducia”. Dunque il premier eletto può essere sostituito da un altro parlamentare (non un tecnico) che appartenga alla stessa coalizione e per attuare lo stesso programma. Questa sostituzione può avvenire una sola volta nella legislatura perché se il “presidente del Consiglio subentrante” non ottiene la fiducia o comunque cessa dall’incarico, si torna obbligatoriamente al voto.
L’articolo 1 del ddl elimina la figura dei senatori a vita nominati dal Capo dello Stato per “altissimi meriti” in campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Quelli attualmente in carica restano tali. Ma per il futuro senatori a vita saranno soltanto gli ex-presidenti della Repubblica.
Ricordiamo che

per le leggi di revisione costituzionale occorrono due successive deliberazioni di ciascun ramo del Parlamento ad intervallo non minore di tre mesi e nella seconda votazione è richiesta almeno la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, con la possibilità che sul testo approvato venga richiesto un referendum qualora non si raggiunga la maggioranza di due terzi.

In ogni caso il ddl del Governo prevede che il “premierato” sia attuato “a decorrere dal primo scioglimento della Camere” successivo all’entrata in vigore della riforma.

Gaza Strip. Sister Saleh: “Only the Pope hears us”

RSS Agensir - Ven, 03/11/2023 - 10:54

“The Israeli troops have reached as far as Tel al-Hawa, the neighbourhood in which our school is located. The Israelis have issued an order to evacuate all the houses in the area, including our school. Let’s hope they don’t bomb us.” The words of Sister Nabila Saleh to SIR confirm the information previously announced by the Chief of Staff of the Israeli army, General Herzi Halevi: “The troops are inside the city of Gaza, which they have encircled on three sides.” “Israeli troops have passed the outskirts of Gaza City. We are advancing despite painful losses,” Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu was quoted as saying by local media. The death toll of Israeli soldiers killed in the fighting has risen to 23, while at least 130 Hamas terrorists have been killed in the last few hours. Among them was Mustafa Dalul, the commander of the Sabra Tel al-Hawa Battalion who played “a large role in Hamas’s fight against IDF troops in the Gaza Strip” since the outbreak of the war. According to the Hamas Ministry of Health, which does not distinguish between civilians and militia fighters, the death toll in Gaza has reached 9,061, including 3,760 minors, while the number of wounded is estimated at around 32,000.

The life of the parish under the bombs. It was late yesterday evening when we last heard from Sister Nabila. “Internet connections are down for most of the day”, the nun told SIR, “the same goes for electricit”, she said, expressing her concern. Before the war, she ran the school of the Latin Patriarchate of Jerusalem, the largest in the Strip with over 1,200 pupils, the vast majority of whom are Muslim. “The parish of the Holy Family, where we are now sheltering,” she explains, “is no more than a five-minute drive from Tel al-Hawa. Yesterday, while we were praying in the church, we heard a loud explosion on the other side of the road, near the entrance to the parish. Thank God there was no damage or casualties, only great fear among the 700 people inside the church compound. The situation is getting worse by the day”, Sister Saleh points out:

“Nobody leaves the parish anymore because the bombs keep falling. Every time the children who are here with us hear rockets and bombs, they begin to despair and start to cry.”

“A few days ago,” the nun added, “they also bombed the cultural centre of the Greek Orthodox community, destroying the auditorium. There is not a single decent place left standing in Gaza.” No one speaks out about it, but the greatest fear – as Israeli ground troops close in – is being caught up in fierce house-to-house fighting. The nuns who assist the parish priest, Father Yusuf, do their best to care for severely disabled children, the sick, the wounded and the elderly. “We also try to entertain and cheer up the other children who spend their days terrified by the bombs,” explains Sister Nabila. “At the moment, we are managing to meet their needs for food and water, but we don’t know for how much longer.”

“We trust in Divine Providence and continue to pray every day.

The Pope’s phone calls. The days in the Gaza parish revolve around a daily event that is “eagerly awaited by everyone: the phone call from Pope Francis.” Father Yusuf informs him of the situation. Yesterday I had the opportunity to speak to him myself. He reassured and comforted us, telling us that he was aware of our suffering and that he was praying for us. At the end of each conversation, he blesses us all. Only the Pope listens to our voice, the voice of the victims, of those who are suffering from this unbearable and absurd war.”

 Diplomacy and humanitarian aid. US Secretary of State Antony Blinken will arrive in Tel Aviv today for his third visit to Israel since the start of the war. According to the White House, the purpose of his visit is to urge the Israeli government to accept a “temporary and localised” pause in the fighting in Gaza and to discuss ways to minimise the suffering of Gaza’s civilian population. The US also reaffirmed its ‘firm resolve’ to prevent an escalation of the conflict in the region. Turkey, according to Turkish President Recep Tayyip Erdogan, is also working towards “a ceasefire and a lasting peace between Israelis and Palestinians”. The delivery of humanitarian aid to civilians in Gaza continues at a slow pace. According to the Palestinian Red Crescent, 374 trucks of aid have entered Gaza since the start of the war between Israel and Hamas. The aid did not include fuel. This is a drop in the ocean compared to the needs of the people of Gaza, who have seen 45 per cent of their homes destroyed or damaged by Israeli attacks. In recent days, bakeries and ovens have been raided by crowds of Gazawi residents in need of food. Finally, the evacuation operations at Egypt’s Rafah crossing continue, with more than 800 people evacuated so far (including 74 US citizens) and now including Italians.

Striscia di Gaza. Suor Saleh: “Il Papa è l’unico che ci ascolta”

RSS Agensir - Ven, 03/11/2023 - 10:54

“I militari israeliani si sono spinti fino a Tel al-Hawa che è il quartiere dove si trova la nostra scuola. Israele ha intimato di lasciare le abitazioni della zona, compreso il nostro istituto. Speriamo non bombardino”. Le parole di suor Nabila Saleh, al Sir, di fatto confermano quanto già si sapeva per bocca del capo di Stato maggiore delle forze israeliane, il generale Herzi Halevi: “I militari stanno operando all’interno della città di Gaza che hanno circondato da tre lati”. “Le truppe israeliane hanno già superato la periferia di Gaza City e stiamo avanzando, nonostante perdite dolorose”, ha poi annunciato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, citato dai media locali. La conta dei militari israeliani morti in battaglia è salita a 23 vittime, mentre sono almeno 130 i terroristi di Hamas uccisi nelle ultime ore. Tra questi anche Mustafa Dalul, comandante del Battaglione “Sabra Tel al-Hawa” che fin dall’inizio della guerra ha avuto “un ruolo centrale nell’organizzare il combattimento con le truppe nella Striscia”. A Gaza – secondo il ministero della Sanità di Hamas che non distingue tra civili e miliziani – i morti sono arrivati a 9.061: di questi 3.760 sono minori mentre i feriti sarebbero circa 32.000.

(Foto ANSA/SIR)

La vita in parrocchia sotto le bombe. L’ultimo contatto con suor Nabila risale alla tarda serata di ieri, “la rete internet – racconta al Sir la religiosa – funziona poco e solo in alcuni momenti della giornata. Lo stesso vale per l’energia elettrica”. Lecita la preoccupazione della suora, che prima della guerra dirigeva la scuola del Patriarcato latino di Gerusalemme, la più grande della Striscia con i suoi 1200 e più studenti, in larghissima maggioranza musulmani. “La parrocchia della Sacra Famiglia, dove ci troviamo ora sfollati – spiega -, dista non più di 5 minuti di auto da Tel al-Hawa. Ancora ieri mentre eravamo in chiesa a pregare abbiamo udito una grande esplosione dall’altro lato della strada, all’altezza dell’ingresso della parrocchia. Grazie a Dio non ci sono stati danni e feriti ma solo una grande paura tra le 700 persone accolte all’interno del complesso parrocchiale”. Che la situazione stia peggiorando giorno dopo giorno lo si capisce anche dal fatto che, dice suor Saleh,

“dalla parrocchia oramai non esce più nessuno perché bombardano di continuo. I bambini che sono qui con noi ogni volta che sentono missili e bombe cominciano a disperarsi e a piangere”.

“Nei giorni scorsi – aggiunge la religiosa – hanno bombardato anche il centro culturale dei greco-ortodossi distruggendo l’auditorium. Non c’è un posto bello rimasto in piedi a Gaza”. Nessuno lo dice ma la paura più grande – con l’avvicinarsi delle truppe israeliane di terra – è trovarsi al centro di furiosi combattimenti casa per casa. All’interno della parrocchia, le religiose che assistono il vicario parrocchiale, padre Yusuf, si prodigano per assistere i bambini gravemente disabili, i malati, i feriti e gli anziani. “Cerchiamo anche di regalare un po’ di gioco e di spensieratezza agli altri bambini che trascorrono le giornate terrorizzati dalle bombe – spiega suor Nabila -. Per il momento riusciamo a soddisfare il bisogno di cibo e di acqua, ma non sappiamo per quanto tempo ancora”.

“Continuiamo a confidare nella Provvidenza e preghiamo ogni giorno”.

(Foto Vatican Media/SIR)

Le telefonate del Papa. La giornata in parrocchia a Gaza vive soprattutto di un appuntamento quotidiano, “atteso da tutti: è la telefonata di Papa Francesco. Padre Yusuf lo mette al corrente di quanto accade. Ieri ho avuto modo anche io di parlare con lui. Ci rassicura e ci conforta, ci dice che conosce bene la nostra sofferenza, che prega per noi. Al termine di ogni conversazione ci benedice tutti. Il Papa è l’unico che ascolta la nostra voce, la voce delle vittime, di chi soffre questa guerra insostenibile e assurda”.

Diplomazia e aiuti umanitari. Oggi è atteso a Tel Aviv il segretario di Stato americano Antony Blinken, per la sua terza visita in Israele dall’inizio della guerra. Secondo la Casa Bianca, dovrebbe sollecitare il governo israeliano ad accettare una pausa ”temporanea e localizzata” nei combattimenti a Gaza e discutere su come ridurre al minimo i danni ai civili a Gaza. Ribadita anche la “ferma determinazione” degli Usa di evitare l’allargamento del conflitto nella regione. Anche la Turchia, come dichiarato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sta lavorando a “un cessate il fuoco e a una pace duratura tra israeliani e palestinesi”. Prosegue a rilento la consegna degli aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza: secondo la Mezzaluna rossa palestinese dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, sono transitati 374 camion umanitari nella Striscia di Gaza. Nella consegna degli aiuti non è stato incluso il carburante. Una goccia nel mare dei bisogni dei gazawi che hanno visto il 45% delle loro abitazioni distrutte o danneggiate dai raid israeliani. Nei giorni scorsi sono state razziate panetterie e forni da gruppi di gazawi bisognosi di cibo. Al valico egiziano di Rafah proseguono infine le operazioni di evacuazione, che finora hanno interessato circa oltre 800 persone (tra cui 74 americani) e che stanno coinvolgendo anche gli italiani.

Maltempo in Toscana: regione devastata. Salgono a cinque i morti

RSS Agensir - Ven, 03/11/2023 - 09:32

Le vittime della grave ondata di maltempo che ha investito la Toscana nelle ultime ore salgono a cinque.

Sono due anziani a Montemurlo (uno per malore, l’altro da accertare) e un ospite di una Rsa a Rosignano, morto durante il trasferimento dai piani bassi della struttura. Tra le vittime si aggiungono i due che erano stati dati per dispersi. Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ha dichiarato lo stato d’emergenza regionale.

Risultano rotture sul Bisenzio a Santa Maria a Campi, sul Marina a Villa Montalvo, sul Fosso Reale, sull’Agna a Montale, sulla Stella a Casini di Quarrata, sul Bardena e sul torrente Iolo. Livelli in calo su Ombrone Pistoiese e Bisenzio ma la situazione è ancora molta critica.
“Proseguono incessantemente i salvataggi dalle abitazioni e dalle strade che sono invase dall’acqua, in alcuni punti in corrente, nel comune di Campi Bisenzio la situazione più critica”, fanno sapere i Vigili del Fuoco in una nota: “Oltre al personale del comando di Firenze con squadre di sommozzatori, soccorritori fluviali e quelli inviati dai comandi più vicini, sono giunti rinforzi da Biella e dalle Regioni della Basilicata, Puglia e Calabria”. “Il sopralluogo in città è stato uno shock. Una botta nello stomaco, un dolore che ti fa venire da piangere” ha commentato il sindaco di Prato, Matteo Biffoni.

Situazione Arno: la piena è attesa a Firenze dopo le ore 12 con un colmo di piena a cavallo del primo livello di guardia. Al momento sta transitando il colmo di piena sulla Sieve oltre i 300mc/secondo. Sta transitando anche la piena sul Serchio a 1000mc/secondo.
Tutte le strutture del sistema regionale sono attive. In questo momento migliaia di persone tra operatori, volontari, tecnici, personale dei Comuni, Forze dell’Ordine e Vigili del Fuoco stanno intervenendo sui numerosi fronti in Toscana.

