Prendersi cura dei lavoratori del Terzo settore
Operare nel Terzo settore vuol dire prendersi cura di altre persone, in modi anche molto diversi: dall’anziano in carico ai servizi sociali, al ragazzino del doposcuola, fino ai giovani e adulti in cerca di un’occupazione. Sono tante le sfaccettature, anche molto differenti, ma con lo stesso fattore comune: la consapevolezza che ogni azione compiuta ha una ricaduta sociale positiva, ha un forte potere motivazionale che ripaga molte delle fatiche che ogni giorno vengono affrontate.
La pandemia ha messo in evidenza come il capitale umano impegnato nel Terzo settore, sia costituito da persone competenti, veloci nell’azione, capaci di spendersi fino al burn out.
E proprio la pandemia ha iniziato a interrogare il Terzo settore su come sia possibile aumentare il ristoro psico-fisico dei propri operatori alla ricerca del raggiungimento del cosiddetto wellbeing lavorativo e personale. Perché è vero che chi lavora nel Terzo settore trae soddisfazione dal bene che si fa ogni giorno, ma è anche vero che l’operatività quotidiana può essere usurante.
Con questa attenzione, Fondazione ENGIM Ets, ente che si occupa di formazione e di cooperazione allo sviluppo attraverso l’operato di circa 700 dipendenti su tutto il territorio nazionale, ha intrapreso un percorso complesso utilizzando molteplici strumenti e continui momenti di valutazione per adeguare le azioni dell’ente ai fabbisogni dei suoi operatori.
Come apripista tra gli enti del Terzo settore, Fondazione ENGIM Ets è stato il primo caso nazionale di un ente che, costituito in gruppo, ha adotta un sistema di welfare omogeneo sul territorio italiano utilizzando norme che nascono per le imprese e che sono state adattate al Terzo settore come elementi legati al bene comune. Un cambiamento epocale in cui è stato declinato il welfare aziendale nel Terzo settore riconoscendo ai suoi lavoratori un ruolo centrale nell’economia sociale del Paese.
Parallelamente si è affrontato il tema della valorizzazione delle competenze del capitale umano dell’ente, con la consapevolezza che la soddisfazione di ogni operatore nel prendersi cura di altre persone è messa a dura prova nel tempo con il conseguente rischio di minare la continuità e la qualità dei servizi proposti. Diventa quindi importante preservare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore del Terzo settore, tenendolo agganciato ai valori che devono guidare le sue azioni.
Valori, competenze, welfare e necessità di prendersi cura di chi si prende cura, convergono in ENGIM in una nuova accezione di ufficio del personale e stimolano l’ente a ripensarlo come un Ufficio per la Cura del Personale: non si è trattato di un esercizio lessicale ma di una vera e propria sfida, un impegno, una responsabilità, da parte di un'organizzazione che non può non prendersi cura di chi si prende cura. Cura significa mettere al centro le relazioni, creare legami di fiducia ed engagement, dare dignità alle fragilità di ciascuno, valorizzare la storia personale e professionale, creare un luogo dove le persone possono realizzarsi come individui e non solo come professionisti.
È una nuova accezione dell’ufficio del personale, che stimola al ripensamento del ruolo del lavoratore nell’ente e che lo affianca in un vero e proprio coaching in ingresso e lungo il percorso professionale: un supporto costante nel tempo per favorire la crescita professionale e il benessere psicofisico dei dipendenti, oltre a garantire che i neoassunti abbiano le giuste competenze tecnico-professionali e, al tempo stesso, aderiscano ai valori di riferimento dell’ente.
Per garantire capillarità e costanza dell’Ufficio per la Cura del Personale, l’ente ha visto la necessità di formare al meglio i livelli manageriali in un ambiente di formazione e di condivisione. Per l’azione sui manager è indispensabile l’uso di strumenti che permettano di mettere in un processo di miglioramento continuo i manager stessi, oltre a monitorare il loro benessere e la loro capacità di relazionarsi e valorizzare le persone con le quali lavorano. Tra questi, gli strumenti che promuovono la cultura del feedback e della valutazione, permettono di migliorare costantemente la capacità del management di prendersi cura delle proprie risorse umane migliorando a tutti i livelli la soddisfazione nell’operato e la percezione di sé: strumenti “tecnici” per la mappatura delle competenze trasversali, ma anche strumenti “ludici”, utili a creare uno spazio creativo che stimoli e valorizzi le specificità di ciascuno e faciliti lo spazio di incontro.
Tenendo conto che le fatiche di un operatore del Terzo settore vanno spesso a sovraccaricare l’individuo ben oltre a quanto normalmente accade in un ambiente di lavoro profit, ma sono tollerate e interiormente giustificate dal “fare bene il bene”, nasce Zona Franca, uno spazio di ascolto e confronto in cui condividere personalmente le belle notizie e/o le difficoltà rispetto alla relazione con l’organizzazione e in cui confrontarsi, connettere idee e “creare ponti”.
Il potenziamento della Zona Franca, aperta a tutti, va di pari passo con l’affermarsi delle Comunità di Pratica di Fondazione ENGIM: luoghi (fisici e digitali) aperti, curati, condivisi in cui gruppi di persone che lavorano nelle varie sedi possano incontrarsi e ascoltarsi, scambiare il proprio vissuto e pensiero, condividere idee e prassi, discutere di fallimenti e successi, per contribuire collegialmente al rafforzamento generale dell’organizzazione e al miglioramento della qualità del lavoro. Nelle comunità di pratica si sperimentano i Community Manager, personale interno selezionato e formato per fare da facilitatore all’interno del gruppo. E che, a tendere, potrebbe anche diventare riferimento per i servizi di welfare.
Marco Muzzarelli
Direttore nazionale ENGIM