“Enel sta intervenendo sulle circa 40.000 utenze ancora senza corrente anche con gruppi elettrogeni”, ha sottolineato Giani. Risolti i problemi di accesso all’ospedale di Pontedera, in via di risoluzione all’ospedale di Borgo San Lorenzo e al Pronto Soccorso di Prato. La linea ferroviaria Prato-Pistoia è interrotta in quanto allagata. I treni da Firenze arrivano a Prato.

Purtroppo, intanto, il maltempo non da tregua, raffiche di vento fino a 100-120 km/h su Appennino, 80-100 km/h sulla costa. Durante la notte la situazione più critica. A Carmignano l’esondazione del torrente Furba ha comportato a Seano un importante allagamento. A Montemurlo esondato torrente Bagnolo numerosi allagamenti anche nella zona sud di Montemurlo. Frane importanti tra San Quirico, Sassetta e sul Montalbano.

A Prato sono chiusi tutti i ponti a causa esondazione Bisenzio in zona Santa Lucia. Aperta cassa d’espansione dell’Ombrone e frane varie. Allagamento in vari reparti dell’Ospedale Santo Stefano di Prato. Chiusa ancora Autostrada tra e Prato ovest e Pistoia per allagamento della carreggiata. Tra Vernio e Vaiano per il convoglio bloccato 150 passeggeri a bordo sono stati evacuati e hanno trovato supporto presso il palazzo comunale di Vaiano.

A Campi Bisenzio vi è stata una rottura arginale della marina in zona villa Montalvo con tracimazione del Bisenzio al ponte della Rocca da entrambi i lati. A Stabbia (Cerreto Guidi) e Campi Bisenzio ci sono zone difficilmente raggiungibili con zone ancora senza elettricità e connessione e ci sono squadre sul posto che stanno intervenendo.

A Pistoia vari allagamenti nei comuni della provincia a causa di esondazioni di torrenti: Pistoia, Agliana, Quarrata e Serravalle Pistoiese colpiti da allagamenti a causa degli affluenti dell’Ombrone. A Lamporecchio, Larciano e Monsummano Terme situazione di vari allagamenti. Frane sul San Baronto. A Quarrata la situazione particolarmente più complessa dove parte del centro abitato è allagato, c’è una squadra che sta intervenendo. A Calcinaia 30 famiglie evacuate, 6 famiglie a San Miniato. A Pontedera l’allagamento più importante che ha colpito anche l’accesso dell’ospedale di Pontedera. Situazione di smottamento diffusi in tutta la provincia di Pisa con chiusura di strade provinciali e comunali.

Israel and Hamas. Card. Filoni (OESSH): The rights of Israelis and Palestinians “are two separate rights and neither of them is greater than the other”

RSS Agensir - Gio, 02/11/2023 - 12:28

“It is unacceptable to deny Israel’s right to exist, to live and to be. The same goes for the Palestinian people. There are two rights and neither is greater than the other. As long as this division is not overcome, it will be extremely difficult to resolve this dramatic situation.”

His Eminence Cardinal Fernando Filoni, Grand Master of the Equestrian Order of the Holy Sepulchre of Jerusalem (30,000 men and women serving as knights and dames in 64 lieutenancies and 40 countries, Ed.s note), commented on the ongoing war between Israel and Hamas on October 31, on the sidelines of the presentation of the Order’s 2023 Consultation, to be held in Rome November 6-9, on the theme of formation.  “Unless this conflicting perspective is overcome and the rights of all are respected, the clashes will continue”, he said. “We have a mission for peace – and the Pope is constantly renewing his appeal – which requires dialogue and respect for mutual rights.” SIR interviewed the Cardinal, former Apostolic Nuncio to Iran, Iraq and Jordan, on the conflict in Gaza.

Your Eminence, did you expect this resurgence of the Israeli-Palestinian conflict, which seemed to have disappeared from the agendas and diplomatic commitments of the international community?

Unfortunately, this is a conflict that flares up periodically. But I certainly did not expect it to be so violent and so tragic. The difference between what we have unfortunately become used to seeing and what we have seen in the last few days is that in the past the conflict was intermittent, now it is a full-blown war. You mention the fact that the conflict seemed to have “disappeared from the agendas of the international community”, which is a deep-rooted cause of the situation we see today: so much time has passed without real solutions and this has led to this violent flare-up.

In a letter to the faithful of the diocese, Cardinal Pierbattista Pizzaballa, Latin Patriarch of Jerusalem, described this period as “one of the most difficult and painful in our recent history”, and the massacre of both Israeli and Palestinian civilians testifies to this… How could this have happened?

The Patriarch, Card. Pizzaballa, is absolutely right. This is one of the most painful and complex conflicts in the recent history of the Holy Land. You ask how it was possible to reach this point: when a volcano accumulates a lot of energy, the pressure is enormous and sooner or later it explodes. All the anger, injustice, suffering, provocation, oppression and lack of freedom explain why the conflict has unfortunately escalated to this point.

These are tragedies that the Church has unreservedly condemned. But we cannot stop at condemnation. What is the priority to be pursued? Perhaps a ceasefire? How can the humanitarian emergency in the Strip be resolved?

Denouncing evil, injustice and suffering is good, but it hardly solves anything. It is not enough to identify the disease and not treat it with medicine. In my opinion, there are two priorities that need to be pursued at the moment in order to ensure that a ceasefire can take place, acting on a humanitarian level and laying the foundations for a future solution. On the part of Hamas, this means releasing prisoners and recognising Israel’s right to exist. For Israel, it means recognising the existence and activities of a Palestinian state and releasing Palestinian prisoners. I understand the difficulties involved, but it could be a way not only to address the immediate emergency but also to open up a new perspective without succumbing to déjà vu, which has unfortunately not borne fruit.

How can this war be stopped?

As someone who has lived in the region for several years (Iran, Iraq, Jordan, and now I am dedicating my service to the Holy Land), the war can only be won by eradicating the causes and by allowing common sense and human values, which for the believer are rooted in God, to prevail.

More than 200 people are being held hostage by Hamas: there has been much talk of the Church mediating for their release. Does the local Church have a history of dialogue with anyone… including Hamas?

It does, provided there is goodwill on the part of the involved parties. I remember when Paul VI, at a very difficult time, when international and national terrorism was raging, voluntarily offered himself in exchange for the victims and the prisoners. This attitude is always and consistently present in the Church… as an example, I would like to recall Father Maximilian Kolbe. Even today, Patriarch Pizzaballa, with great sensitivity, offered himself in exchange for the release of the hostages. It is also worth remembering that the history of the local Church in this land goes back a long way, with Christians living and residing on both sides: a small but important presence.

Amid the violence, the presence of Gaza’s small Christian community does not go unnoticed and despite suffering a number of casualties in the bombing of the Greek Orthodox Church of St Porphyrios, it provided shelther to displaced people and has been relentless in its prayers for peace. “Their pains are great, and yet , with each passing day, I realise more clearly that they are at peace. They are frightened, shocked, upset, but they are at peace in their hearts,” said Cardinal Pizzaballa, referring to the Christians of Gaza. What is the significance of this small Christian presence in Gaza and in the current context of war?

Christians have been present in Gaza for a long time, surviving many hardships, sharing their suffering with the whole population. The situation today is not any different. That is why I welcome Cardinal Pizzaballa’s description of this small community as a presence in the midst of suffering, but also as a presence of peace. Let us support this population with prayer, affection and encouragement, and may they feel the spiritual and moral support of the entire Catholic Christian community. These were the same sentiments I shared with the Christian community in Iraq during the war. I often remember what an Iraqi taxi driver said to the nuns who lived there with me: “Please don’t leave. You are the part of humanity that helps us to live in moderation.”

Do you still believe in the two-peoples, two-State solution?

This is an extremely sensitive issue, which has been in the making for years and which has not yet found unanimous support. But this solution can only be achieved with the agreement of both sides. We support this option if Israel and Palestine also agree, while respecting their respective identities, histories and the territories in which they live. The Holy See remains faithful to its position on this matter.

How does the Order of the Holy Sepulchre plan to support the Latin Patriarchate and the local Christian community?

The Order of the Holy Sepulchre has traditionally worked alongside the Latin Patriarchate of Jerusalem – and other ecclesial realities in the area – supporting the needs identified by the Patriarchate. At a time like this, the members of the Order are asking what more they can do to express their closeness and solidarity with the populations affected by the current conflict. The Order has a Solidarity Fund which is already receiving contributions from people who want to show their human closeness to the suffering population through the action of the Latin Patriarchate of Jerusalem. For us, the Holy Land remains a place of encounter.

Israele e Hamas. card. Filoni (Oessh): quelli di israeliani e palestinesi “sono due diritti e uno non è superiore all’altro”

RSS Agensir - Gio, 02/11/2023 - 12:28

“In questo momento, non si può pensare che Israele non abbia il diritto di vivere, di esistere e di stare. Lo stesso vale per il popolo palestinese. Sono due diritti e uno non è superiore all’altro. Se non superiamo questa divisione è difficile venire fuori dall’attuale situazione dove si vive drammaticamente”.

Card. Fernando Filoni (Foto Oessh)

Così il card. Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (30 mila tra Cavalieri e Dame, sparsi in 64 Luogotenenze di 40 paesi, ndr.), è intervenuto il 31 ottobre, sulla guerra tra Israele e Hamas, a margine della presentazione della Consulta 2023 dell’Ordine, che si svolgerà a Roma dal 6 al 9 novembre, sul tema della formazione. “Se non superiamo questa visione di contrasto e non rispettiamo i diritti di tutti – ha aggiunto -, le lotte continueranno. Noi abbiamo questa missione per la pace – e il Papa rinnova continuamente il suo appello -, che richiede dialogo e rispetto per i diritti”. Sul conflitto a Gaza il Sir ha intervistato il cardinale, già nunzio apostolico in Iran, Iraq e Giordania.

Eminenza, si aspettava questa recrudescenza del conflitto israelo-palestinese che sembrava sepolto nelle agende delle cancellerie e negli impegni diplomatici della Comunità internazionale?
Questo purtroppo è un conflitto che periodicamente si ravviva. Tuttavia, decisamente non me lo aspettavo in questa forma così virulenta e drammatica. La diversità fra ciò a cui eravamo purtroppo abituati finora e quello a cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni è che in passato si trattava di azioni ad intermittenza, ora siamo in una guerra vera e propria. Lei parla di un conflitto che sembrava “sepolto nelle agende delle cancellerie” e questa è proprio una causa profonda di questa situazione: tanto tempo è passato senza vere soluzioni e ciò ha portato ad un’esplosione così violenta.

(Foto ANSA/SIR)

Il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in una lettera ai fedeli della diocesi descrive questo periodo come “uno dei più difficili e dolorosi della nostra storia recente” e il massacro dei civili sia israeliani che palestinesi lo sta a dimostrare… Come è stato possibile arrivare a tanto?
Il Patriarca, card. Pizzaballa, ha perfettamente ragione. Si tratta di un conflitto tra i più difficili e dolorosi della storia recente della Terra Santa. Com’è stato possibile arrivare a tanto? Quando in un vulcano si accumula una grande energia, l’eruzione è incontrollabile; prima o poi esplode e così è successo per il conflitto israelo-palestinese da entrambe le parti. La troppa rabbia, le ingiustizie, le sofferenze, le provocazioni, le repressioni, la mancanza di libertà spiegano come sia stato purtroppo possibile arrivare fino a tanto.

Sono tragedie che la Chiesa ha condannato senza riserve. Ma non possiamo fermarci alla condanna. Qual è la priorità da perseguire? Forse una tregua? Fare fronte all’emergenza umanitaria nella Striscia?
Denunciare il male, le ingiustizie e la sofferenza è bene ma risolve poco. Non basta indicare la malattia e non intervenire con la medicina. A mio avviso, in questo momento ci sono due priorità da perseguire per permettere ad una tregua di realizzarsi agendo a livello umanitario e porre le basi per una futura soluzione. Da parte di Hamas la liberazione dei prigionieri e il riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza. Da parte di Israele, il riconoscimento pratico ad uno stato Palestinese di esistere ed operare e il rilascio di prigionieri palestinesi. So bene quanto possa essere difficile ma questa potrebbe essere una maniera non solo per affrontare l’emergenza immediata ma anche di aprire una prospettiva nuova, senza cadere nel déjà vu che purtroppo non ha portato frutti.

Come fermare allora questa guerra?
Avendo vissuto vari anni in quello scacchiere (Iran, Iraq, Giordania, mentre ora mi occupo di Terra Santa), la guerra va vinta togliendo le cause e facendo prevalere il senso della ragione e dei valori umani che per il credente hanno radice in Dio.

Sono oltre 200 gli ostaggi in mano ad Hamas: si è parlato molto di una mediazione della Chiesa per la loro liberazione. La Chiesa locale ha nella sua storia la capacità di dialogare con chiunque… anche con Hamas?
Sì, se esiste buona volontà da parte degli interlocutori. Ricordo quando già Paolo VI, in un momento estremamente difficile in cui il terrorismo internazionale e nazionale imperversava, volle proporre se stesso in cambio delle vittime e dei prigionieri. Questa attitudine è da sempre e sempre presente nella Chiesa… a titolo d’esempio ricordo Padre Massimiliano Kolbe. Anche oggi, il Patriarca Pizzaballa, con grande sensibilità, si è proposto in scambio per la liberazione degli ostaggi. Non dobbiamo inoltre dimenticare che la Chiesa locale ha una lunga storia in quella Terra giacché i cristiani vivono e sono da entrambe le parti: una piccola ma importante presenza.

(Foto Parrocchia latina Gaza)

In mezzo a tanta violenza non passa inosservata la presenza della piccola comunità cristiana di Gaza, che nonostante abbia subito perdite umane nel bombardamento della chiesa greco-ortodossa di san Porfirio, ha aperto le porte agli sfollati ed è impegnata in una preghiera incessante per la pace. Il card. Pizzaballa parla dei cristiani gazawi così: “Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace. Spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nel cuore”. Che significato ha questa minuscola presenza cristiana a Gaza e in un contesto di guerra come quello attuale?
La presenza dei cristiani a Gaza è antica e ha convissuto con tante e difficili situazioni: la loro è una condivisione drammatica con l’intera popolazione. Tale attitudine non viene meno oggi. Per questo apprezzo quando il cardinale Pizzaballa parla di questa piccola comunità come di una presenza nella sofferenza ma anche come presenza di pace. Sosteniamo questa popolazione con la preghiera, l’affetto e l’incoraggiamento perché possa sentire il sostegno spirituale e morale di tutta la comunità cattolica cristiana. Questi furono gli stessi sentimenti che ebbi modo di condividere con la comunità cristiana in Iraq durante la guerra. Mi viene sempre in mente quello che disse un tassista iracheno alle suore che vivevano con me: “Per favore, non andate via. Voi siete quella parte di umanità che ci aiuta a vivere nella moderazione”.

Crede ancora nella soluzione Due Popoli Due Stati?
Si tratta di una questione estremamente delicata che si prepara da anni e che finora non ha avuto un unanime apprezzamento da tutti. Ma questa soluzione non può essere raggiunta se non con il consenso di entrambe le parti. Noi sosteniamo questa scelta se anche Israele e Palestina convergono e questo nel rispetto delle loro identità, della loro storia, dello spazio in cui vivono. In questo la Santa Sede mantiene la sua posizione.

Quali azioni sta pensando l’Ordine del Santo Sepolcro per sostenere il Patriarcato latino e la comunità cristiana locale?
L’Ordine del Santo Sepolcro lavora da sempre a fianco del Patriarcato Latino di Gerusalemme – e altre realtà ecclesiali della zona – sostenendo le necessità che il Patriarcato indica. In un momento come questo, i Membri dell’Ordine chiedono come manifestare in modo ulteriore la propria vicinanza e solidarietà verso le popolazioni colpite dal conflitto in atto. L’Ordine ha un fondo di solidarietà sul quale stanno già convergendo i contributi di coloro che desiderano manifestare la propria vicinanza umana alla popolazione sofferente attraverso l’azione del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Per noi la Terra Santa rimane luogo di incontro.

I nostri nomi, che non sono scritti soltanto sulla terra

RSS Agensir - Gio, 02/11/2023 - 09:53

«I vostri nomi sono scritti nei cieli» (cf. Luca 10,2): è una parola di Gesù che sembra fuori dal mondo, ed è effettivamente un’audace incursione oltre il perimetro della storia umana. Ma come si può osare, nel 2023, di sbirciare sopra le cose terrene? L’orizzonte della vita si è così abbassato che tutti avvertiamo sulle nostre spalle il peso delle guerre, con atrocità assurde, incluse – è difficile perfino scriverlo – le decapitazioni dei bambini. Siamo sempre più ricurvi, come dei piccoli Atlante gravati dalle crisi planetarie che il web contribuisce a ingigantire ma non certo a creare.

Noi però, a differenza del re mitologico costretto a portare il peso della volta celeste, rischiamo di soccombere sotto la sola massa terrestre, sempre più simile a quella «aiuola che ci fa tanto feroci» scorta dal Poeta (Par. XXII,151). Dante vede il nostro pianeta ferito dall’alto; ma noi da dentro, purtroppo, confermiamo le sue parole: la terra è scossa da violenze, ingiustizie, inquinamento, malattie. Le crisi degli ultimi decenni fanno pensare che la scomparsa del genere umano, immaginata nel leopardiano Dialogo di un folletto e di uno gnomo, non sia un mero esercizio poetico. Le armi atomiche sono l’inquietante simbolo di un potere autodistruttore mai posseduto prima dall’umanità.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Davvero la fede nel regno dei cieli può apparire ingenua e pericolosa; ad essa infatti Zarathustra-Nietzsche oppone il regno della terra, definendo «avvelenatori» coloro che parlano di speranze ultraterrene. Un monito che non va preso sottogamba. L’annuncio della vita eterna deve innestarsi nella trama quotidiana della vita terrena, pena il rifiuto e l’insignificanza. Ma non può innestarvisi aspettando semplicemente il cadavere al varco: siccome prima o poi tutti – come l’Innominato abbruttito dal potere, o Mazzarò inebriato dalla roba – vanno a sbattere contro il muro della morte incombente, tanto vale prendere la gente per fame… No, la fede nel Dio della vita – lo diceva Bonhoeffer – non deve nascere come analgesico contro i mali e la paura della morte, ma sgorgare dal cuore della vita stessa.

Se i nostri nomi sono scritti nei cieli è proprio perché la terra ne riconosca il valore e non riesca a travolgerli per sempre. Se i nostri nomi fossero scritti solo sulla terra non ci sarebbe memoria durevole se non per i grandi, i potenti e gli eroi, i cui nomi sono incisi nei libri e sulle lapidi. Ma l’immensa schiera dei semplici, dei dimenticati e calpestati, compresi gli invisibili che non hanno mai potuto trasferire i loro nomi su qualche registro terreno, nemmeno sull’anagrafe comunale o parrocchiale, dove sarebbero finiti?

“Commemorare” i defunti, per chi crede nel Dio della vita, non è semplicemente “rammentare” i propri cari, richiamarli alla mente; e nemmeno solo “ricordare” i propri cari, reinserirli nel cuore. Commemorare significa sollecitare la “memoria” di Dio, nel cui infinito registro i nomi di tutti, anche degli invisibili, sono scritti con inchiostro indelebile. Entrando umilmente con la preghiera in quell’inesauribile archivio che è la memoria di Dio noi possiamo com-memorare, fare “memoria con” Lui di tutti gli esseri umani; perché solo in Lui, “il Dio dei viventi”, nessuno è morto e tutti vivono (cf. Mt 22,32).

La preghiera per i defunti è un gesto “memoriale” sempre, ma specialmente quando prende forma liturgica. Nella preghiera eucaristica è particolarmente evidente: la morte non spazza via i nomi ma li sposta di qualche riga; quelli che chiamiamo “vivi” sono commemorati là dove si nominano il Papa, il vescovo, i presbìteri, i diaconi e tutto il popolo di Dio; quelli che chiamiamo “morti” scivolano poco più avanti e sono commemorati là dove si nominano i fedeli defunti, insieme a tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Per chi crede, la morte non è oblio ma ingresso nel Cristo risorto; non recide dunque i vincoli ma li ridefinisce; il mistero della “comunione dei santi” lega la Chiesa pellegrina a quella in via di purificazione e a tutti i salvati.

Perché sia davvero commemorazione, e non solo intimistico ricordo, la preghiera per i defunti va estesa anche ai nomi scartati, cancellati o mai registrati, di cui solo Dio ha memoria. Ce ne sono anche vicino a noi, come i nostri simili spuntati alla vita nel grembo e mai accolti alla luce, o quelli avvicinatisi alle nostre coste nei barconi e lasciati soccombere in mare. E anche semplicemente “L’eterno riposo”, bisbigliato tra una tomba e l’altra, pensando a tutti, esercita alla cura di tutti, davvero di tutti.

Quell’albero genealogico che ci guarda dal Cielo

RSS Agensir - Gio, 02/11/2023 - 09:21

Talvolta pare vi sia contrasto fra i colori, che con sapienza secolare, si alternano nel calendario liturgico e la tinta “monocroma” con cui, fuori di chiesa, scorrono i giorni anche di chi è praticante. È solo una suggestione visiva, ma, partendo da essa, nasce la proposta di approfondire le connessioni che, pure, ancora, felicemente intercorrono fra il tempo della Chiesa e il tempo delle famiglie cristiane, fra il ritmo e il clima delle feste celebrate nello spazio sacro e la vita quotidiana nelle nostre case.
Conforta tale intento la coincidenza che questo itinerario si collochi a pochi giorni dalla celebrazione di Tutti i Santi, che possiamo considerare davvero una festa di famiglia. In questa giornata, la Chiesa, che ogni giorno dell’anno fa memoria di uno o più santi canonizzati e beati, esplicita la volontà di ricordare tutti i santi, nella loro collettività, contemplando che il loro numero superi di gran lunga quello dei calendari delle nostre agende. C’è un popolo in cielo di uomini e donne che ci hanno preceduto e che con la loro vita hanno dato prova che la santità è concretamente possibile, non è affare di una classe di supereroi della fede, ma riguarda tutti i battezzati che hanno saputo fare dei loro giorni una vita bella, buona e felice.
È in forza di questo convincimento, che la fede, il Dna del popolo di Dio, si trasmette anche attraverso il nome che i genitori scelgono per i propri figli. Se ultimamente la scelta del nome è dettata anche da riferimenti che non hanno alcun legame con la storia famigliare, è ancora molto viva la volontà di attribuire ad una nuova creatura o il nome di un santo agli onori degli altari, o quello di un proprio congiunto. In questo parallelismo riconosciamo che la fede e la speranza passano, dall’inizio della storia, di generazione in generazione. Un bimbo che a Roma si chiami Filippo, non solo a motivo del grande co-patrono della capitale, ma perché quello è il nome del nonno, sperimenta fin dalla nascita l’affidamento ad un suo santo speciale. Nel Battesimo ogni creatura rinasce dall’alto, ma poi la fede di quel piccolo fratello filtra attraverso la testimonianza di chi lo precede e cammina avanti a lui per un tratto di strada. L’abc delle prime preghiere e il dialogo fiducioso con Dio, la sopportazione oblativa di una malattia, la predilezione per i poveri nella carità non ostentata: davvero innumerevoli sono le tessere che formano i mosaici di santità di ogni storia famigliare. È bello, quindi, poter disegnare un albero genealogico dei santi della nostra chiesa domestica, o santi della porta accanto, non per forza congiunti, ma piuttosto guide o compagni di strada a cui i nostri genitori ci hanno in qualche modo affidato, anche solo attraverso il vincolo tanto invisibile quanto stretto della preghiera. Lo stesso Papa Francesco ha più volte ricordato una nonna come nutrice della fede e personalmente. Non dimenticherò mai il calore con cui una carissima prozia mise, da madrina, la mano sulla mia spalla al momento di ricevere la Confermazione e la fermezza con cui pronunciò il mio nome. Se da sempre fu fisicamente claudicante, quella donna nel cammino della fede è stata per me una guida dal passo costante e sicuro.
Il bianco dei paramenti con cui la liturgia celebra la festa di Ognissanti può davvero dirsi la somma di tutti i colori di cui si compone l’incessante scambio fra chi già contempla a tu per tu il Signore e noi ancora pellegrini sulla terra. Viviamo la comunione dei Santi anche quando solo noi rivolgiamo preghiere ai nostri patroni di famiglia. Forse non saranno mai protagonisti di miracoli secondo l’accezione comune, ma, con la loro fedele intercessione, più che “riposarsi in pace” come usiamo dire, essi sono luci che pulsano incessantemente; che rischiarano il cammino, ci ricordano la misericordiosa paternità di Dio, sono per noi fratelli maggiori nell’unico Figlio che è Gesù, e, per grazia, intessono quei legami di comunione promessi nello Spirito.

Santi con la esse maiuscola o minuscola?

RSS Agensir - Mer, 01/11/2023 - 18:41

Tutti i “santi” o tutti i “Santi”? Santi con la Esse Maiuscola o santi con la esse minuscola?
Non solo per avvallare una tendenza inclusiva e quindi stare sull’orlo della moda corrente ma per sottolineare come, davvero, nel mondo misterioso che l’annuncio evangelico ci pone dinnanzi agli occhi, santi e Santi coesistano e vibrino all’unisono.
Santi: tutti coloro in cui la Chiesa ha riconosciuto un’esistenza di adesione di viva fede all’Altissimo, una consequenziale scelta quotidiana orante e di servizio ai fratelli e alle sorelle. Per dirlo con un linguaggio desueto (anche perché disturba e costringere a cambiare), persone in cui è brillato il buon esempio.
Francesco ha spazzato uno stereotipo: “Oggi, festeggiamo tutti i Santi e potremmo avere un’impressione fuorviante: potremmo pensare di celebrare quelle sorelle e quei fratelli che in vita sono stati perfetti, sempre lineari, precisi, anzi “inamidati”. Invece, il Vangelo di oggi smentisce questa visione stereotipata, questa “santità da immaginetta”. Infatti le Beatitudini di Gesù (cfr Mt 5,1-12), che sono la carta d’identità dei santi, mostrano tutto l’opposto: parlano di una vita controcorrente, di una vita rivoluzionaria! I santi sono i veri rivoluzionari”.

Pietre miliari, poste in segnaletica di cammino, come fratelli e sorelle che ci accompagnano e ci scortano, ci spianano la strada per farci intravvedere i passi giusti da muovere, gli scogli da evitare. Luci che si irradiano e che ci attraggono ed alimentano i nostri desideri più profondi. Dai primordi della vita della Chiesa e tutt’oggi.

La statistica, tutto sommato impaccia, si computano… da 1.000 a 8.000 santi. Impaccia ma anche sorprende, gioiosamente sorprende.
Gli ultimi tre Papi ne hanno canonizzati tanti: Giovanni Paolo II 482, Benedetto XVI 45, Francesco 893… per ora…
Come si fa a conoscerli tutti? Di alcuni conosciamo la vita o le imprese, di altri le opere scritte, di tutti la testimonianza evangelica.
Restano i santi, quelli con la “esse” minuscola. Una sorta di sottobosco? Una classe inferiore e solo sopportata?

Se così fosse, si potrebbe eliminare quel mondo a venire annunciato perché non farebbe altro che riproporre, in termini di eternità, le nostre classificazioni sociologiche e, perciò stesso, temporanee. Trasposizione fallace ed effimera.

Costoro, quelli della “esse” minuscola, sono tutti quelli che, visto il Volto dell’Altissimo, lo hanno riconosciuto e a Lui si sono affidati. Una volta varcata la soglia del tempo e dello spazio, soglia liminare della storia e di ogni nostra singola storia.
Anche se non rientrano nella Biblioteca sanctorum, rientrano nel gioioso coro dei viventi, rientrano nella candida rosa che Dante ci ha donato con la sua poesia:

In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa

Già da ora, posto che lo desideriamo e rendiamo il desiderio prassi concreta, come annuncia l’Apocalisse apparteniamo a quella visione che si staglia: “Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani”.
Stupiti e magnetizzati dalla Bellezza danzano in cerchio e cantano: “«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Il coro senza numero e senza “esse” maiuscola o minuscola: noi tutti, all’unisono e insieme, per sempre.

Pregare per il Papa: la grande corrente della benedizione

RSS Agensir - Mer, 01/11/2023 - 11:33

L’Altissimo ha promesso. Per Lui promettere significa giurare cioè non recedere mai da quanto ha detto, indefettibilmente. La promessa è benedizione, non un gesto isolato oppure un’invocazione quasi lasciata cadere, benedire significa chiedere all’Altissimo di essere scortati in ogni passo dell’esistenza dalla sua Presenza, attiva e pulsante, perché tutto si volga sempre guardando il bene di ogni singola persona e di tutto il popolo.
Noi siamo tutti benedetti. Si crea fra di noi un’osmosi in cui ci comunichiamo il dono ricevuto e questo, più viene comunicato, più viene condiviso, più paradossalmente cresce e si sviluppa. Ben al contrario di ogni calcolo umano o legato al business.
Non possiamo benedire il volto di ciascuno e ciascuna con cui camminiamo nel nostro pellegrinaggio terreno, ci sfugge. Quelli che ci sono più vicini invece li vediamo.
Ebbene, la forza prorompente della benedizione scardina tutto e ci consente di vedere tutti e ognuno. L’Altissimo ci rende partecipi del suo folle amore.
Ognuno al suo posto, ognuno nel suo ruolo: non conta la preminenza, non il valore dei like o dei followers, conta che ciascuno penda solo da Lui per il bene di tutti.
Allora quella corrente trinitaria che, almeno a sprazzi, si fa percepire, può dilagare e raggiungere ognuno in quel posto che Egli stesso gli ha assegnato.
Francesco si è visto assegnare un posto e un ruolo a cui nessuna persona sana di mente desidererebbe ambire, anche perché ben osservato tutto, da un punto di vista umano, c’è di meglio e di più comodo.
Egli ne è ben cosciente perché asserisce: “Per favore, vi chiedo di giudicare con benevolenza. E di pregare perché il Papa – chiunque sia, oggi è il mio turno – riceva l’aiuto dello Spirito Santo, sia docile a questo aiuto”.
Benevolenza non significa chiudere gli occhi ed accettare qualsiasi decisione o proposta a priori perché lo ha detto il Papa, significa entrare in una dinamica di grazia, di comunicazione dell’Amore Trinitario, notoriamente folle e straripante, che ha uno sguardo più ampio e chiede a chi vuole vivere e testimoniare il Vangelo, di guardare al Pastore – di turno! – come a Colui che riceve una benedizione che lo supera.
Se noi tutti, come Chiesa, come popolo in cammino, non perché riteniamo Francesco il vertice della piramide oppure perché assiso su di un trono, ma proprio perché Egli è il Pastore che rischia la sua vita e la spende, istante per istante, invece di starsene comodo a guardare che cosa e come gli altri operano, se noi tutti non ci sentiamo a Lui vicini, ebbene non abbiamo accolto la pienezza della benedizione che risulta scarsa e, forse, anche poco efficace.
Se ci chiede un favore, chiaramente avverte il peso del suo quotidiano e della gravità del suo pensiero e del suo agire che potrebbe non seguire la benedizione se lasciato solo e non percepire la “docilità” che, noi tutti, intercedendo possiamo comunicargli.
Ogni Pastore, incominciando da Pietro, ha avuto scolpito il suo volto dalla sua ascendenza umana ma, più realmente, dallo Spirito Santo.
Certo, di volto in volto, di impresa in impresa, talvolta anche traballante, ma sempre nella grande corrente della benedizione.
Francesco ha il Suo volto, doniamogli benedizione continua perché i suoi tratti siano quelli voluti dallo Spirito. In fin dei conti al povero uomo che si ritiene non resta che un gesto di enorme portata e di sicuro successo, lo ha affermato proprio Lui: C’est la confiance!, seguendo Teresa di Gesù Bambino. Non da solo: con tutti noi all’unisono.

Ognissanti. Patton (Custode Terra Santa): “La fede è più forte della guerra” nel cimitero di Gaza

RSS Agensir - Mer, 01/11/2023 - 09:32

Il mese di novembre si apre con la solennità di tutti i santi e viene tradizionalmente chiamato “il mese dei defunti” perché per antica tradizione il secondo giorno del mese si commemorano i fedeli defunti. In realtà la prassi che si è creata, in Italia ma anche in altri paesi, ormai da molti anni mette insieme le due celebrazioni collocando preferibilmente la celebrazione eucaristica di tutti i Santi al cimitero. Indipendentemente da tutte le considerazioni di tipo pastorale e liturgico rimane chiaro che è la solennità di tutti i santi a dare un senso anche alla commemorazione dei fedeli defunti. È la prospettiva pasquale della vita a dare un senso sia al nostro vivere sia al nostro morire. E ciò che ci aspetta in questa prospettiva non è la scomparsa nel grande nulla, ma è la comunione con Dio, la piena partecipazione alla sua vita, in modo definitivo. I santi sono coloro che hanno già raggiunto questa meta e ci incoraggiano a vivere uniti a Cristo nel pellegrinaggio terreno per poter essere uniti a Lui anche nella Gerusalemme del Cielo.Nutrirsi della Parola. Prima dell’editto Napoleonico del 1804 la sepoltura avveniva nelle chiese stesse, sotto il pavimento del presbiterio venivano sepolti sacerdoti e religiosi, sotto il pavimento dell’aula venivano sepolti i fedeli laici. Le pareti della chiesa venivano decorate con racconti biblici e spesso con vite dei santi. Nel catino absidale si poteva contemplare il Cristo trionfante o la Madonna assunta al cielo e incoronata, quasi a indicare la meta e il senso del pellegrinaggio terreno. Sulla parete opposta all’abside veniva invece spesso dipinto il giudizio universale per sollecitare la responsabilità personale necessaria nella vita di tutti i giorni. Dentro l’aula della chiesa (allora come oggi) si ritrovava la comunità a celebrare i sacramenti e i momenti fondamentali della vita, dalla nascita fino alla morte. Si celebrava e si celebra soprattutto l’Eucaristia, occasione speciale per nutrirsi della parola di Dio e del corpo di Cristo, che fa sì che le persone che compongono la Chiesa diventino un solo corpo in Cristo e rende capaci di vivere con gli stessi sentimenti e atteggiamenti che furono di Cristo Gesù, perché nutrirsi della parola e del corpo di Cristo ci trasforma in lui.

Nutrirsi di Cristo. Anche se poco igienica, quella prassi dava un’immagine bellissima della Chiesa: un popolo fatto di persone che vivono dentro questa storia concreta e si nutrono del Cristo per essere trasformati in Lui; un popolo di persone che sanno di dover prima o poi fare quel passaggio che si chiama morte, consapevoli che ogni credente è chiamato a farlo nella luce della Pasqua di Gesù; un popolo di persone che sanno che la meta della loro vita è la partecipazione alla vita stessa di Dio nella comunione dei santi e che per questo si nutrono della parola e del corpo di Cristo e liberamente scelgono di vivere secondo lo spirito profetico e anticonvenzionale delle beatitudini.

Gaza, la preghiera per la pace (Foto Parrocchia latina)

Una voce da Gaza. Sembrano cose teoriche e del passato, ma proprio ciò che sta accadendo in questi giorni in Terra Santa ce ne ripropone l’attualità, attraverso le parole di un giovane della Parrocchia cattolica di Gaza, che mentre attorno infuriano i bombardamenti, così scrive via WhatsApp: “Buon giorno mondo, ti ricordi ancora di me? Sono Suhail Abodawood, di Gaza. In questo momento la mia Chiesa è il mio rifugio, perché la salvezza e la sicurezza sono unicamente con Gesù Cristo. Io continuo a pregare sempre il Rosario, lo faccio come offerta e per chiedere al mio Signore pace per la nostra Chiesa e per la nostra Città.

Io confido solo in Dio e metto la mia vita nelle mani del Signore: Egli è il mio unico Salvatore e io prego di poter partecipare alla sua gloriosa salvezza. Io sto ora affrontando difficoltà veramente dure e la situazione è davvero pericolosa. Negli ultimi giorni ho dormito in chiesa, è il posto più sicuro in questo momento. Partecipiamo alla Santa Messa due volte al giorno e preghiamo la beata Maria che ci ottenga più fede per poter gestire in modo adeguato la nostra condizione.

La fede è più forte della guerra.

Ogni giorno noi perdiamo qualcosa che ci appartiene, case e persone. Noi stiamo pregando dal profondo dei nostri cuori e chiedendo a Dio che ci doni pace e giustizia nella nostra Terra Santa. Il 25 ottobre ho ricevuto un messaggio prima dell’inizio della Messa, che la mia casa era stata bombardata e distrutta. All’inizio mi sono sentito davvero triste e contrariato, ma poi mi sono reso conto che le nostre vite sono più importanti di ogni cosa materiale. Nella Messa ho poi pregato in modo particolarmente intenso il nostro Signore Gesù Cristo e gli ho chiesto di donarmi più fortezza e più fede per poter affrontare il mio sconforto.

A dispetto di tutto, io considero e credo che la Santa Chiesa è la mia prima e ultima casa.

È diventata la mia vera casa, dopo che quella che avevo è stata distrutta. La Chiesa resterà sempre la mia casa e Gesù Cristo resterà sempre nel mio cuore in qualsiasi posto io vada. Noi continueremo a pregare, a digiunare e a rendere grazie a Dio per tutto ciò che Lui ci ha donato, per tutto il tempo che saremo vivi. Noi sacrificheremo noi stessi per Gesù come Lui ha sacrificato se stesso per noi”.

“La speranza e la determinazione sono più forti di ogni guerra nella nostra Terra Santa”.

Io non so se in questo momento il giovane Suhail Abodawood sia ancora vivo o sia rimasto anche lui ucciso sotto i bombardamenti. Di una cosa sono certo, nella sua giovinezza ha compreso cosa significa vivere questa vita nella comunione con Cristo e nella comunione dei Santi. Che lo Spirito del Signore tenga vive anche in noi le lampade della fede, della speranza e della carità, per continuare a vivere anche le ore buie della vita e della storia alla luce della passione, morte e risurrezione di Gesù, percorso anche per noi necessario per giungere nella comunione dei Santi.

(*) Custode di Terra Santa

Legge di bilancio. Bordignon: “Ci sono degli aspetti positivi, ma ci sono ancora poche risorse per le famiglie”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 18:00

La manovra è approdata in Parlamento, con prima tappa al Senato, dopo l’autorizzazione da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla presentazione alle Camere del ddl riguardante il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”. Non manca una parte della manovra dedicata alla famiglia: si tratta del Capo II, intitolato “Famiglia, pari opportunità e politiche di intervento in materia sociale” del Titolo V che riguarda i temi di lavoro, famiglia, pari opportunità e politiche sociali. Tra le misure previste, lo stop ai contributi per le mamme lavoratrici con almeno 2 figli. Decontribuzioni al 100% fino a un tetto massimo di 3mila euro annui, senza limiti di reddito, per tutte le mamme lavoratrici con almeno due figli, escluse le colf. Lo sgravio dura fino ai 10 anni del bimbo più piccolo per le madri con due figli e fino ai 18 anni del figlio più piccolo con tre figli o più. Sale il bonus asilo nido per i bebè nati il prossimo anno con fratelli under 10. Ai nati da gennaio 2024 per i nuclei familiari con Isee fino a 40mila euro con almeno un figlio di età inferiore ai dieci anni, l’incremento del buono asili nido è elevato a 2.100 euro. A questo scopo l’autorizzazione di spesa è incrementata di 240 milioni per l’anno 2024, 254 milioni per l’anno 2025, 300 milioni per l’anno 2026, 302 milioni per l’anno 2027, 304 milioni per l’anno 2028 e 306 milioni annui a decorrere dall’anno 2029. Nella determinazione dell’indicatore della situazione economico equivalente (Isee) sono esclusi, fino al valore complessivo di 50mila euro, i titoli di Stato nonché i prodotti finanziari di raccolta del risparmio con obbligo di rimborso assistito dalla garanzia dello Stato. Delle misure per le famiglie contenute nella manovra parliamo con Adriano Bordignon, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Come giudica la manovra?

Ci sono degli aspetti positivi, ad esempio la riduzione dei costi di accesso agli asili nido e a scarsità di risorse si punta sui secondi figli. È indubbiamente un contributo significativo, anche se non è l’asilo nido gratuito, c’è il riferimento all’Isee fino a 40mila euro e con un altro figlio al di sotto dei dieci anni, inoltre sarà coinvolta una popolazione di utenza tra i bambini molta esigua perché riguarderà i nati successivamente al 1° gennaio 2024, quindi non toccherà i bambini che già stanno andando ai nidi né i secondogeniti che nasceranno fino al 31 dicembre di quest’anno. Le quote per finanziare questo bonus sono crescenti negli anni, ma secondo il Forum è una criticità la questione che il primo fratello deve avere massimo dieci anni per poter usufruire della misura di supporto per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido del secondogenito. Al di là di questo, sostenere le spese per il nido e far partire l’aiuto dal secondo figlio ci sembra un primo passo significativo.

Come giudica la misura sulle lavoratrici con figli?

L’aspetto della decontribuzione per le madri lavoratrici ci sembra positivo, speriamo che assuma una strutturalità. Indubbiamente,

ci lascia un po’ perplessi il fatto che la decontribuzione riguardi solo le madri lavoratrici dipendenti.

In Italia, invece, abbiamo una popolazione di madri che sono libere professioniste, a partita Iva, che non potranno godere di questo tipo di supporto.

Ci sono poi le misure in materia di congedi parentali.

È sicuramente positivo l’allungamento dei periodi di congedo per i genitori.

Quanto è stato destinato alle famiglie nella manovra è sufficiente?

No, riteniamo un aspetto non particolarmente positivo l’esiguità delle risorse. Comprendiamo il contesto economico italiano, che ha dei vincoli importanti a livello europeo, però un miliardo non è quello che ci farà fare la svolta in campo di lotta alla denatalità nel nostro Paese. Teniamo conto che in Giappone per gli anni 2023, 2024, 2025 sono stati predisposti 20 miliardi in più ogni anno per le politiche per l’infanzia e per la lotta alla denatalità. Non solo.

Ci dica…

Per noi un aspetto negativo è che nel calcolo per il computo dell’Isee sono stati esclusi i Buoni del Tesoro, ma non la prima casa.

Mi spiego: ci pare strano che i Buoni non sono considerati per il conteggio dell’Isee, mentre venga ancora considerata la prima casa, che è essenziale per le persone, invendibile e indisponibile, perché se una famiglia si vende la casa resta senza un tetto. Noi da tempo chiedevamo una riforma dell’Isee che partisse proprio dall’escludere dal computo la prima casa: ci sorprende, invece, che nella Legge di bilancio vengano esclusi i Buoni del Tesoro.

Vi aspettavate qualcosa di più dalla manovra?

Sì, da tempo puntiamo sul perno dell’assegno unico, affinché venga rinforzato in modo significativo e reso più appetibile. Ci aspettavamo, quindi, che venissero messe più risorse sull’assegno unico. Ci hanno detto che non è stato fatto per un rischio di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea, però, per noi, l’assegno unico resta lo strumento principale sul quale insistere e dal quale partire per mettere a segno altre politiche a favore della famiglia. Un’altra delusione viene da un’altra attesa delusa. Ci aspettavamo che la quota non distribuita di assegno unico del 2023, ipotizzata intorno al miliardo e mezzo, venisse rimessa sull’assegno unico 2024 per alcune specifiche categorie, come le madri giovani per favorire l’anticipazione dei tempi di scelta procreativa, oppure sui secondi figli, perché è uno degli obiettivi ricercati per la lotta alla denatalità, oppure per innalzare la quota minima di 54 euro, perché le famiglie non presentano l’Isee e fanno richiesta dell’assegno unico per una cifra così irrisoria. Volevamo che questo miliardo e mezzo fosse messo a disposizione; invece, 350 milioni dell’avanzo dell’assegno unico non distribuito sono stati destinati a obiettivi di carattere generale nella finanziaria in corso. E, oltre a questo, ci sono terreni inesplorati come la questione di un grande lavoro sui servizi territoriali per la prima infanzia e il caregiving; la questione del lavoro femminile, siamo ancora con 20 punti di ritardo rispetto agli altri Paesi europei; la questione del momento in cui i giovani si avvicinano a una vita autonoma, troppo tardiva rispetto agli altri giovani europei. Abbiamo, secondo i dati Istat, il 65% dei giovani tra i 17 e i 34 anni ancora che vivono in famiglia, dobbiamo lavorare su questo per avere giovani liberi, protagonisti delle loro vite, capaci di fare scelte tra le quali anche l’avere un figlio.

Legge di bilancio. Pallucchi (Forum Terzo Settore): “Attenzione per il sociale insufficiente”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 17:05

Mancano le misure strutturali che i servizi socio-assistenziali avrebbero bisogno per affrontare il problema della povertà emergente nel Paese. A dirlo è la portavoce del Forum Terzo Settore, Vanessa Pallucchi, a proposito della legge di bilancio. A scarseggiare sono i provvedimenti per rendere autonome le persone più fragili o in condizioni di debolezza sociale ed economica. Al Sir, la portavoce commenta la manovra e illustra le proposte per affrontare i temi più caldi, come povertà e diritti essenziali, che saranno oggetto di un incontro nei prossimi giorni con la vice ministra del Lavoro e Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci.

Dottoressa, il Forum giudica insufficiente l’attenzione rivolta al sociale da parte della legge di bilancio. In particolare lamentate l’assenza di misure strutturali per ridurre le disuguaglianze.
L’attenzione è insufficiente perché non vengono fatte proposte strutturali verso la qualità dei servizi sociali diffusi e al reddito delle persone. Ciò che abbiamo visto è la tendenza a fare delle misure finalizzate ad alcuni target, come ad esempio la card alimentare, in riferimento a una platea ristretta. Si potrebbe investire invece la stessa quantità di risorse per misure che vanno a integrare la fetta di popolazione che avrebbe diritto d’accesso al reddito di dignità, quindi una misura base che dà però autonomia alle persone. In generale, c’è disattenzione e non si mettono in piedi virtuosismi che alle casse dello Stato peserebbero poco ma che avrebbero una ricaduta sociale importante.

Come Forum avete fatto delle proposte contro la povertà, in particolare, realizzate insieme alla Alleanza contro la povertà.
Le proposte prevedono ad esempio la reintroduzione della soglia reddituale per coloro che hanno un contratto di locazione a 9360 euro. Ciò comporterebbe un costo annuale aggiuntivo di 150milioni di euro che per una manovra non è una cifra impossibile ma che riguarderebbe quasi 150mila nuclei familiari che vivono in condizioni di difficoltà di accesso a un diritto come la casa. Altra proposta riguarda i vincoli che vengono messi alle famiglie beneficiarie delle riduzioni, fra queste vi sono molte famiglie straniere che secondo la norma devono essere residenti in Italia da più di cinque anni, una platea che invece andrebbe sostenuta per incoraggiare anche la natalità. Le altre proposte vanno dal sostegno reddituale alle agevolazioni per la casa e i servizi socio assistenziali. Non dimentichiamo che nella soglia di povertà stanno entrando anche i salariati e che le persone a basso reddito subiscono le maggiori conseguenze della diminuzione dei diritti, come ad esempio casa o scuola.

Mancano inoltre all’appello i fondi per a riforma sugli anziani non autosufficienti e la legge delega sulla disabilità. Senza i soldi si rischia di non attuare le leggi?
Per la disabilità, in particolare, sono stati deviati dei fondi mentre andrebbe creato un fondo per dare modo alle persone con disabilità di poter attivare i servizi che sono necessari. Le due norme sono incardinate nel Pnrr, sono riforme strategiche perché l’Europa ha guardato molto all’erogazione di questi fondi al fine di riequilibrare le diseguaglianze. Abbiamo fatto due riforme che poi non vengono finanziate e senza l’intervento dello Stato, gli enti locali non hanno capacità di attuarle. Inoltre portano avanti due filosofie diverse, in cui i servizi si incrementano, si integra il socio-sanitario. Ciò ha come conseguenza tante operazioni che andrebbero a riattivare un sistema di diritto e supporto per le famiglie che hanno difficoltà nella cura degli anziani.

Lamentate anche il fatto che per l’individuazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione, i lavori del comitato scientifico creato ad hoc non siano ancora conclusi.
La definizione sta alla base dell’attuazione dei Lep. Non dimentichiamo infatti che per l’attuazione dell’autonomia differenziata la definizione dei Livelli è necessaria per evitare che emergano maggiori disuguaglianze a livello locale. Quando la legge di bilancio sarà definitiva e approvata andremo a misurare quanto i provvedimenti andranno a incidere sulla popolazione che vive in condizioni di debolezza e fragilità.

Come Forum avete avuto modo di parlare con le istituzioni delle vostre proposte?
Abbiamo scritto al viceministro Bellucci che ci ha fissato un appuntamento ai primi di novembre per discutere delle nostre proposte.

Legge di bilancio. Russo (Alleanza contro povertà): “Basta bonus, servono politiche strutturali”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 15:58

“Siamo passati in 10 anni da un milione a 6 milioni di italiani sotto la soglia di povertà assoluta. Non basta cambiare gli acronimi delle misure di contrasto alla povertà per arginare un fenomeno ormai strutturale. Servono invece misure e politiche strutturali e non bonus, che non hanno mai risolto i problemi del nostro Paese”. Così Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia, commentando al Sir i contenuti della Legge di bilancio licenziata dal Governo e ora all’esame del Parlamento.

Pochi giorni fa l’Istat ha diffuso i dati della povertà in Italia nel 2022 (5,6 milioni di persone in povertà assoluta e poco meno di 2,2 milioni di famiglie). Voi avevate espresso preoccupazione chiedendo non misure misure temporanee ma politiche di contrasto alla povertà convinti che “per combattere un fenomeno strutturale come la povertà, servono misure altrettanto strutturali”. La Legge di bilancio presentata in Parlamento va nella direzione da voi auspicata?
Una valutazione complessiva può essere fatta tenendo conto che il Governo nei primi mesi della sua vita ha avviato delle riforme importanti che hanno un’incidenza abbastanza strutturata su ciò che avverrà nel corso dei mesi prossimi.

L’immagine del nostro Paese che ci restituiscono i dati Istat, con un aumento della povertà assoluta, richiederebbe un cambio di marcia dal punto di vista delle politiche per aggredire innanzitutto la povertà assoluta: una condizione che evidentemente toglie il respiro,

cioè toglie ogni possibilità di riscatto alle persone perché le mette in una situazione in cui è difficile immaginarsi un futuro. Al di là della Legge di bilancio va posta attenzione anche alle riforme…

A quali si riferisce?
A quelle che probabilmente agiranno in questo quadro già di per sé negativo, non aiutandolo. Se questo Paese si è fortemente impoverito e se sappiamo che tra le categorie che si sono più impoverite ci sono quelle formate da persone che vivono soprattutto al Sud Italia, allora viene da chiedersi cosa succederebbe nel momento in cui dovesse passare la riforma in senso regionalista dello Stato.

Se dovesse essere approvato il regionalismo differenziato, siamo in grado come Paese di affrontare un trauma così profondo con interi territori che sono sprovvisti di strutture? Sappiamo, per esempio, che i livelli essenziali delle prestazioni che già dovevano essere realizzati non sono una realtà di fatto.

Rispetto alla infrastrutturazione del Paese, a partire da quella sociale, accusiamo un ritardo che sta diventando pesante. E questo ritardo noi riteniamo abbia una relazione covalente con l’aumento della povertà.

Tornando alla Legge di bilancio, cosa non vi convince?
Se non si capisce che l’inflazione, che nel nostro Paese ha raggiunto cifre fanno tremare le vene ai polsi, è una tassa piatta sulle persone economicamente fragili, perché il carrello della spesa aumenta, la benzina aumenta, perché vestirsi costa più caro… se non si ha contezza della situazione reale non possono essere individuate soluzioni efficaci.

Il Paese reale dev’essere conosciuto altrimenti si fanno leggi e si adottano provvedimenti che evidentemente non considerano i fatti veri che accadono in Italia in questa parte della storia.

Non sto incolpando nessuno, dico soltanto che il ruolo più importante che la politica deve svolgere è quello di capire i problemi e di prevenirli.

Cosa chiedete alla classe politica?
Di avere un’idea e una visione chiare del Paese. Siamo passati in 10 anni da un milione a 6 milioni di italiani sotto la soglia di povertà assoluta: se ciò è accaduto è perché qualche distrazione c’è stata. Piuttosto che avere attenzione e capacità politica di prevenire quello che sarebbe diventato un fenomeno fuori controllo ci siamo crogiolati per il fatto che bastasse cambiare gli acronimi alle misure di contrasto alla povertà: sono state chiamate in 5 modi diversi e alla fine le gente è rimasta povera.

Servono misure e politiche strutturali e non bonus,

che non hanno mai risolto i problemi del nostro Paese; sono palliativi, certamente possono aiutare a dare sollievo in qualche situazione, in qualche circostanza particolare. Ribadisco: non è dei bonus che l’Italia ha bisogno ma di politiche strutturali.

In più occasioni avete auspicato il ritorno ad una misura universale in favore di tutti quei nuclei familiari che si trovano in una difficile condizione economica, indipendentemente dall’età dei loro componenti. Continuate ad essere convinti della sua necessità?
Certo, riteniamo sia fondamentale disporre di una misura che non sia categoriale, ma che sia universalistica, anche per rispetto della tradizione democratica di questo Paese e delle sua Costituzione. Una misura che esiste già in molti Paesi europei, penso naturalmente a quelli che hanno una storia di welfare più importante, come l’Inghilterra, la Germania o la Francia, ma penso anche all’Ungheria. Mi faccia aggiungere un aspetto a tal proposito.

Dica?
A regime, la legge 85 che ha modificato il Reddito di cittadinanza farà risparmiare allo Stato circa 2,5-3 miliardi di euro. Se fossero state destinate con la Legge di bilancio più risorse alle Amministrazioni comunali, cioè a quei luoghi di prossimità ai cittadini che hanno fragilità sociali, avremmo riconosciuto che in un momento di difficoltà si era provato a dare alle Amministrazioni comunali un supporto sui bilanci perché possano affrontare situazioni di crisi. Ma tutto questo non c’è, mentre c’è il rischio che aumenti il numero di chi finirà in un imbuto che troverà spazio nei corridoi degli assessorati ai Servizi sociali o nelle anticamere degli uffici dei sindaci. Ciò detto, è ovvio che

bisognerà agire in modo che la presa in carico delle persone che hanno più difficoltà sia fatta tenendo conto che la povertà nel nostro Paese è aumentata per una serie di ragioni, che non sono dipendenti dalla volontà delle persone. E dobbiamo smetterla di pensare che la gente ha piacere a vivere una condizione di fragilità sociale.

Il presidente del Consiglio e le forze di maggioranza hanno blindato il testo della Legge di bilancio. Non dovrebbe esserci spazio per emendamenti e modifiche. Voi però non farete mancare il vostro apporto e le vostre proposte…
Vorremmo discutere della Legge di bilancio e, nel caso, indicheremo al governo alcune eventuali possibili modifiche rispetto al testo consegnato al Parlamento. Ma al di là della manovra,

riteniamo indispensabile che si apra una fase di ascolto nella quale ci si sieda attorno ad un tavolo con voglia e desiderio di aiutare il Paese ad uscire fuori dalle secche e insieme si immaginano quali sono le politiche da promuovere, senza nessuna impostazione ideologica. Perché al contrasto della povertà questo non è utile.

Credo che le organizzazioni sociali e sindacali siano pronte e disponibili, così come lo è l’Alleanza contro la povertà. Inoltre, siccome i Comuni sono i luoghi di prossimità nei quali queste questioni debbano essere trattate come questioni di ultima istanza, sono le Amministrazioni comunali che devono essere sostenute perché possano effettuare quella presa in carico delle persone fragili che fino a questo momento non è stata fatta. Infine, nelle comunità bisogna insieme costruire reti di relazioni, di rapporti che siano in grado di far capire alle comunità stesse che devono essere loro ad aiutare le persone che si sono trovate in condizione di povertà ad uscirne. In sostanza,

non è solo un provvedimento legislativo che risolverà il problema ma un forte rilancio del ruolo delle comunità.

Il nostro ordinamento prevede già con la Legge sul Terzo settore, articolo 55, la possibilità di una coprogettazione e coprogrammazione. Questa è certamente una leva importante. Come lo è anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza: non solo dobbiamo preoccuparci di investirti bene i fondi ma anche di raccoglierne alcuni aspetti.

Ad esempio quali?
Se con il governo Draghi si è riusciti dopo 25 anni ad introdurre nel Pnrr la riforma della non-autosufficienza per un Paese come l’Italia che è il più vecchio in Europa, se una volta approvata la legge 33 poi nella Legge di bilancio non c’è stanziato neppure 1 euro dove pensiamo di andare? Se i 350 milioni di euro che sarebbero serviti per i decreti applicativi sulla nuova legge sulla invalidità vengono allocati da un’altra parte nel bilancio dello Stato, come le avviamo queste riforme? I provvedimenti legislativi che hanno indicato un percorso ci sono, per cui non è tutta buia la notte. Alcune cose sono state fatte, solo che bisogna recepirle e bisogna dar loro le gambe. Perché altrimenti diventa tutto più difficile.

Israele e Hamas, bambini in guerra. Grappone (Emdr Italia): “Per loro riuscire a sopravvivere è solo il primo passo”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 11:48

Bambini palestinesi uccisi, gravemente feriti o costretti a vivere nel terrore sotto le bombe; bambini israeliani ostaggio di Hamas. Sono le due facce della stessa medaglia: il prezzo altissimo che l’infanzia sta pagando nell’atroce conflitto Israele-Hamas, come in ogni altra guerra. E non c’è differenza di religione, popolo o etnia: il dolore innocente non ha bandiere. Save the Children rilancia i dati diffusi dalle autorità sanitarie palestinesi e israeliane:

dal 7 ottobre sono stati segnalati più di 3.257 bambini uccisi, di cui almeno 3.195 a Gaza, 33 in Cisgiordania e 29 in Israele.

Oltre 4mila i piccoli palestinesi feriti, anche con gravi mutilazioni, durante il bombardamento dell’ospedale anglicano del 14 ottobre e durante i continui attacchi aerei; tutti costretti a vivere nella paura, magari dopo avere assistito alla morte di un genitore o di un fratello, nella scarsità di cibo, acqua, cure mediche, senza più andare a scuola. A Gaza si conta circa un migliaio di bambini dispersi che potrebbero essere sepolti sotto le macerie. E il bilancio è destinato a salire. Quelli che sopravvivranno, quali conseguenze psicologiche porteranno con sé?
Intanto il governo di Tel Aviv ha diffuso le foto dei piccoli israeliani rapiti il 7 ottobre dai terroristi di Hamas. Il più piccolo, Kfir, ha appena nove mesi; accanto a lui il fratello Ariel, 4 anni. Il più grande ha 17 anni. Non sappiamo se sono ancora tutti vivi. Che cosa stanno passando, che cosa significa per loro questa prigionia insensata? Quanto li segnerà, ammesso che riescano a sopravvivere e a ritrovare la libertà?

Per tutti loro, scampare alla morte è il primo passo. Il secondo, ritornare alla vita. Ci riusciranno? Come? Ne abbiamo parlato con un’esperta: Noemi Grappone, psicologa psicoterapeuta Emdr practitioner, e membro di Emdr Italia. L’Emdr (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è uno strumento terapeutico impiegato nel trattamento di disturbi legati ad eventi stressanti e/o traumatici: violenze, incidenti, gravi lutti, guerre.

“In un recentissimo studio condotto nella Striscia, in aree sottoposte a bombardamenti continui e ad altri atti di violenza militare – esordisce Grappone -, si è tentato di stabilire una relazione tra esperienze traumatiche della guerra in corso, disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) e sintomi di ansia nei bambini, tenendo conto anche delle risposte di salute mentale dei genitori. Nel campione analizzato – 100 famiglie con 200 genitori e 197 figli di età compresa tra 9 e 18 anni – è stato riscontrato, sia nei bambini sia nei genitori, un elevato livello di eventi traumatici vissuti, alti tassi di Ptsd e di ansia”. L’esposizione a traumi di guerra ha un forte impatto sulla salute mentale sia dei genitori sia dei bambini, e le loro risposte emotive sono correlate. Per questo, sostiene l’esperta,

occuparsi di bambini e delle loro risposte psicofisiche, implica sempre il coinvolgimento trasversale dell’intero gruppo familiare”.

Quali sono i sintomi più comuni nei bimbi direttamente esposti ai conflitti?
Molti sviluppano reazioni di stress post-traumatico sia a breve che a lungo termine. I sintomi più ricorrenti includono tristezza, rabbia, paura, intorpidimento, irritabilità, sbalzi d’umore, cambiamento dell’appetito, difficoltà nel sonno, incubi, evitamento di situazioni che richiamino l’evento traumatico, compromissione della concentrazione, senso di colpa per essere sopravvissuti o per non avere riportato conseguenze importanti durante l’evento. A questo si aggiunge un altro elemento significativo, ma poco narrato.

Di che si tratta?
Dell’impatto della separazione sul bambino, esperienza nota grazie al lavoro svolto quando i piccoli venivano separati dai genitori al momento del ricovero in ospedale. Molte ricerche dimostrano che nei bimbi separati dai genitori – in particolare di età inferiore ai 4 anni – si manifestano sintomi di ansia, alimentazione disregolata, maggiori complicazioni postoperatorie, astinenza, disturbi del sonno e aggressività. Una separazione prolungata può anche portare a traumi dello sviluppo: disturbo da deficit di attenzione e iperattività, disturbo oppositivo provocatorio, deterioramento cognitivo. Questo avviene in particolare a Gaza dove, a causa del peggioramento dei servizi sanitari, molti bambini affetti da patologie emergenziali o a lungo termine hanno bisogno di servizi più specializzati di quelli disponibili sulla Striscia, ma Israele richiede a tutti i palestinesi un permesso rilasciato dalle autorità israeliane prima di poter lasciare Gaza. I genitori di bimbi malati hanno inoltre bisogno di uno speciale “permesso di accompagnatore”; permessi che vengono in molti casi negati per motivi di sicurezza. Due le conseguenze: o la rinuncia al trasferimento, oppure l’accompagnamento del piccolo malato da parte di un altro familiare o da un conoscente, con grave disagio per il bambino e spesso parziale o assente comunicazione con la famiglia sulle sue condizioni.

Dall’operazione “Piombo fuso” ad oggi, i bambini della Striscia vivono comunque da anni nell’insicurezza.
Una costante insicurezza che genera paura, impotenza e orrore nell’intera popolazione, ma di cui i bambini risentono maggiormente. Già dopo “Piombo fuso” (la guerra durata dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, ndr) uno studio condotto dal programma di salute mentale della comunità di Gaza (Gcmhp) aveva rilevato che il 75% dei bambini di età superiore ai sei anni soffriva di uno o più sintomi di stress post-traumatico. Ma nell’enclave il trauma è continuo, dura da almeno due decenni e stenta ad esaurirsi.

Il sistema sanitario di Gaza, già messo a dura prova prima della guerra in corso, è ora sull’orlo del collasso, e gli esperti di salute mentale hanno da tempo messo in guardia sul terribile tributo imposto ai bambini.

Preoccupa anche la condizione di prigionia dei bambini israeliani in mano ad Hamas.
Assolutamente sì. Sui bimbi israeliani non abbiamo studi in materia perché le loro condizioni, fino al 7 ottobre, sono state di relativo benessere, ma certamente anche questi piccoli ostaggi stanno subendo il medesimo senso di impotenza e paura con il rischio di sviluppare disturbo da stress post-traumatico. Le conseguenze sono le stesse per entrambe le parti perché i bambini non hanno “bandiere”; sono gli adulti ad affibbiargliele.

Oltre ai bimbi direttamente coinvolti, ci sono quelli che “assistono” da lontano alla guerra, magari in Tv.
Il trauma, infatti, non riguarda solo chi è direttamente esposto, che ne è vittima primaria, ma anche chi, in questo caso altri bambini, da lontano e indirettamente assiste a questo crimine contro l’umanità. Il guardare in Tv feriti e corpi mutilati e l’udire il rumore dei bombardamenti costituisce per loro un evento traumatico. Più esposti a questa traumatizzazione i maschietti che le bambine; meno i bimbi che vivono in famiglie ad alto reddito; sembra invece non esserci un legame con l’età.

Dottoressa, lei fa parte di Emdr Italia, una delle 40 associazioni nazionali che aderiscono a Emdr Europe. In che cosa consiste il vostro lavoro sul campo?
L’associazione Emdr Europe si offre da sempre di intervenire con specialisti formati sul trauma. Se impossibilitati a raggiungere le aree direttamente colpite, ci si avvale di mezzi telematici pur di offrire supporto, contenimento ed elaborazione della sintomatologia del Ptsd, come già accaduto in altre emergenze umanitarie. Dopo i primi due giorni di bombardamenti russi contro il territorio ucraino, Emdr Europe, con i suoi 40 Stati membri, si è attivata a livello di supporto psicologico e fornendo una guida per fronteggiare l’emergenza.

Per la prima volta gli psicologi sono potuti intervenire in modo massiccio in un setting di guerra in corso.

a sostegno delle persone in Ucraina, sulla frontiera e nei Paesi di frontiera – Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria – e in tutto il resto dell’Ue nelle aree che ospitano grandi comunità di rifugiati. Ci auguriamo di poter offrire sollievo, facendo prevenzione e promuovendo la salute mentale anche in questa drammatica emergenza bellica Israele-Hamas.

 

 

Israel and Hamas, children in war. Grappone (EMDR Italy): “For them, surviving is only the first step”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 11:48

Palestinian children killed, seriously injured or forced to live in terror under the bombings; Israeli children hostage of Hamas. They are two faces of the same coin: the very high price paid by children in the atrocious Israel-Hamas conflict, like in any other conflict. People, religion, ethnicity make no difference: the pain of the innocent carries no flag. Save the Children reports data released by the Palestinian and Israeli health authorities:

over 3,257 children have been reported killed since 7 October, including at least 3,195 in Gaza, 33 in the West Bank and 29 in Israel.

More than 4,000 Palestinian children were injured, some of them seriously mutilated, during the bombing of the Anglican hospital on 14 October and during the continuous air attacks; all of them are forced to live in fear, perhaps after having witnessed the death of a parent or a sibling, with a shortage of food, water, medical care, and no longer able to go to school. There are about a thousand missing children in Gaza who may be buried under the rubble. And the tally is set to rise. What psychological consequences will those who survive carry with them?

Meanwhile, the Tel Aviv government released the photos of the little Israelis kidnapped on 7 October by Hamas terrorists. The youngest, Kfir, is just nine months old; next to him is his brother Ariel, 4 years old. The eldest is 17. We do not know if they are all still alive. What are they going through, what does this senseless captivity mean for them? How much will it scar them, assuming they manage to survive and regain their freedom?

For all of them, escaping death is the first step. The second one is to return to living. Will they succeed? And how? We discussed this with an expert: Noemi Grappone, EMDR practitioner psychologist and member of EMDR Italia. EMDR (Eye Movement Desensitisation and Reprocessing) is a therapeutic tool used in the treatment of disorders linked to stressful and/or traumatic events such as violence, accidents, severe grief, wars.

“In a very recent study conducted in the Gaza Strip, in areas subject to sustained bombing and other acts of military violence,” Grappone begins, “an attempt was made to establish a relationship between traumatic experiences of the ongoing war, post-traumatic stress disorder (PTSD) and anxiety symptoms in children, while also taking into account the parents’ mental health responses. In the sample analysed – 100 families with 200 parents and 197 children between the ages of 9 and 18 – both children and parents were found to have a high level of experienced traumatic events, high rates of Ptsd and anxiety’. Exposure to war trauma has a strong impact on the mental health of both parents and children, and their emotional responses are correlated. Therefore, the expert argues,

‘dealing with children and their psychophysical responses always implies the cross-sectional involvement of the entire family group’.

What are the most common symptoms in children directly exposed to conflict?

Many develop both short-term and long-term post-traumatic stress reactions. The most recurring symptoms include sadness, anger, fear, numbness, irritability, mood swings, change in appetite, difficulty sleeping, nightmares, avoidance of situations reminiscent of the traumatic event, impaired concentration, guilt for having survived or for not having suffered major consequences during the event. In addition to this, there is another element that is significant but not widely recounted.

What is it about?

It is the impact of separation on the child, an experience known from the work carried out when children were separated from their parents on admission to hospital. Much research shows that children who are separated from their parents – particularly children under the age of 4 – experience symptoms of anxiety, eating disregulation, increased postoperative complications, withdrawal, sleep disturbances and aggression. Prolonged separation can also lead to developmental trauma such as attention deficit hyperactivity disorder, oppositional defiant disorder and cognitive impairment. This is particularly the case in Gaza, where the deteriorating health services mean that many children with urgent or long-term conditions require more specialised services than are available in the Strip, but Israel requires all Palestinians to obtain a permit from the Israeli authorities before leaving Gaza. Parents of sick children also need a special ‘escort permit’, which is often denied for security reasons. This has two consequences: either the transfer is not carried out, or the sick child is accompanied by another family member or acquaintance, causing great distress to the child and often little or no communication with the family about the child’s condition.

However, from Operation Cast Lead to the present day, children in the Strip have been living in a state of insecurity for years.

It is a constant insecurity that generates fear, helplessness and horror in the entire population, but from which children suffer the most. In the aftermath of Cast Lead (the war that lasted from 27 December 2008 to 18 January 2009), a study conducted by the Gaza Community Mental Health Programme (GCMHP) found that 75 per cent of children over the age of six suffered from one or more symptoms of post-traumatic stress. But in the enclave, the trauma is continuous, has been going on for at least two decades, and shows no sign of ending.

Gaza’s health system, already strained before the current war, is now on the verge of collapse, and mental health experts have long warned of the terrible toll on children.

The captivity of Israeli children in the hands of Hamas is also worrying.

Absolutely. We have no studies on the Israeli children because their conditions were relatively good until 7 October, but these little hostages are certainly suffering the same sense of helplessness and fear, with the risk of developing post-traumatic stress disorder. The consequences are the same for both sides, because children do not wear ‘flags’; it is the adults who put them up.

In addition to the children who are directly involved, there are those who ‘witness’ the war from a distance, on television perhaps.

Indeed, the trauma affects not only those who are directly exposed, who are the primary victims, but also those who, in this case other children, witness this crime against humanity from afar and indirectly. Seeing the wounded and mutilated bodies on television and hearing the sound of bombs is a traumatic event for them. Boys are more exposed to this traumatisation than girls, less so children from high income families, and there seems to be no link with age.

Doctor, you are part of EMDR Italia, one of the 40 national associations that are members of EMDR Europe. What is your work in this field?

EMDR Europe has always provided trained trauma specialists. If we are unable to reach the directly affected areas, we use remote means to provide support, containment and processing of ptsd symptoms, as we have done in other humanitarian emergencies. After the first two days of Russian bombardment of Ukrainian territory, Emdr Europe, with its 40 member states, took action to provide psychological support and guidance in coping with the emergency.

Psychologists were able to intervene on a massive scale in an ongoing war situation for the first time

to support people in Ukraine, on the border and in border countries – Poland, Romania, Slovakia, Hungary – and throughout the rest of the EU in areas hosting large refugee communities. We hope to be able to provide relief, prevention and mental health support in this dramatic emergency caused by the Israeli-Hamas war.

Protests and anti-Semitic hatred. Salvarani: “Don’t be misled by the burning tree, there is also a growing friendship”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 11:08

Dramatic footage has emerged depicting a mob storming a flight from Israel in the capital of Dagestan; in a statement, the President of the Union of Jewish Communities in Italy denounced “the escalating climate of intolerance” across the country. The outbreak of conflict in the Middle East on 7 October has had a powerful impact in Europe, blurring the boundaries of dialogue, creating a widespread climate of hatred and violence, reminiscent of September 11, 2001. “Unfortunately”, says Brunetto Salvarani, “anti-Semitism is history’s oldest and most enduring prejudice or hatred, whose origins span hundreds of years. It culminated in the Shoah and it resurfaces especially in times of crisis.” Brunetto Salvarani is a theologian, expert in dialogue and religious pluralism, president of the Italian organisation ‘Friends of Neve Shalom and Wahaat as Salam’ a village in Israel where Jews and Palestinians, all Israeli citizens, live together in justice and peace.

There is a growing climate of hatred in Italy too.

We must never forget that Italian Jews are a very small minority, with around 30,000 registered members of Jewish communities nationwide. Ironically, this is a situation that theoretically affects a very small number of Italians. Nevertheless, the “Jewish question”, as it has been called, remains a cause for concern. Today it faces the explosive situation in Israel and Palestine. Anti-Semitism always thrives on a permanently unresolved crisis and, let us not forget, it taps into deeply ignorant soil, so that ordinary Italian citizens find it difficult to understand the underlying historical dynamics that have led to a situation that was not created overnight, especially in that land, which has such a strong memory of the past, and, by the same token, here too.

How are Jewish communities defined in Italy?

Italian Judaism has historically been integrated into the history of our nation. It has also been a very liberal form of Judaism.

My thoughts go to enlightened figures like Rabbi Elio Toaff, the historic Chief Rabbi of the Jewish community of Rome, and Amos Luzzatto, who was for a long time President of the Union of Jewish Communities in Italy.

These figures were very much part of Italian life and society and were aware of the important role that the small Jewish minority played in the dynamics of a country that was becoming increasingly multi-religious and multicultural.

In today’s atmosphere, what are the mistakes that religious communities in Italy should avoid at all costs?

The first mistake that should be avoided is to dismiss the experience of dialogue, which has taken root even in our country in recent years. Interreligious dialogue is necessary. In fact, it is even more necessary today.

The other mistake to be avoided is to succumb to the temptations of fundamentalism and to take sides between the opposing camps.

In the end, taking sides does not lead to the desired result. What is needed today is a space for critical reflection on current events, but with a view to peace education and dialogue. Above all, there is a need for someone who can show what happens when the paths of hatred and violence are chosen.

The conflict that broke out on 7 October unfortunately seems to have reached a point of no return. What has been its impact on the interfaith dialogue between religious communities?

Indeed, at the moment, the collateral consequences of the events of October 7 suggest a resumption of the logic of the clash of civilisations. This can be seen both in the media and in the collective imagination.

It’s a paradigm that we thought had been discarded, not least owing to Pope Francis so resolutely opposing it. Instead, it took only a few days to plunge us back into a climate of war, including a climate of religious conflict. After September 11 and the invasion of ISIS, strenuous processes of inter-religious dialogue were set in motion. Processes of virtuous integration began, even in our country.

 Will these processes continue in these situations of conflict or will they come to an abrupt halt?

The question is, will we once again fall victim to a blindness that prevents discernment? For those committed in advancing dialogue, the perspective that has been motivating us during these past weeks is the awareness of the progress made, which should not be discarded, but rather enhanced. The risk is to be dazzled by the burning tree without seeing the growing forest. There are friendly relations. Over the years we built a relationship of mutual esteem between members of different religious communities, which is moving forward.

My appeal goes out to young people in particular, to those who have unfortunately grown up in this media bubble that leads them to believe that everything is negative. Let us not succumb to the logic whereby religions are seen only as bearers of fundamentalism and closure.

And let us not forget that, as I said, religions have been, especially in the most difficult moments of recent history, and can, indeed must, become today a space for critical reflection and mutual listening.

Manifestazioni e odio antisemita. Salvarani: “Non lasciamoci abbagliare dall’albero che brucia, c’è anche un’amicizia che cresce”

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 11:08

Le immagini drammatiche della folla che nella capitale del Daghestan prende d’assalto un aereo proveniente da Israele. La nota della presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia che parla anche nel nostro Paese di “un clima crescente di intolleranza”. Il conflitto scoppiato in Medio Oriente il 7 ottobre sta avendo un impatto potente anche in Europa, rimescolando i termini del dialogo, generando un diffuso clima di odio e violenza e portando anche qui le lancette del tempo all’11 settembre 2001. “L’antisemitismo purtroppo – commenta Brunetto Salvarani – è il pregiudizio più antico della storia dell’umanità ed è un pregiudizio che non si spegne mai. Viene da lontano e trova il suo culmine durante la Shoah. Risorge soprattutto in momenti di crisi”. Salvarani è teologo, esperto di dialogo e pluralismo religioso, presidente dell’Associazione Italiana Amici di Nevè Shalom Wahaat as Salam, un villaggio situato in Israele dove ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana, vivono insieme in equità e giustizia.

Anche in Italia, si sta registrando un clima di odio.
Sul piano italiano, non dobbiamo mai dimenticare che gli ebrei dal punto di vista numerico sono una minoranza molto esigua, nel senso che gli iscritti alle comunità ebraiche sono circa 30.000. Stiamo parlando paradossalmente di una situazione che coinvolgerebbe in teoria pochi italiani. E invece la questione ebraica, se vogliamo chiamarla così, è sempre forte. Fa i conti oggi con l’irrompere della situazione in Israele e in Palestina. L’antisemitismo si avvale sempre di una situazione costantemente irrisolta e – non dimentichiamolo – fa breccia su un terreno di ignoranza complessiva per cui l’italiano medio fa fatica a conoscere le dinamiche storiche che hanno generato una situazione che non nasce dall’oggi al domani, tanto più in quella terra dove c’è una memoria così così forte del passato e di riflesso anche da noi.

Come si caratterizzano le comunità ebraiche in Italia?
L’ebraismo italiano storicamente è stato un ebraismo integrato nella storia della nostra Nazione. E’ stato un ebraismo anche molto liberale. Penso a figure illuminate come il Rav. Elio Toaff, storico rabbino capo della Comunità ebraica di Roma e come Amos Luzzatto che è stato a lungo Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia. Figure ben inserite nella vita e nella società italiane e consapevoli del ruolo importante che questa, seppur esigua minoranza, svolgeva nella dinamica di un Paese che tra l’altro stava diventando sempre più multi religioso e multiculturale.

In un clima come quello di oggi, quali sono gli errori che le comunità religiose del nostro Paese devono assolutamente evitare?
Il primo errore è quello di chiudere con questa esperienza di dialogo che si è radicata anche nel nostro Paese in questi anni. Il dialogo interreligioso è necessario. Anzi, è ancor più necessario oggi.

L’altro errore è quello di non cedere alle sirene dei fondamentalismi e schierarsi tra le opposte tifoserie. Mi sembra che lo schieramento alla fine non produca quello di cui c’è bisogno. E quello di cui oggi c’è bisogno è di offrire spazi di riflessione critica della realtà, in chiave però di educazione alla pace e al dialogo. C’è bisogno soprattutto di qualcuno che sappia indicare cosa succede quando si intraprendono le strade dell’odio e della violenza.

Il conflitto scoppiato il 7 ottobre sembra aver segnato purtroppo un punto di non ritorno. Quale impatto sta avendo anche sul dialogo tra le comunità religiose? 

E’ vero, in questo momento, tra gli effetti collaterali di quello che è successo il 7 ottobre, sembra che stia riprendendo la logica dello scontro di civiltà. Lo si avverte sia nei mass media sia nell’immaginario collettivo. Uno schema che pensavamo di aver messo da parte, grazie anche al costante rifiuto di esso da parte di Papa Francesco e invece sono bastati pochi giorni, e siamo ripiombati in un clima di guerra anche di religione. Dopo l’11 settembre e l’irruzione dell’Isis, si sono avviati faticosi processi di dialogo interreligioso. Di integrazione virtuosa anche nel nostro paese.

 Questi processi avviati riusciranno a tenere anche in queste situazioni di conflitto o subiranno una brusca frenata?
La domanda è, saremo ancora una volta vittime di un accecamento che impedisce il discernimento? Da parte di chi lavora nel dialogo, in queste settimane la prospettiva che ci anima è quella di ricordare il percorso che è stato fatto fino ad ora e che non va buttato via ma anzi va valorizzato. Il rischio è lasciarci abbagliare dall’albero che brucia e non vedere la foresta che cresce. C’è un’amicizia. In questi anni abbiamo costruito tra membri di comunità religiose diverse un rapporto di una stima reciproca che comunque va avanti. Vorrei rivolgermi soprattutto ai ragazzi, ai giovani cresciuti purtroppo in questa bolla mediatica che li porta a far credere che tutto sia negativo. Non cediamo a questa logica che vuole far vedere le religioni solo come detentori di fondamentalismo e chiusura. E non dimentichiamo che, come dicevo, le religioni sono state, soprattutto nei momenti più difficili della storia recente, e possono, anzi devono, diventare oggi spazio di riflessione critica e di ascolto.

Lavoro dei migranti: uno studio dell’Angelicum indica i numeri dello sfruttamento

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 11:03

Un lavoro poco dignitoso, con ampie sacche di sfruttamento e a sprazzi irregolare. Il lavoro delle persone migranti a Roma assume questi tratti, secondo la ricerca realizzata dagli studenti della Facoltà di Scienze Sociali inseriti nel programma Strong+ dell’Università Angelicum, sotto la guida di fra’ Roberto Bongianni.
Attraverso una ricerca quantitativa è stata tratteggiata la condizione dell’occupato migrante. La ricerca è durata 10 mesi ed è stata effettuata su un campione di circa 400 lavoratori migranti – per un popolazione di lavoratori migranti nella Capitale pari a circa 219.000 persone – a cui è stato somministrato un questionario di 35 domande. Questionario suddiviso in 5 ambiti di interesse, che declinano il lavoro dignitoso: formazione e crescita (opportunità di carriera), aspetti economici e contrattuali, il rapporto tra vita privata e famiglia; parità e discriminazione e, infine, tutela e sicurezza (contributi previdenziali). Misurando i dati di soddisfazione indicati da chi ha compilato il questionario, emerge un “quadro problematico”, “più problematico di quello degli italiani”. Ogni indicatore ha presentato 5 fasce di valutazione: dignitoso, tollerabile, mediocre, insoddisfacente e indecente.
Così su 100 lavoratori migranti solo il 6.7% raggiunge la soglia di un lavoro dignitoso, mentre il 26.4% la soglia di tollerabilità, il 31.3% per cento la mediocrità, per il 26.4% il lavoro è insoddisfacente e per il 9.1% indecente.

Dimensione etica del lavoro. Lo studio ha avuto l’obiettivo di offrire una misura del “decent work” concetto importante per definire le condizioni del lavoro dignitoso, già presente oggi negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e nella riflessione del magistero sociale della Chiesa cattolica. Lo studio nasce dalla volontà di fare emergere il sentito dire, e poter esprimere in senso oggettivo una misura di alcuni aspetti – spiega fra’ Roberto Bongianni -. Il lavoro è particolarmente importante perché associato alla dignità della persona, su un ambito problematico anche per gli italiani”.

“Volevamo dare una misura del disagio che vive il lavoro migrante in modo da far uscire questo fenomeno dal sentito dire e far parlare i numeri. Avendo dati oggettivi si possono sollevare i problemi in modo che i responsabili possano adottare politiche adeguate per migliorare la condizione”.

Regolarità e controlli. I dati si soffermano anche su alcuni aspetti che permettono di andare più a fondo per capire la situazione di disagio: più del 48% delle persone intervistate non ha mai ricevuto un corso di formazione. “Purtroppo non si investono risorse nell’ambito della formazione e della crescita sul lavoro migrante. Queste persone non frequentano corsi di questo genere ed è preoccupante, perché ad esempio i corsi di formazione sulla sicurezza sono obbligatori. Emergono quindi diverse irregolarità nel rispetto delle normative sul lavoro”. E, ancora, il 41.7% per cento di lavoratori migranti vive sotto la soglia della povertà che l’Istat indica per Roma, in 1.049 euro. “La povertà oggi è diffusa, ma i dati evidenziano come il problema sia presente anche nel mondo del lavoro, e soprattutto dei lavoratori migranti”. Il 13% per cento di loro lavora più di 50 ore a settimana, il 20% non riesce ad usufruire delle ferie, al 12% non viene riconosciuto il diritto al riposo. Il 29% è pagato sempre e solo in contanti, “altro segno evidente di una chiara condizione di illegalità”.

Dal punto di vista della parità e del rispetto. Emerge il dato significativo di come sia ancora presente un problema di discriminazione razziale che affligge soprattutto coloro che provengono dall’Africa e dall’America Latina. Aree di provenienza che restano relegate a condizioni di lavoro insoddisfacenti in rapporto alla dignità con salari medi orari netti spesso inferiore ai 5 euro l’ora. L’ultimo ambito quella della tutela e sicurezza evidenzia una bassa adesione a partecipare ai sindacati (solo il 14%); mentre nell’ambito previdenziale il 18% non sa nulla della propria posizione contributiva, mentre il 10% è sicuro che il datore di lavoro non ha mai versato contributi previdenziali.
Per concludere dalla ricerca emerge come il contratto tipico, quello a tempo indeterminato (il 50,9% del campione ha un contratto a tempo indeterminato), sia lo strumento migliore, ma non sufficiente, ad assicurare una condizione di dignità, mentre con altre forme contrattuali (contratti in somministrazione, a chiamata, soci in cooperative) la situazione si presenta compromessa. L’occupazione dei lavoratori stranieri a Roma riguarda soprattutto piccole e medie imprese, all’interno delle quali non è prevista una rappresentanza sindacale, e dove è anche difficile e costoso esercitare controlli; per tale ragione è necessario favorire per i migranti che lavorano percorsi di tutela e legalità più accessibili ed efficaci.

Halloween e la banalizzazione dell’orrore

RSS Agensir - Mar, 31/10/2023 - 09:59

L’ondata di massacri che sta inondando con fiumi di sangue il mondo, ultimamente in particolare dall’Ucraina alla striscia di Gaza (cioè mezzo mondo), ha fatto interrogare più di un quotidiano circa l’opportunità o meno di festeggiare Halloween quest’anno: sentiamo davvero così tanto la necessità di orrori fittizi che stemperino quelli reali?

Molto opportunamente se lo chiede, ad esempio, Stefano Massini su La Repubblica in un articolo del 29 ottobre intitolato “La prevalenza di Halloween nell’epoca della morte-show”; ripensando alle feste dei morti di quando era bambino scrive: “L’eccezionalità stava nel fatto che in quella vigilia di Ognissanti si osava sorridere sul commiato, concedendosi l’azzardo liberatorio di giocarvi sopra per una notte, consapevoli che all’alba del giorno dopo la licenza sarebbe rientrata, lasciando il posto alla realtà e ai suoi perimetri… Mi spieghi quindi qualcuno che senso ha adesso Halloween, se tutto intorno la morte è un cabaret”.

Una finzione di orrori che può facilmente scivolare nel ritenere quelli veri, di orrori, quasi una finzione, filtrati come sono, come sempre, dall’incantesimo degli schermi luminosi, dei numeri astratti, e del sospetto crescente (bella novità dell’ultimo periodo) che tutto quello che vediamo non sia in effetti come sembra, ma sia stato ritoccato (o creato) dall’intelligenza artificiale – solo che a volte è vero, a volte no, e come si fa a sapere?

Così alla fine si sdogana tutto, e ti ritrovi, scorrendo col ditino un post dopo l’altro, massacri veri che si alternano a massacri finti, foto tratte da film dell’orrore che seguono e precedono foto di orrori che scambi per film, in una costante e crescente banalizzazione del visibile che ci rende indifferenti e privi di empatia: metti una faccina triste sotto la foto di bambini bombardati, se sei particolarmente eroico e impegnato nel sociale addirittura condividi il post, e poi via, la vita è un’altra cosa – la tua vita è un’altra cosa. Per ora…

Purtroppo la banalizzazione della morte e dei morti non è un problema di una sola notte all’anno, ma corre di pari passo a quella del sesso dovuta alla sovraesposizione pornografica: stiamo ammazzando eros e thanatos, amore e morte, le due forze fondamentali che guidano la realtà, e il risultato siamo noi, l’umanità apatica del dopo-Covid, che parla solo di dove andare a mangiare e delle serie che vale la pena vedere, costantemente alla periferia di se stessa fino a quando la prossima tragedia non sarà abbastanza vicina (non solo virtualmente) da produrre un temporaneo risveglio.

Ma sì, forse Halloween un po’ si capisce, perché descrive non un giorno all’anno speciale solo per i nerd e i fattucchieri, bensì la vita di ogni giorno, in cui un’umanità celata dalle brutte maschere dei suoi fantasmi interiori si aggira nella notte del mondo, rivendicando un po’ di dolcezza che alla fine la stomacherà.

Per fortuna il 31 è anche una vigilia, e questo significa che racchiude in sé il germe di una possibilità diversa: è possibile vivere senza maschere, aprire gli occhi, farsi ferire il cuore dalla morte e dall’amore, e iniziare a essere davvero umani. Che tutto questo sia possibile ce lo dimostrano la vita e la morte di ogni singolo Santo, e domani ce lo ricorderanno tutti insieme, in un coro di tifo e di speranza per noi che la nostra vera fisionomia non l’abbiamo ancora raggiunta.

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